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La Corea del Nord tra ricambio ai vertici e minacce nucleari

La riapertura dei negoziati è ancora possibile? – Di Davide Monaco

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Il 9 marzo si sono tenute le elezioni dell’Assemblea Suprema del Popolo (ASP) in Corea del Nord, le prime dopo l’ascesa al potere di Kim Jong-un.
In ciascun distretto la scelta era limitata ad un solo candidato scelto dal Fronte Democratico per la Riunificazione della Patria, la coalizione di partiti al potere dominata dal Partito dei Lavoratori, del quale Kim Jong-un è Primo Segretario.
Date le condizioni politiche del Paese, i risultati della tornata elettorale non potevano certo riservare sorprese: il Fronte Democratico ha ottenuto un plebiscito e Kim Jong-un ha ricevuto il 100% dei voti nel suo distretto. Il ricambio del 55% dei membri dell’Assemblea e, soprattutto, le decisioni prese dall’ASP durante la sua prima seduta dello scorso 9 aprile costituiscono elementi significativi nel processo di consolidamento del potere portato avanti dal «Supremo Leader».
Accanto alla scontata rielezione di Kim Jong-un a capo della Commissione di Difesa Nazionale (CDN) e a molti fattori di continuità rispetto al passato, tra i quali le riconferme del Premier Pak Pong-ju e dei vertici del Presidium (comitato ristretto formato da 15 membri dell’ASP e principale organo collegiale di potere, incaricato, tra l’altro, di interpretare la Costituzione, di supervisionare la costituzionalità delle leggi approvate dalla ASP e di esercitare il potere legislativo nei periodi di transizione), numerosi indizi suggeriscono che Kim abbia sfruttato l’occasione elettorale per favorire l’ascesa di uomini a lui più vicini all’interno delle istituzioni.
È il caso della promozione del fedelissimo Choe Ryong-hae, divenuto uno dei tre Vicepresidenti della CDN e, di fatto, il numero due del regime di Pyongyang. Altri importanti cambiamenti sono avvenuti nel ramo esecutivo, tra i quali spicca senza dubbio la nomina di Ri Su Yong a Ministro degli Esteri.
 
Questo recente turn-over è parte di un ricambio generalizzato nelle alte sfere militari e politiche della Corea del Nord che va avanti da quando Kim Jong-un ha preso il posto del defunto padre Kim Jong-il.
Per ciò che riguarda i vertici militari, i quattro ufficiali di alto rango che nel dicembre 2011 avevano scortato il feretro di Kim Jong-il al fianco di Kim Jong-un e che, nelle intenzioni del «Caro Leader», avrebbero dovuto accompagnare la transizione del potere nelle mani di suo figlio sono stati tutti rimossi dalle loro posizioni tra febbraio e novembre 2012.
Kim Jong-chun, Kim Jong-gak, Ri Yong-ho e U Tong-chuk hanno subìto la stessa sorte e sono stati sostituiti da uomini maggiormente legati all’attuale Capo dello Stato.
Nel dicembre 2013 l’eclatante epurazione di uno dei funzionari di più alto grado del partito, Jang Song-thaek, assieme alla sua più ristretta cerchia politica, ha dimostrato che neanche gli esponenti al di fuori delle gerarchie militari sono al sicuro da questo processo di ricambio ai vertici.
Nonostante l’esecuzione di Jang Song-thaek abbia sollevato i dubbi sulla stabilità delle posizioni apicali all’interno del regime, in realtà tale episodio sembrerebbe confermare il notevole grado di autorità del giovane dittatore nordcoreano. In questo senso, il giovane leader nord coreano ha seguito una strategia classica nei regimi dittatoriali fortemente burocratizzati come quelli comunisti, epurando i quadri dell’amministrazione precedente per imporre i propri.
Questa dinamica appare ancora più forte in un Paese come la Corea del Nord, dove il regime comunista è talmente personalistico da assumere i tratti di una vera e propria monarchia.
Dunque, la sostituzione dei quadri rappresenta l’equivalente regale dell’avvicendamento di nobili, cancellieri ed eminenze grigie all’interno di una corte.
 
La sua presa sul potere appare consolidarsi proprio attraverso queste prove di forza, nonché tramite provocazioni e atteggiamenti di sfida nei confronti della comunità internazionale che hanno l’effetto di cementare la legittimità del capo dinanzi agli alti gradi delle forze armate.
In quest’ottica va letta la recente minaccia di lanciare un nuovo tipo di test nucleare, dove per «nuovo tipo» si intende, con molta probabilità, un programma di detonazioni simultanee di cariche alimentate sia con uranio che con plutonio.
Così come nel test del febbraio 2013, anche in questo caso esso seguirebbe un periodo di importanti epurazioni.
Tuttavia, è improbabile che la Corea del Nord sia in procinto di effettuare nel breve periodo il quarto test nucleare della sua storia per due motivi principali: in primo luogo, Kim Jong-un dovrebbe modificare la prassi tradizionalmente seguita, che vede il test nucleare sempre preceduto da un test missilistico; in secondo luogo, mentre recenti immagini satellitari segnalano movimenti nei pressi del sito di Punggye-ri e della stazione di lancio di Sohae, la preparazione di test nucleari o missilistici non sembra essere ancora in corso.
In un momento in cui il delicato equilibrio nell’area è messo già a dura prova dalle continue tensioni che interessano i diversi attori della regione, un’eventuale provocazione del regime nordcoreano potrebbe portare ad un pericoloso innalzamento dei toni, con forti ripercussioni sulla stabilità dell’intero scenario Pacifico.
 
La retorica incendiaria di Pyongyang ha però indotto i Paesi coinvolti nei Six-Party Talks a riattivare i canali diplomatici per la ripresa dei negoziati sulla denuclearizzazione della Corea del Nord. In particolare, la Cina sta lavorando alacremente per trovare un terreno di convergenza tra Corea del Nord e Stati Uniti.
Nonostante ciò, le parti sembrano essere ancora lontane persino riguardo le pre-condizioni da soddisfare per la riapertura delle trattative: mentre gli USA chiedono che i nordcoreani facciano un primo passo verso lo smantellamento degli impianti nucleari, Pyongyang ha avanzato più di una richiesta, tra cui il ritiro delle sanzioni ONU, la fine delle esercitazioni militari USA-Corea del Sud e il riconoscimento dello stato di potenza nucleare.
Altri ostacoli possono essere rappresentati dalle diverse questioni aperte tra i Paesi che partecipano ai Talks, come la situazione nell’est dell’Ucraina che interessa Russia e USA e lo scontro Cina-Giappone per la sovranità sulle isole Senkaku-Diaoyu.
La ripresa del dialogo dipenderà molto dalla volontà di ciascun attore di tenere separate queste vicende dall’obiettivo finale della denuclearizzazione in Corea del Nord.
La vicinanza tra Cina e Russia, il recente riavvicinamento tra Corea del Nord e Giappone per la questione degli «abductees» (i cittadini giapponesi rapiti dal regime dei Kim) e la volontà dichiarata da parte della Corea del Sud di rimuovere le sanzioni nei confronti dei vicini per l’affondamento della corvetta Cheonan nel 2010 rappresentano segnali importanti nella direzione del dialogo.
In ultimo, però, solo una dimostrazione di flessibilità da parte di USA, Giappone e Corea del Sud da un lato e della Corea del Nord dall’altro potrebbe assicurare una riedizione dei Six-Party Talks.
 
Davide Monaco
(Ce.S.I)

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