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Rischi euroscetticismo nel «Quadrante europeo»

Per contrastare il pericolo l’Ue ha messo a punto due principali strumenti: l’European Stability Mechanism e le operazioni cosiddette OMT della BCE

I nostri lettori ricorderanno certamente due aspetti che avevamo rilevato in tutta la loro incongruenza l’indomani delle elezioni europee, proprio in tema di euroscetticismo.
Ci eravamo chiesti infatti con quale coerenza politica un euroscettico avesse voluto candidare per il parlamento europeo.
E ci eravamo invece indignati quando gli euroscettici entrati in parlamento avevano voltato la schiena all’orchestra che intonava l’inno europeo, l’inno alla gioia di Beethoven e Schiller.
Ora vediamo i rischi e le misure prese per contrastare l’euroscetticismo.

L’inadeguatezza strutturale e la scarsa tempestività di molte delle misure adottate dai governi nazionali e dalle istituzioni europee per far fronte alla crisi economica globale alimenta sempre più tensioni e frustrazioni all’interno delle opinioni pubbliche di molti paesi europei.
Tali sentimenti sono emersi nelle elezioni per il Parlamento europeo di maggio, in occasione delle quali partiti espressione di istanze populiste, nazionaliste e xenofobe hanno raccolto un numero consistente di consensi.
Se da un lato la presenza in Parlamento di forze critiche delle politiche e degli attuali assetti dell’Ue potrebbero rappresentare una risorsa, anche in vista di una futura riforma istituzionale, il vero rischio è rappresentato dall’emergere di atteggiamenti euro-disfattisti che metterebbero a rischio l’intero progetto d’integrazione europea.
I rischi più immediati legati a un risultato di questo tipo consistono soprattutto negli ostacoli che tali forze politiche potrebbero opporre al normale svolgimento dei processi politici europei – soprattutto la funzione legislativa, che dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona viene svolta in via ordinaria secondo la procedura di un tempo nota come codecisione con il Parlamento europeo.
Inoltre, atteggiamenti ostruzionistici potrebbero rendere più difficoltosa la delicata fase di transizione che nella seconda metà dell’anno vedrà la nomina della nuova Commissione e del suo Presidente, del Presidente del Consiglio europeo, dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di difesa e del Presidente del Parlamento europeo.
 
 Derive autoritarie negli stati membri dell’Europa centrale?
La crisi economica e l’indebolimento politico dell’Ue ha favorito in alcuni stati membri dell’Europa centrale l’ascesa al potere di figure politiche che negli ultimi tempi hanno a volte assunto posizioni ultra-nazionaliste e antidemocratiche.
Il presidente della Repubblica ceca Miloš Zeman, il primo ministro ungherese Viktor Orban, il primo ministro rumeno Victor Ponta si sono distinti per le loro campagne elettorali aggressive, un esercizio del potere con modalità che molti osservatori hanno definito tendenzialmente autoritarie e i ripetuti tentativi di forzare le strutture istituzionali e i meccanismi di garanzia democratica dei rispettivi paesi.
Le dichiarazioni e le politiche di Orban, in particolare, si distinguono per un atteggiamento apertamente antieuropeista.
 
 Figure politiche di questo tipo rischiano di indebolire ulteriormente l’UE
La quale vede messa in crisi la propria funzione di agente di stabilizzazione e democratizzazione della regione, che aveva esercitato in maniera efficace nel periodo successivo alla fine della guerra fredda.
Inoltre, si prospettano sempre più frequenti richiami e interventi da parte delle istituzioni europee – come già avvenuto a seguito del tentativo di Ponta di esautorare il presidente Basescu nell’estate del 2012 – che a loro volta possono generare ulteriori tensioni politiche all’interno dell’Ue.
Infine, un’Unione percepita come incapace di garantire al proprio interno il rispetto dei principi democratici rischia di vedere diminuire la propria capacità di attrazione e stabilizzazione nei confronti dei paesi del vicinato meridionale e orientale.
 
 Rischio di fallimento del progetto di unione bancaria europea
Il progetto presenta diverse difficoltà tecniche e politiche. I due ostacoli principali sono, da un lato, il possibile fallimento della fase di preparazione dell’unione, già pienamente avviata, organizzata dalla Banca centrale europea (Bce) e che avrà termine tra ottobre e novembre 2014.
Questa fase consiste in una valutazione accurata della situazione dei rischi delle principali 130 banche europee, rischi da affrontare prima che la Bce assuma effettiva responsabilità della supervisione bancaria centralizzata.
Potrebbero venire alla luce alcune situazioni bancarie molto compromesse, cui sarà difficile porre rimedio. Inoltre, potrebbero nascere duri contrasti su come rimediare a situazioni anche non molto gravi, dovendo procedere con decisioni, strumenti e fondi ancora nazionali, persino quando le banche in difficoltà sono multinazionali.
Dall’altro lato, malgrado sia stato trovato l’accordo sulla gestione delle crisi a partire dal 2015, il Single Resolution Mechanism potrà disporre di un fondo solo progressivamente sovranazionale (e, per il primo anno, quasi per nulla).
La gestione delle crisi potrebbe dunque incorrere in forti ostacoli durante l’iter di discussione e approvazione della risoluzione di banche insolventi.
Un’unione bancaria menomata nelle competenze e azzoppata nei poteri sarebbe un segno di debolezza politico-finanziaria che l’eurozona pagherebbe con una crisi potenzialmente ancor più violenta di quella del 2011, e che per l’Italia sarebbe particolarmente grave.
 
 Rischio di rinnovati attacchi speculativi ai paesi periferici
E questo in assenza di un adeguato funzionamento dei meccanismi predisposti per combatterli.
Per ragioni di incertezza politica o di peggioramento della crisi economica, uno o più paesi dell'eurozona potrebbero subire nuovi attacchi da parte dei mercati finanziari, riproponendo i sospetti sulla loro effettiva capacità di «rimanere nell'euro».
Nel caso dell’Italia, ciò potrebbe essere anche una conseguenza di un rialzo mondiale dei tassi di interesse, che graverebbe in modo speciale sull’entità del nostro debito pubblico.
Per combattere questi rischi l’Ue ha messo a punto due principali strumenti: l’European Stability Mechanism e le operazioni cosiddette OMT della BCE. In entrambi i casi non si tratta però di strumenti in grado di essere avviati con la prontezza necessaria a fronteggiare un attacco improvviso.
 
 Per ora essi hanno prodotto effetti stabilizzanti soprattutto tramite le aspettative indotte
Tali strumenti hanno tuttavia un impianto complesso, implicando richieste ufficiali di aiuto da parte dei paesi colpiti, che questi tendono a rinviare quanto più possibile per non pagarne il costo politico e in termini di reputazione, e comportando accordi bilaterali fra le autorità europee e i paesi destinatari dell’intervento relativi a politiche di aggiustamento che diventino più severe durante l'erogazione degli aiuti.
Queste complessità potrebbero renderli inadatti nel momento in cui dovessero essere effettivamente e materialmente messi in funzione.
Non mancherebbe allora la possibilità di inventare nuovi strumenti più flessibili e ancora più potenti, ma i tempi per elaborazione e effettivo impiego sarebbero tali da non assicurare la possibilità di evitare nuovi seri turbamenti dell'eurozona.
 
 Destabilizzazione dell’Ucraina e inasprimento dei rapporti con la Russia
Gli esiti finora modesti raggiunti dagli Stati Uniti e dell’Ue nella gestione della crisi ucraina rendono sempre più incombenti i rischi provenienti dall’area del vicinato orientale dell’Unione europea.
Al momento, i progetti di riforma costituzionale ed economica promossi dagli alleati occidentali e portati avanti dalle forze politiche salite alla guida del paese dopo la fuga del presidente Yanukovich non paiono in grado di offrire alcuna soluzione duratura al problema della forte polarizzazione interna dell’Ucraina.
Oltre ad affrontare i soliti problemi derivanti dal complicato processo di definizione di una politica estera comune, l’Unione europea si trova a dover gestire una politica estera russa che mette in forte crisi tutti i canali di collaborazione all’interno dei quali erano state gestite le relazioni con Mosca dopo la fine della guerra fredda.
 
 L’Unione è posta di fronte a due alternative ugualmente sfavorevoli
impegnarsi in un confronto sempre più aspro con la Russia, senza poter tuttavia offrire realistiche prospettive di adesione all’Ucraina, oppure accettare l’intervento della Russia in Crimea e la prospettiva della secessione – più o meno ufficiale – di una parte del paese come un fatto compiuto, ammettendo la propria incapacità di esercitare influenza in un’area di notevole interesse strategico.
 
 L’(in)capacità/(in)disponibilità dell’UE ad attrarre nuovi membri
Le rivolte popolari che hanno caratterizzato la prima fase della crisi in Ucraina – scatenate dalla mancata firma dell’accordo di associazione con l’Unione europea nel vertice di Vilnius del 28-29 novembre 2013 – dimostrano che l’Europa costituisce ancora un forte polo d’attrazione.
Nonostante ciò, l’atteggiamento introverso generato dalla crisi economica e politica, con un’attenzione quasi esclusiva su questioni socio-economiche da parte dei governi nazionali e dei rappresentanti delle istituzioni europee, si traduce in un impegno insufficiente da parte dell’Unione europea nei confronti delle opportunità e dei problemi legati alle politiche di allargamento.
In particolare, l’UE si è dimostrata finora incapace di elaborare approcci specifici commisurati alle caratteristiche politiche, demografiche e strategiche dei vari paesi candidati.
Il caso della Turchia è significativo, poiché l’inazione europea rende sempre meno allettante la prospettiva dell’adesione per Ankara – che intanto elabora indirizzi strategici alternativi – e mette in evidenza l’incapacità dell’UE di combinare la tutela dei propri equilibri interni con lo sviluppo di relazioni trasparenti con i paesi candidati.
L’immobilismo europeo rischia così di scoraggiare l’ingresso anche dei candidati balcanici (Montenegro, Macedonia, Serbia, Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo) la cui sicurezza strategica ed economica dipende fortemente dal loro legame con l’Ue e la cui membership non altererebbe troppo gli equilibri politici esistenti.
Il risultato potrebbe essere una diminuzione ulteriore della capacità d’attrazione dell’Ue e la perdita di un’importante eredità politica del processo d’integrazione europea.

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