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Il Tibet fotografico a Palazzo Trentini fino al 10 marzo

Inaugurata la mostra fotografica di Stefano Bottesi alla presenza del nuovo primo ministro tibetano (dopo le dimissioni del Dalai Lama)

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«Sua santità il Dalai Lama sta benissimo, la scelta di lasciare il potere politico e mantenere quello spirituale è stata fatta con serenità.»
Con queste parole, Lobsang Sangay, Kalon Tripa (cioè primo ministro) del governo tibetano in esilio, dopo l’abdicazione dagli impegni politici da parte del Dalai Lama, ha salutato questo pomeriggio (alle ore 16) i presenti all’inaugurazione della mostra fotografica dedicata al Tibet dal fotografo Stefano Bottesi presso la sala d’ingresso di Palazzo Trentini, sede del Consiglio provinciale di Trento.
 
Lobsang ha trascorso due giornate fra Bolzano e Trento, reduce da un discorso tenuto alla Western Connecticut State University e da due discorsi ai tibetani residenti a New York e a Toronto.
Dopo la nostra regione, il suo viaggio istituzionale proseguirà domani a Dublino, dove Sangay riceverà una medaglia d'oro dalla College Historical Society del Trinity College irlandese.
 
Alla presenza del Presidente del Consiglio Bruno Dorigatti e di Roberto Pinter (dell'Associazione Italia Tibet) Lobsang ha ribadito che il Trentino «ha sempre avuto una grande attenzione per la causa tibetana e la mia visita in questo territorio serve per ringraziare i sostenitori della nostra causa e chiedervi di continuare in questa direzione anche in futuro».
 
Lobsang ha quindi inserito la metafora del respiro.
«Il vostro, di comunità autonoma, è per noi un grande esempio di possibilità di respiro: da noi, in Tibet, non si riesce a respirare.»
E non solo perché l’aria è rarefatta a quelle altezze (molte foto mostrano i tibetani con le mascherine).
«Negli ultimi due anni ventiquattro monaci tibetani si sono dati fuoco come atto di martirio per la causa dell’indipendenza tibetana: sacrificare ciò che di più importante c’è per una persona, la vita, per far capire al mondo tutta la propria sofferenza interna, è considerato l’atto più grande.»
 
Bonzi suicidi nella pira sacrificale, holocaustus: oltre alle foto di Bottesi, è visibile anche un video, in un cilindro che contiene un piccolo schermo, che mostra dal vero la combustione di questi giovanissimi monaci, resistenti nel martirio all’oppressione cinese.
«La prima, grande, vera forza dei tibetani non è quella del lancio delle pietre ma quella spirituale-culturale, – ha esordito Roberto Pinter. – Dopo cinquantadue anni di occupazione cinese, migliaia di giovani tibetani continuano a vestire, vivere, respirare seguendo la propria cultura e le proprie tradizioni.»
«Quando abbiamo visto Lobsang nel 2009 a Trento in occasione di un Convegno sul Tibet, – ha continuato Pinter – era solo un giovane e brillante docente tibetano di Harvard. Ora ritorna come capo politico di quella Nazione.»
 
Lobsang Sangay è stato nominato primo ministro del governo tibetano dal Parlamento in esilio – ha ricordato lo stesso Lobsang – dopo le dimissioni dalla carica, l’11 marzo 2011, del Quattordicesimo Lama (LamaJetsun Jamphel Ngawang Lobsang Yeshe Tenzin Gyatso), che gli ha ceduto la rappresentanza politica mantenendo il ruolo di guida spirituale dei tibetani.
 

 
«Anche voi avevate il principe-vescovo che assommava potere politico e spirituale e ora non ce l’avete più: non c’è da stupirsi se anche per i tibetani è successo lo stesso. – Ha continuato – La storia si muove, anche nell’immutabile Tibet: le bellissime foto in bianco e nero e a colori di Stefano Bottesi (frutto di una visita a gennaio a Lhasa e in altri luoghi del Tibet) inquadrano giovani con l’i-phone in tasca ma intenti ad un rito religioso che dura cinque ore, persone al mercato, per le strade, nelle case, con vestiti bellissimi, volti fieri e una grandissima dignità.
«Vengono in mente le riprese di Ernst Schäfer, il naturalista austriaco che – sponsorizzato dall’Ahnenerbe di Himmler – entrò (primo europeo in assoluto) con la sua spedizione a Lasa nel 1938-39 (dopo i precedenti viaggi nel 1931-32 e nel 1934-36) assieme all’Etno-Antropologo Bruno Beger per prendere i calchi di questi ariani originari (secondo la visione razziale della Thule assorbita dal nazionalsocialismo), raccoglierne le erbe, i minerali e studiare i riti di possessione sacra.
Nel suo libro Tibet Segreto (Geheimnis Tibet) Schäfer scriverà che «l'aura che circonda il Tibet affascina le persone di tutti i Paesi civilizzati del mondo e quella terra proibita appare come qualcosa di soprannaturale, misterioso e demoniaco».
 
Oppure il romanzo autobiografico «Sette anni in Tibet» del tedesco Heinrich Harrer, lo scalatore (sempre aderente al nazionalsocialismo) prigioniero degli inglesi in India durante la seconda guerra mondiale riuscito poi a fuggire in Tibet.
Nel romanzo si racconta della diffidenza del popolo tibetano verso di lui e dei suoi amici tedeschi. I monaci del villaggio di frontiera spiegheranno ai fuggitivi le ragioni di una tale diffidenza.
Il Grande Tredicesimo Dalai Lama, prima di morire, aveva previsto che un giorno gli stranieri avrebbero invaso il Paese e dato inizio a un'era di morte e distruzione, bandendo i monaci e proibendo l'antica e radicata tradizione buddista.
La profezia si avvererà nel 1950: l’invasione non avrà il volto tedesco ma quello, molto più simile nella fisiognomica orientale, dei vicini cinesi.
 
«Sono venuto qui in passato, ci sono ora, ci sarò in futuro» sono state le parole conclusive di Lobsang ai convenuti filo-tibetani trentini. Un saluto nell’idea della permanenza, detto nell’ottica di una religione che, buddisticamente, vive l’esperienza dell’apparenza e dell’inconsistenza: ogni resistenza deve fare i conti con l’esistenza, reale, carnale, anche degli oppressori.
 
Al termine dell’incontro Lobsang Sangay si è recato presso la Facoltà di Giurisprudenza di Trento per un incontro con gli studenti e la cittadinanza («Dialogo sull’autonomia del Tibet») coadiuvato dal professor Roberto Toniatti, da Jens Woelk e da Roberto Pinter.
 
La mostra di Stefano Bottesi «Resistere in Tibet. Aspettando il ritorno del Dalai Lama» è visitabile fino al 10 marzo (anniversario dell’insurrezione tibetana) in via Manci, dalle 10 alle 18 (eccetto la domenica)».
 
Massimo Parolini
m.parolini@ladigetto.it
 

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