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La nostra Africa. «Mali, l'avaria indecente dell'Islam radicale»

Iyad ag Ghali: «Il malessere del popolo è dovuto alla mancanza di fede»

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«Il malessere del popolo è dovuto alla mancanza di fede».
Lo sostiene Iyad ag Ghali, leader del gruppo maliano islamista di Ansar al Dine, riferendosi alla peggiore crisi umanitaria degli ultimi 50 anni (secondo Amnesty International), che coinvolge e sconvolge il Mali di oggi.
Ma la sua considerazione risulta quanto mai paradossale in un paese che vede 2/3 del territorio sottoposto ai devastanti colpi della Sharia imposta e ingiunta dai fondamentalisti islamici dell'Aqmi [Al Qaeda nel Maghreb Islamico] e dalle stesse milizie di Ansar al Dine.
 
Le cento frustate inflitte a una coppia di locali accusati di rapporti extraconiugali, nel giugno scorso, ne sono il drammatico segno.
Le Figaro riferisce anche di altri «persuasivi ammonimenti» che, ad esempio, vedono la polizia jihadista, dopo aver sorpreso in fragranza di reato alcuni borseggiatori improvvisati, sgozzarne uno di questi, sul posto.
 
Oggi gli alberghi della bellissima Timbuctù si vedono mutati nelle tristi basi dei miliziani dell'Aqmi.
I giardini curati e pieni di fiori sono divenuti le spartane palestre all'aperto per i combattenti della jihad.
Il magnifico hotel La maison si trova, ora, ad essere eletto palazzo di giustizia jihadista.
Trasformato, insomma, nel luogo dove vengono puniti i ladri come gli adulteri, le donne senza velo come i fumatori di sigarette.
 
Ma come si è giunti al baratro cieco dell'estremismo anche qui, nel Mali, islamico da sempre, ma moderato e tollerante da secoli?
Il Fondo Saudita per lo Sviluppo può essere una risposta. L'Arabia Saudita dei petrodollari si è, infatti, prodigata per anni nell'aiuto economico agli stati africani collassati dopo la fine dei colonialismi.
Inutile dire che ciò ha permesso all'ingordigia saudita di accaparrarsi numerosi ettari di terre ora in Mali, ora in Senegal, ora in Nigeria, ora nelle negli altri spaziosi paesi del Sahel.
Le borse di studio per accedere alle scuole coraniche di Ryad, di cui beneficiano un numero sempre maggiore di giovani africani, e le continue migrazioni degli Imam, che spingono le loro predicazioni dai deserti del Golfo a quelli del Sahara, hanno fatto il resto.
 
Hanno insomma incentivato la diffusione della deriva estremista soprattutto nella zona settentrionale del paese che è stata, per anni , un' isola immensa abitata dai berberi e dai tuareg che hanno fatto delle loro distese di sabbia, in connivenza con i grandi mercatanti musulmani, le piste di atterraggio per gli aerei illegali che trasportano grandissimi quantitativi di stupefacenti.
Passaggio necessario per un mercato della droga piuttosto articolato che parte dal Venezuela supera l'Algeria, giunge in Marocco e arriva come meta finale in Europa.
Gli interessi e i proventi generosi che, i tuareg come i musulmani maliani sono riusciti ad accumulare negli anni grazie a questi traffici, hanno permesso e facilitato la realizzazione materiale delle loro istanze indipendentiste.
 
Sette mesi fa, sfruttando il flusso delle armi dell'arsenale di Gheddafi, le milizie del MNLA [il gruppo tuareg di matrice laica] ha dichiarato indipendente e fuori dalla giurisdizione delle capitale Bamako il suolo settentrionale del paese, rinominandolo Azawad.
Subito, la deriva islamica , che sceglie e predilige queste situazioni di vuoto istituzionale per imporsi, ha cavalcato la ribellione dei tuareg e ora è riuscita a convertirne la lotta nell'ennesima guerra santa musulmana.
E i grandi dell'Africa, ma forse non solo loro, se ne sono accorti.
 
Non per niente, il CEDEAO [Communauté Économique des États de l'Afrique de l'Ouest], dopo il vertice ad Abujia del 11 novembre, ha dichiarato come «[...] l'uso della forza potrebbe diventare indispensabile contro le reti terroristiche e la criminalità transfrontaliera che minacciano la pace e la sicurezza internazionale».
L'organismo ha inoltre fatto sapere di essere pronta ad intervenire quanto prima in Mali presentando entro il 26 novembre un piano all'Onu circa l'intervento militare da adottare, con la supervisione tecnica, già assicurata sia degli Usa che della Francia.
 
Il pericolo di un nuovo Afghanistan inizia, dunque, a preoccupare.
Soprattutto ora che «la terra dove c'è pascolo» [Azawad in lingua tuareg] sta diventando un vero e proprio allevamento della fattoria Al Qaida & Co.
 
Miryam Scandola

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