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La corsa della Francia all'uranio in Niger – Di Daniel Chiabolotti

Una precisa ragione all'origine: la Francia detiene il singolare primato mondiale di produttore di energia elettronucleare a scopo civile

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L’elettricità prodotta dai 58 reattori nucleari operativi in Francia contribuisce per il 74% del mix energetico nazionale: la Francia detiene infatti il singolare primato mondiale di produttore di energia elettronucleare a scopo civile.
«Areva», il colosso dell’energia atomica controllato quasi interamente dallo Stato francese, gestisce l’intera filiera della produzione di energia: dall’approvvigionamento delle materie prime necessarie, allo stoccaggio delle scorie radioattive, dalla realizzazione e progettazione dei reattori nucleari, alla distribuzione di energia alla rete elettrica nazionale.
Di fronte al ruolo preponderante ricoperto dal nucleare nel fabbisogno energetico francese, la ricerca e il controllo di giacimenti di «oro grigio» risulta di importanza strategica nazionale.
Il Niger rappresenta attualmente il principale fornitore di uranio necessario al funzionamento dei reattori transalpini. Basti pensare che un terzo del combustibile proviene dalle miniere situate nella regione settentrionale del Paese localizzate presso i siti estrattivi di Arlit e Akokan, nelle regioni centro-settentrionali nigerine.
Areva opera in questi giacimenti attraverso le controllate SOMAIR e COMINAK, di cui il governo nigerino possiede parte delle quote societarie.
Attualmente una terza miniera, la più grande di tutto il continente, è in fase di realizzazione presso Imouraren, a 80 km a sud dal sito di Arlit.
L’entrata a pieno regime di quest’ultima miniera, stimata in una produzione annua di 5000 tonnellate, permetterà al Niger di posizionarsi al secondo posto tra i produttori mondiali di uranio.
 
Nell’ultimo anno, in seguito allo scadere delle concessioni per lo sfruttamento dei siti di Arlit e Akokan, Areva si è vista impegnata in un lungo processo di rinegoziazione con il governo di Niamey.
I negoziati, che hanno raggiunto conclusione negli ultimi giorni del mese di maggio, hanno comportato il prevalere di una serie di istanze promosse in prima linea dal Presidente nigerino Mahamadou Issoufou.
Due sono le novità del nuovo contratto di concessione.
Il primo, in applicazione di una legge del 2006 sullo sfruttamento delle risorse minerarie, prevede l’incremento della tassazione sull’estrazione di uranio dall’attuale 5,5 % al 12%. Questa variazione dell’aggravo fiscale, oltre che porre fine al regime agevolato di cui godeva Areva, renderà molto più onerosi i costi di estrazione per la società francese, in concomitanza ad un periodo in cui il costo dell’uranio è notevolmente calato a causa della crisi di Fukushima: dai 70 dollari per circa mezzo chilogrammo di cinque anni fa agli attuali 35 dollari.
In secondo luogo, il Presidente Issoufou ha ottenuto una maggiorazione nella quota dei ricavi estrattivi riservati allo Stato nigerino, oltre ad aver costretto Areva a sostenere i costi per il rifacimento infrastrutturale dei siti di Arlit e Akokan nonché della strada che collega i poli industriali settentrionali con il porto di Cotonou in Benin, sbocco privilegiato di Niamey per la commercializzazione dell’uranio. 

 Un braccio di ferro con potenze emergenti  
Una serie di fattori possono spiegare il braccio di ferro che ha contraddistinto la fase dei negoziati e la perdita di alcuni privilegi da parte di Areva.
Innanzitutto, il ridimensionamento dell’influenza francese nei confronti della sua ex colonia, in parte dovuta all’affermazione di nuovi competitor nella corsa all’uranio quali India, Cina e Corea del Sud, interessanti a diversificare l’approvvigionamento energetico. La presenza di più società minerarie ha inasprito la concorrenza, favorendo il potere contrattuale di Niamey.
In questo contesto, uno degli attori più incisivi è la Cina che, attraverso la realizzazione di infrastrutture e la penetrazione in altri settori commerciali ha migliorato i rapporti bilaterali ed è riuscita a guadagnarsi i permessi per l’estrazione di uranio nel giacimento di Azilik, nella regione di Agadez.
Il nuovo piano energetico cinese prevede la realizzazione di dieci nuovi impianti nucleari da qui al 2030, rendendo quindi necessaria la ricerca di provider in grado di soddisfare la domanda del prezioso minerale.
 
Se dal punto di vista energetico il Niger catalizza l’attenzione di un numero crescente di potenze mondiali, l’accaparramento delle preziose risorse potrebbe risultare difficoltoso nel prossimo futuro.
La principale preoccupazione degli osservatori internazionali è costituita dalla crescente instabilità regionale, resa evidente dall’incremento di attività ostili da parte dei gruppi jihadisti.
In conseguenza di ciò, l’apertura della miniera di Imouraren ha subito diversi ritardi: dal 2012, data inizialmente prevista, si è scivolati al 2015, a causa di una serie di attentati e del rapimento, nel novembre 2010, di sette dipendenti francesi di Areva da parte di Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI).
Al fine di evitare altri attacchi, truppe speciali francesi presidiano al momento i siti d’estrazione. In questo senso, l’intervento francese in Mali e l’operazione Serval possono essere interpretati non solo come il tentativo di pacificare Bamako, ma soprattutto come lo sforzo transalpino di arginare il dilagare del fenomeno jihadista nel Sahel.
Tuttavia, il governo di Parigi, pur cercando di scongiurare i rischi di un contagio insurrezionale nella fascia saheliana, con l’utilizzo dello strumento militare ha determinato una migrazione dei gruppi jihadisti verso i Paesi limitrofi al Mali e, soprattutto, ha attirato le ire dell’universo salafita africano, deciso a colpire obbiettivi francesi per ragioni propagandistica.
Gli effetti collaterali di questa politica sono stati resi evidenti dagli attacchi dello scorso anno ai siti di Arlit ed Agadez, scagliati dalle milizie di Mokhtar Belmokhtar.
Uno degli aspetti più pericolosi è la potenziale commistione tra i gruppi jihadisti del Sahel e le realtà tuareg del nord del Niger, generalmente avverse al governo centrale e ciclicamente impegnate in azioni ostili contro le sue Forze Armate.
Non è da escludere che, in un prossimo futuro, le tribù tuareg nigerine replichino il modello di insurrezione messo in atto dalle «gemelle» nord maliane nel 2011-2013.  
  
 L'insana presenza della setta di Kanuri Boko Haram
Oltre alle minacce provenienti dal nord, il Niger si trova ad affrontare la penetrazione, nelle aree meridionali, da parte della setta salafita di etnia Kanuri Boko Haram, che da oltre due anni ha incrementato i propri proseliti nelle regioni più povere del Paese e nella zona del lago Ciad.
La strategia adottata dal gruppo jihadista mira a ricavare informazioni, in particolare sui movimenti delle forze di sicurezza nella regione, attraverso l’ausilio di bande di giovani costretti dalla miseria ad arruolarsi in cambio di pochi dollari.
Al momento, Boko Haram utilizza il territorio nigerino come retrovia logistica per gli attacchi nel nord della Nigeria, ma non è da escludere che nel prossimo possa mirare a creare strutture para-statali in diretta concorrenza con il governo centrale.
In quel caso, l’insorgenza che caratterizza il nord della Nigeria potrebbe estendersi al sud del Niger.
Le necessità francesi di approvvigionamento di uranio e la contemporanea crescita delle minacce alla stabilità e alla sicurezza del Niger impongono al governo di Parigi il ripensamento della propria strategia politica e militare in Africa.
La crisi maliana e quella centrafricana hanno messo in evidenza come la Francia, in un contesto di razionalizzazione della spesa militare e di riorganizzazione delle risorse da impegnare nell’ex impero coloniale, rischia di perdere la tradizionale influenza in teatri un tempo esclusivi.
Dunque, per mantenere alcuni canali politici ed economici privilegiati, l’Eliseo dovrebbe intensificare le relazioni con le organizzazioni regionali africane e con qualche potenza continentale in grado di fungere da «testa di ponte» per il mantenimento dell’influenza francese.
In questo senso, un primo tentativo è stato fatto con il Ciad, che ha supportato le azioni francesi in Africa sia nel caso della crisi maliana che in quello della crisi centrafricana.
 
Daniel Chiabolotti
(Ce.S.I.)

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