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La Marina Militare è preparata per la protezione dei mercantili?

Dopo il tragico errore accaduto in India, lo abbiamo chiesto al nostro Antonio De Felice, esperto in sicurezza in mare

Ci eravamo più volte chiesto quanto aspettasse la Marina Militare Italiana a intervenire per difendere i nostri mercantili dai pirati dell'Oceano Indiano.
Abbiamo anche espresso il desiderio di imbarcarci su una nostra nave da guerra per osservare l'operato dei nostri marinai.
Ora che è accaduto questo tragico episodio di una nostra unità di fanti di marina che ha sparato sulle persone sbagliate, ci domandiamo se quella militare sia l’opzione giusta.
In attesa di verificarlo di persona dal ponte di una vane, lo abbiamo chiesto al nostro esperto di sicurezza in mare, Antonio de Felice, il quale ci ha inviato le sue osservazioni che proponiamo qui di seguito.
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Da alcuni mesi – esattamente dal 2 Agosto 2011 – il Parlamento italiano ha licenziato una legge che consente agli armatori italiani che armano navi battenti bandiera italiana di potersi difendere dagli attacchi sempre più frequenti da parte della pirateria marittima e in particolare quella somala.
La legge poggia su due pilastri fondamentali, l'impiego delle Forze Armate e il riscorso ai privati.
 
Per il ricorso ai privati la legge è sostanzialmente ancora inattiva perché mancano i Decreti Attuativi che sono di competenza del Ministero dell'Interno e per i quali sembrano esserci ancora ritardi nella loro formulazione soprattutto per ciò che riguarda gli aspetti formativi del personale operativo.
Per ciò che attiene all'impiego del personale delle Forze Armate, invece, tutto è già attivo da tempo.
 
Sin dai primi di Ottobre infatti la Marina Militare ha messo a disposizione dell'armamento mercantile italiano alcuni Nuclei di Protezione Militare (NPM), ognuno dei quali composto da 6 elementi provenienti dal reggimento dei fanti di marina San Marco.
Addestrati a fare la guerra – ma non a evitarla – e armati per vincerla, gli NPM vengono imbarcati secondo un rigido protocollo su alcune delle navi mercantili italiane che incrociano le acque dell'Oceano Indiano, con il preciso compito di proteggere beni e persone dall'assalto dei pirati dei mari.
 
Non rispondono né all'armatore né al comandante della nave che li imbarca, tanto vero che per farli salire a bordo l'armatore deve firmare un contratto che li manleva da qualsiasi responsabilità assicurativa.
Sono sotto il comando del CINCNAV (Comando in Capo della Squadra Navale della Marina Militare Italiana) e agiscono in forza di precise regole d'ingaggio e sono perseguibili solo ai sensi del codice militare penale in tempo di guerra.
 
È di oggi la notizia che uno di questi NPM avrebbe (il condizionale è doveroso) scambiato una imbarcazione da pesca indiana con una nave pirata, aperto il fuoco e causato la morte di due marittimi dell'equipaggio in essa imbarcati.
Ho letto le dichiarazioni del comandante del peschereccio indiano che ha affermato di essere rimasto sottoposto al fuoco delle armi per oltre due minuti.
E mi concedo un dato tecnico: se un'arma da sola spara con una celerità di tiro di circa 600 colpi al minuto, è un miracolo che siano morti solo due pescatori su undici.
 
La Marina Militare sostiene di aver applicato correttamente le regole d'ingaggio, ma il fatto riportato oggi deve porci tre domande fondamentali prima di poter parlare di corretta applicazione delle regole d'ingaggio.
 
- La prima è sulla formazione dei militari impiegati in materia di pirateria marittima e tecniche di contro pirateria. Il non aver distinto un dhow da pesca (la tipica imbarcazione da pesca nell'Oceano Indiano) da uno skiff (la minuscola imbarcazione veloce usata dai pirati somali per attaccare le navi mercantili) è stato secondo noi un errore piuttosto grossolano.
Che si siano poi difesi sostenendo di aver usato le armi da fuoco perché sull’imbarcazione da pesca erano presenti delle armi, non è un esimente… È noto a tutti che i pescatori nell'oceano indiano portano con sé armi proprio per difendersi dai pirati, perché se vengono rapiti vengono trattati come schiavi per condurre e manutenere le navi madri con cui solcano l'oceano.
 
- La seconda è sulla conoscenza da parte dei militari delle tecniche d'assalto usate dai pirati e delle conseguenti misure di difesa da intraprendere in funzione della reale minaccia. Le Best Management Practise (BMP) cioè le regole scritte dall'IMO l'Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di sicurezza in mare, per esempio, consigliano al comandante di manovrare la nave iniziando una sorta di zig-zag che rende difficile l'avvicinamento ai bordi. Se ciò fosse stato fatto prima di usare la forza letale si sarebbe potuto comprendere la vera natura dell'imbarcazione che si aveva di fronte.
 
- La terza domanda è rivolta all'accesso delle informazioni che devono essere costantemente a disposizione dei militari o del personale di sicurezza imbarcato. Ogni giorno il mondo dei professionisti della sicurezza marittima legge elabora e produce decine di intelligence report con il preciso compito di tenere aggiornati armatori e imprese di sicurezza sull'andamento della situazione nelle acque ad alto rischio e nelle zone di guerra, sulla posizione delle cosiddette navi madre e sui principali eventi accaduti in modo da effettuare delle previsioni statistiche basate su calcoli probabilistici tali da permettere di minimizzare i rischi e gli errori.
 
Le regole d'ingaggio sono probabilmente state applicate in maniera corretta ma il contesto era quello sbagliato.
Per ciò che è avvenuto pertanto non mi sento di assolvere, nell'ordine, né il legislatore, né il Comando della Marina Militare né i militari del NPM imbarcati.
Questa che segue è infatti la mia opinione.
 
Il legislatore è colpevole di aver cercato e trovato una via di comodo alle giuste pressioni dell'armamento italiano che a mezzo di Confitarma reclamavano una norma che consentisse loro di proteggere gli interessi economici della categoria (e anche i nostri come consumatori) in una regione del pianeta da tempo instabile.
La scelta d'imbarcare personale militare è discutibile sia dal punto di vista tattico che strategico.
Tattico perché chi è imbarcato è addestrato a fare la guerra (e costa alla collettività oltre un milione di euro all'anno per la sua formazione in tal senso) ma non è preparato e istruito per compiti di prevenzione di un fenomeno criminale come la pirateria marittima.
Strategico perché, se da un lato abbiamo ora un problema diplomatico in più con l'India, dall'altro non possiamo rischiare di radicalizzare la lotta alla pirateria marittima trasformandola da una questione tra privati in una lotta tra lo Stato italiano e poco meno di 2.000 criminali somali.
 
Lo Stato Maggiore della Difesa e in particolare la Marina Militare sono colpevoli di aver spinto e appoggiato da subito la soluzione militare ostacolando in tutte le maniere quella privata.
Una cosa è avere unità navali sul teatro d'interesse e un'altra è avere soldati a bordo di un mercantile.
 
L’NPM è infine colpevole perché ha tirato il grilletto e ha drammaticamente sbagliato.
Non nella mira, s'intende, ma nella decisione da prendere, nel comprendere la situazione, nel valutare che di fronte a sé non aveva una minaccia ma semplicemente una imbarcazione da pesca.
La professionalità infatti non sta nel saper centrare un bersaglio a mille metri, ma nel saper quando sparare.
 
Antonio De Felice

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