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Il Ciad tra protagonismo internazionale e problematiche interne

Le crisi in Mali e nella Repubblica Centrafricana hanno fornito a N’Djamena un ruolo militare e diplomatico sempre più incisivo – Di Vincenzo Gallo

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Per spiegare con cognizione di causa la situazione in cui ha perso la vita la giovane collega fotoreporter Camille Lepage (vedi nostro servizio), abbiamo ritenuto utile pubblicare un paio di articoli sulle profonde mutazioni che stanno attraversando la Repubblica Centraficana (vedi).
Oggi parliamo del Ciad.

Nell’ultimo decennio, Il Ciad ha sperimentato un processo di trasformazione politica, sia interna sia estera, che ha accresciuto il suo ruolo di attore regionale coinvolto nella stabilizzazione delle diverse crisi scoppiate nell’ultimo biennio in Africa.
Infatti, la profonda instabilità che caratterizza la fascia saheliana e la regione centrafricana ha reso sempre più evidente la problematica connessa alle lacune del potere statale in territori difficilmente controllabili e il continuo susseguirsi di insorgenze su base etnico-settaria.
In particolare, le crisi in Mali e nella Repubblica Centrafricana hanno fornito a N’Djamenal’opportunità di candidarsi a svolgere un ruolo militare e diplomatico sempre più incisivo in questi difficili teatri.
Il Presidente ciadiano, Idriss Deby Itno, al potere ininterrottamente dal 1990, ha saputo raccogliere senza esitazioni questa sfida partecipando attivamente alle operazioni militari internazionali sotto l’egida delle Nazioni Unite, dell’Unione Africana o in appoggio ai contingenti francesi impegnati nel nord del Mali e in Repubblica Centrafricana.
Tale atteggiamento proattivo ha avuto il triplice effetto di favorire il rafforzamento delle relazioni con quei Paesi occidentali impegnati nella lotta al terrorismo in Africa, in primis Francia e Stati Uniti, di dimostrare all’opinione pubblica internazionale la volontà del N’Djamenadi impiegare le ingenti risorse destinate alla difesa non solo per scopi di sicurezza interna ma anche per il mantenimento della stabilità regionale, e infine di consolidare il proprio ruolo di attore emergente in Africa.
 
Lo sforzo prodigato dal Ciad ha comportato un sacrificio non trascurabile in termini di risorse economiche e di vite umane. Si calcola, infatti, che per il solo intervento in Mali, N’Djamenaabbia speso 114 milioni di dollari, oltre ad aver perso sul campo di battaglia oltre 30 uomini.
Sia la missione in Mali, l’African-led International Support Mission to Mali (AFISMA), sia quella di prossima realizzazione nella Repubblica Centrafricana, l’United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission In the Central African Republic (MINUSCA), hanno largamente beneficiato dall’apporto delle truppe ciadiane, particolarmente apprezzate e considerate tra le meglio addestrate e equipaggiate dell’Africa sub-sahariana per le operazioni di guerra nel deserto.
Nell’ultimo decennio gli ingenti introiti derivanti dall’estrazione di petrolio hanno permesso a Deby di investire cifre considerevoli nel settore difesa. Secondo i dati attuali, il Ciad ha destinato nel 2011 il 2,6 % del proprio PIL alle spese militari.
Allo stato attuale le forze armate ciadiane possono contare su quasi 30.000 uomini ed un equipaggiamento sofisticato.
Il principale fornitore di armi del Ciad è l’Ucraina. Kiev, infatti, ha venduto al Ciad oltre 130 veicoli blindati tipo IFV BMP-1, IFV BMP-1U e BTR-3U Guardian, due elicotteri da combattimento Mi-24V/Hind-E e sei aerei SU-25/Frogfoot dal 2008 al 2010, mentre nel 2011 ha consegnato cinquanta missili SAM (terra-aria) spalleggiabili tipo Igla-1/SA-16-Gimlet.
Anche Belgio, Russia, Italia, Israele e Cina hanno fornito armamenti al Ciad facendo lievitare in misura considerevole la spesa militare, in particolare dal 2007 al 2009.
 
Il grande potenziale bellico del Ciad rispetto agli standard continentali e la forte volontà della classe dirigente hanno facilitato il rafforzamento della cooperazione e una serie di accordi politici e militari con l’ex madrepatria francese.
N’Djamenacontinua ad essere un alleato privilegiato per Parigi nella regione che si è rivelato essenziale quando a gennaio del 2013 le truppe transalpine sono intervenute per scongiurare l’avanzata dei gruppi armati legati ad Al-Qaeda durante la crisi maliana.
I 2250 militari ciadiani hanno giocato un ruolo decisivo nelle operazioni di respingimento delle milizie islamiste nella zona di Gao e Kidal. A loro si deve, tra l’altro, l’uccisione di un elemento di spicco di al-Qaeda nel Maghreb Islamico, Abou Zeid.
Molto più controverso e dibattuto, invece, è il ruolo del Ciad nella crisi della Repubblica Centrafricana. La maggior parte degli osservatori concordano nell’affermare che le vicende politiche centrafricane dell’ultimo decennio siano state fortemente condizionate dall’azione di Deby e le interferenze di N’Djamenanelle questioni interne di Bangui hanno addirittura permesso l’insediamento dell’ex presidente Francois Bozizè nel 2003 dopo aver rovesciato il governo dell’allora leader Ange-Felix Patassé.
Anche le vicende dell’ultimo anno hanno visto Deby operare dietro le quinte, ma questa volta Bozizé si è visto negare l’appoggio dell’ex alleato per contrastare l’avanzata della coalizione dei ribelli del Seleka, di fatto favorendo il colpo di Stato e l’assunzione del potere da parte di questi ultimi.
Si è accertato, infatti, che un gran numero di irregolari ciadiani si sono aggregati ai gruppi armati afferenti a Seleka. Presumibilmente, l’obbiettivo del Ciad è stato quello di sfruttare le debolezze interne del regime di Banguì per favorire l’ascesa di una nuova élite di potere fedele a N’Djamena.
 
Anche il successivo invio di un nutrito contingente militare nel contesto della missione africana MISCA (Mission internationale de soutien à la Centrafrique sous conduite africaine) va interpretato nell’ottica di proiezione egemonica ciadiana in Repubblica Centrafricana. Tuttavia, il comportamento indisciplinato e gli abusi di potere dei soldati ciadiani si sono rivelati preso un boomerang per le aspirazioni politiche di Deby.
Ad esempio, lo scorso dicembre Bangui è stata scossa da violenti scontri inter-tribali in cui i peacekeeper di N’Djamenahanno aperto il fuoco contro i manifestanti, esacerbando ulteriormente il già teso clima nella capitale centrafricana.
Anche le Nazioni Unite hanno puntato il dito contro l’Esercito ciadiano, accusandolo di abuso nell’uso della forza contro la popolazione civile.
Nello specifico, uno dei casi finiti sul tavolo degli imputati è la strage del 29 marzo al mercato di Banguì, quando i soldati ciadiani avrebbero aperto il fuoco sulla folla, uccidendo trenta persone e provocando il ferimento di altre 300, la maggior parte cristiani.
In questo delicato contesto è maturata, all’inizio di aprile di quest’anno, la decisione di Deby di ritirare il proprio contingente dalla missione MISCA a seguito dell’ennesima accusa di connivenza con i ribelli e le milizie di religione islamica.
 
Nonostante le velleità egemoniche regioni, il Ciad si trova a dover affrontare notevoli problematiche domestiche che potrebbero rallentare il protagonismo internazionale di Deby e determinare lo sviluppo di instabilità interna.
Infatti, persistono sacche di resistenza, tra cui quella costituita dall’UFR (Union des Forces de la Resistance), che periodicamente minacciano di riprendere la lotta armata se il governo si rifiuta di negoziare.
L’UFR, è nata dalla fusione di tre gruppi ribelli, l’UFDD ( United Force for Democracy and Development) di Mahamat Nouri, la RFC (Rally of Forces for Change) di Timan Erdimi e l’UFDD «Fondamentale» di Abdelwaid Aboud.
Queste formazioni condividevano l’obiettivo di rovesciare il governo di Deby, accusato di favorire l’etnia di potere Zagawa e di includerne i membri nei ruoli chiave della politica e dell’esercito a scapito di altri gruppi.
Secondo i ribelli, gli Zagawa, pur rappresentando solo il 3% della popolazione, occupano posizioni privilegiate e sono i soli a partecipare alla redistribuzione dei proventi dell’industria petrolifera.
Tuttavia, anche il fronte dei Zagawa non è compatto ed omogeneo. Infatti, a maggio, inoltre, il governo ha dichiarato, senza fornire ulteriori dettagli, di aver scongiurato un nuovo colpo di Stato dopo aver catturato diversi presunti responsabili.
Pur non essendo in discussione la supremazia politica all’interno del Paese, Deby deve pur sempre fare i conti con le voci dissidenti della sua stessa etnia, i Zaghawa, come dimostrato dalla serie di arresti a seguito del fallito putsch.
 
Nella gestione delle opposizioni e dei fenomeni entropici interni, N’Djamenapuò contare sul prezioso supporto della Francia, come nel caso della ribellione dell’UFR nel 2008.
Infatti, in quel momento la tenuta del governo di Deby appariva realmente a rischio e soltanto l’intervento delle Forze Armate di Parigi hanno scongiurato il rovesciamento violento dell’establishment di potere.
I timori di nuovi sconvolgimenti interni sono alla base della decisione ciadiana di ospitare diverse istallazioni militari francesi nel territorio ciadiano, tra cui una base di 950 soldati per il monitoraggio del Sahel e dell’Africa Centrale.
Il petrolio gioca un ruolo determinante per le ambizioni di politica estera e per la stabilizzazione del fronte interno ciadiani.
Infatti, oltre allo strumento militare, la leva energetica e i grandi progetti infrastrutturali ricoprono un ruolo fondamentale nella strategia di Deby.
Dall’inaugurazione dell’oleodotto Ciad-Camerun nel 2003, l’estrazione di greggio ha fruttato dieci miliardi di dollari alle casse dello Stato, permettendo l’avvio di importanti programmi infrastrutturali con l’aiuto della Banca Mondiale.
Lo stesso oleodotto, costato 4,2 miliardi di dollari, ha visto la partecipazione di quest’ultima e di un consorzio di compagnie petrolifere formato da ExxonMobil, Chevron e Petronas.
Negli ultimi anni la capacità produttiva nel settore estrattivo ha subito svariate fluttuazioni dovute essenzialmente all’andamento altalenante dei prezzi e della domanda mondiale, ma, dopo aver raggiunto la quota record di 173.000 barili al giorno nel 2005, la produzione si è ormai attestata a 120.000.
 
Il Paese ha sperimentato un decennio di crescita economica sostenuta grazie non solo allo sfruttamento delle risorse petrolifere, ma anche alla produzione del cotone, per i quali sono stati approntati programmi di investimenti per i prossimi cinque anni destinati ad aumentarne le esportazioni.
Il PIL ha fatto registrare un incremento del 7% nel 2012 e 2013, ma le previsioni parlano addirittura di una crescita a due cifre per il 2014 (11%).
Il governo si è impegnato ad implementare una politica fiscale rigorosa per contrastare il debito pubblico e l’inflazione.
Dopo un biennio di scarsi raccolti dovuti alla siccità, il livello dei prezzi si è stabilizzato, passando dal 7% del 2012 al 3% nel 2013. Molte, però, restano le sfide da affrontare per favorire lo sviluppo di lungo periodo.
Il Paese sconta ancora una grave carenza di infrastrutture, specialmente nelle aree lontane dai centri urbani, come pure la mancanza di personale qualificato nei settori a maggiore crescita.
Nonostante il netto miglioramento dei conti pubblici nell’ultimo decennio, ancora oggi l’agricoltura di sussistenza interessa circa otto ciadiani su dieci, mentre nelle aree rurali, secondo il World Food Programm, oltre la metà della popolazione vive al di sotto del livello di povertà.
In questo contesto sociale la popolarità di Deby potrebbe uscirne compromessa, specialmente da quando la spesa militare e gli interventi all’estero di cui si è detto hanno sottratto non poche risorse alla politiche interne di sviluppo.
La spesa di oltre 600 milioni di dollari per acquistare caccia, elicotteri e veicoli blindati non è passata inosservata agli occhi dei detrattori del presidente.
 
È auspicabile che con il recente ritiro delle truppe dalla Repubblica Centrafricana l’impegno militare e economico del Ciad nella regione si riduca progressivamente e che Deby possa avviare una politica di normalizzazione dei rapporti con i dissidenti al proprio interno.
Non è da escludere, tuttavia, che l’Esercito sia fatto rientrare in patria per evitare che le istituzioni e l’establishment di potere si possa trovare impreparato e indifeso di fronte ad una nuova ribellione.
I ribelli hanno dato ripetutamente prova della loro pericolosità.
L’UFR ha annunciato di essere ben armato e pronto a riprendere l’insurrezione in qualsiasi momento.
In definitiva, le scelte di politica estera hanno senza dubbio fornito al Paese una maggiore visibilità e spessore, ma le questioni interne irrisolte che periodicamente si ripropongono sotto forma di ribellione armata andrebbero affrontate con una certa priorità.
La calma apparente, quindi, non dovrebbe essere interpretata da Deby e il suo entourage come la disfatta delle opposizioni ed un motivo per abbassare la guardia.
Del resto, la popolazione deI Ciad resta tra le più povere al mondo nonostante gli introiti petroliferi e questo potrebbe essere un motivo per sostenere la causa delle forze ribelli.
 
Vincenzo Gallo
(Ce.S.I.)

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