Cisi dei mutui americani, paragonabile a quella dell’11 settembre
Per salvare il salvabile, l'Amministrazione USA ha dovuto indebitare il paese per il controvalore dell'intero Prodotto Interno Lordo
Dopo aver parlato qualche mese fa
sui pericoli della crisi americana dei mutui, spiegandone le cause
e annunciando il disastro che ne sarebbe seguito, abbiamo deciso di
non intervenire mentre accadevano le cose che purtroppo avevamo
ampiamente previsto. Adesso che le cose sembrano ormai delineate
nella loro cornice, desideriamo riprendere l'argomento e commentare
quando accaduto e sta accadendo.
Sono falliti alcuni istituti finanziari per importi equivalenti per
grandezza all'intero debito pubblico italiano, trascinando al
ribasso le borse di tutto il mondo, e obbligando in un certo qual
modo l'Amministrazione di Bush a procedere verso iniziative che di
liberistico (come sarebbe di tradizione repubblicana) ha poco o
nulla. Per la precisione, Bush ha ricalcato le orme del Presidente
Roosvelt allorché, negli anni 30 affrontò la crisi del 29.
Quello che salta alla luce in questi eventi è che le cause sono
state in buona sostanza le stesse che causarono la Grande
depressione del 29. Allora le borse potevano trattare qualsiasi
titolo senza che un'Autorità potesse mettere un freno o un doveroso
controllo sulla rispondenza del valore delle aziende rappresentate
in borsa e la quotazione delle loro azioni. Oggi evidentemente il
controllo è rimasto limitato alla borsa, lasciando che settori
insospettabili come l'immobiliare potessero gonfiarsi a dismisura,
decine di volte oltre i valori effettivi di mercato. Nessuno aveva
mai pensato di controllare e mettere un freno al lievitare assurdo
e spasmodico degli immobili, nessuno aveva pensato che le banche
avrebbero potuto continuare a concedere mutui anche a fronte di una
palese eccedenza sul mercato di unità abitative, nessuno temeva che
i titoli delle grandi finanziarie potessero crollare per la sola
ragione che i mutui non sarebbero stati rimborsati. Nessuno aveva
pensato che i titoli di queste banche, ora fallite, avrebbero messo
in crisi tutti gli istituti che li tenevano in portafoglio, magari
a garanzia delle proprie stesse esposizioni.
Come avevamo già scritto, la situazione è tale che in USA ci sono
decine di migliaia di appartamenti invenduti e invendibili, e di
conseguenza crollati verticalmente di valore su un mercato
praticamente scomparso. Il più delle volte non sono affittati,
anche perché in questo momento l'inquilino ha più convenienza ad
acquistarle uno che ad affittarlo, e comunque non rendono neanche
una piccola parte di quanto serve per rimborsare i mutui alle
banche che li hanno concessi.
E se le banche sono entrate forzosamente in possesso di immobili
che non coprivano neanche una parte dei mutui, non potevano che
registrare la perdita secca tra esposizione e controvalore dei
pignoramenti. Là dove le passività sono risultate contabilmente
superiori alle attività, hanno dovuto cercare dei partner che
portassero nuovi capitali o, in alternativa, portare i libri in
tribunale e dichiarare il fallimento.
Ovviamente i titoli degli istituti che sono falliti erano a loro
volta proprietà di altri istituti finanziari, che a loro volta
hanno rischiato la stessa sorte. Perfino in Europa ci sono istituti
che possiedono titoli che adesso non valgono più e qualcuno è stato
anche acquistato da privati. Per non andare lontani, il gruppo Itas
ha titoli per un milione e mezzo di dollari.
Il crollo in borsa in Europa, peraltro, è stato anche generato da
un effetto «domino», nel senso che comunque quando una borsa crolla
tutte le borse ne seguono le orme perché gli speculatori non
guardano mai come stanno le cose in profondità, ma solo quello che
dicono i listini.
L'Amministrazione americana ha quindi deciso di intervenire
corposamente sul mercato, cosa che non faceva appunto dagli anni
Trenta. L'impedire che andassero in fumo gran parte dei risparmi
degli Americani poteva comportare un grave scompenso sociale e di
conseguenza si è presentata la necessità di intervenire.
Le cose da segnalare a questo punto però sono due e entrambe di una
certa importanza.
La prima è che il mercato non aveva tanto bisogno dei capitali del
Governo americano (che per far fronte alla crisi si è indebitato
per l'incredibile importo dell'intero PIL), quanto piuttosto di
garanzie. I capitali ci sono ancora, mentre nulla è stato fatto per
impedire che altre crisi come questa, e come quella del 29, possano
ancora accadere.
Non basta un'Autorità Garante, ci vogliono regole precise che
impediscano agli Istituti finanziari di svolgere attività che
possano scostarsi troppo dalla realtà intrinseca dei valori
trattati. Se ad esempio gli istituti finanziari, i gestori di
fondi, i fondi assicurativi fossero state delle banche a tutti gli
effetti, non avrebbero mai potuto impegnare tanti capitali in campi
tanto lontani e tanto irreali quanto quelli dei mutui.
La seconda è che il mercato americano può in ogni momento essere
insidiato da capitali «non americani» che possono intervenire in
maniera anche incisiva sul mercato e generare fenomeni in grado di
mettere in crisi l'America intera. Non è peregrina l'ipotesi che
qualche banca abbia di proposito obbedito al suo lontano
proprietario nascosto in qualche anfratto del Medioriente, gettando
benzina e forse anche esplosivi sul fuoco. Sarà fantapolitica, sia
ben chiaro, ma non può sfuggire che la dimensione dei danni
generati dalla crisi dei mutui possa essere paragonata a tutti gli
effetti una sorta di 11 settembre che, invece di uccidere migliaia
di cittadini innocenti, ha annientato in breve tempo i risparmi di
milioni di cittadini americani.
GdM