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Ecco come si intende neutralizzare la minaccia del terrorismo

L’operazione militare internazionale contro lo Stato Islamico in Iraq e Siria in una preziosa analisi di Gabriele Iacovino, Andrea Ranelletti e Francesco Tosato

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A ormai tre mesi dall’annuncio da parte del Califfo Ibrahim, meglio conosciuto come Abu Bakr al-Baghdadi, della formazione di un califfato nei territori controllati in Iraq e Siria dalla sua organizzazione, il movimento salafita jihadista dello Stato Islamico (IS), si amplia ulteriormente il fronte della battaglia internazionale contro la minaccia fondamentalista nel Medio Oriente.
Lunedì 22 settembre, gli Stati Uniti hanno lanciato una serie di attacchi in territorio siriano, prendendo di mira in particolar modo la cittadina siriana di Raqqa, roccaforte di IS, e obiettivi situati nelle province di Hasakah e Deir ez-Zor, dove l’organizzazione islamista ha radicato il proprio controllo in maniera più efficace negli ultimi mesi.
Le difficoltà nel contrastare l’offensiva di IS in territorio iracheno senza ledere il controllo detenuto dal gruppo in Siria e la volontà di privarlo, come affermato dal Capo di Stato Maggiore statunitense Martin Dempsey, dei suoi safe havens, sono le principali ragioni dietro l’offensiva aerea statunitense.
La recente diffusione delle immagini dell’esecuzione di due giornalisti statunitensi e di un operatore umanitario britannico da parte di IS ha inoltre contribuito ad accelerare l’escalation delle tensioni, inducendo il Presidente statunitense Barack Obama ad accettare una maggiore esposizione degli Stati Uniti all’interno del conflitto contro la formazione jihadista.
Sostenuti da una coalizione composta da Bahrein, Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Giordania, gli Stati Uniti hanno preso di mira depositi di armi, raffinerie petrolifere, basi logistiche ed edifici adibiti sia al controllo della cittadina, sia al comando dei suoi battaglioni e delle sue forze di polizia religiosa.
Nonostante non siano ancora chiare le modalità del supporto fornito dalle Forze del Golfo e dalla Giordania alle operazioni aeree americane, pare evidente come la loro partecipazione alle operazioni sia finalizzata a garantire la massima legittimazione all’interno dei Paesi arabi alle azioni statunitensi e a costituire un fronte coeso in grado di rispondere alla minaccia jihadista .
Nella notte di lunedì, le Forze statunitensi hanno inoltre lanciato un attacco contro villaggi (in particolar modo verso Kafr Derian, cittadina nella provincia di Idlib in mano a Jabhat al-Nusra) e postazioni controllati in Siria dai gruppi filo-qaedisti Jabhat al-Nusra (JN) e Khorasan.

 Focus Khorasan
Il nome «Khorasan» è stato utilizzato per la prima volta a metà settembre da James R. Clapper Jr., direttore della National Intelligence americana, descritto come una minaccia maggiore di IS per la sicurezza statunitense.
Il motivo principale della forza di questo gruppo è stato indicato da Clapper nel leader, Muhsin al Fadhli, un senior leader di al-Qaeda, in passato legato direttamente ad Osama Bin Laden.
Il fatto che questo annuncio sia stato fatto a meno di una settimana dall’inizio dei raid americani sulla Siria, durante i quali, stando alle dichiarazioni delle autorità militari americane, anche il gruppo Khorasan è stato colpito, lascia la sensazione che la volontà di Washington sia stata più quella di sottolineare la minaccia derivante anche da al-Qaeda in Siria e che quindi l’unico nemico non è IS, che indicare un nuovo reale protagonista dello scacchiera jihadista.
Infatti, anche da fonti sul campo in Siria, non vi sono delle reali conferme sull’effettiva esistenza di Khorasan, o meglio dell’effettiva presenza del gruppo su tutto il territorio siriano.
Nonostante questo, è da sottolineare il fatto che le autorità americane hanno giustamente sottolineato il fatto che in Siria, al di là dell’attuale attenzione mediatica nei confronti di IS, le minacce alla sicurezza regionale e internazionale provengano anche dai gruppi legati ad al-Qaeda, che, nonostante le attuali difficoltà «mediatiche e di marketing del terrore» nei confronti di IS, mantiene un ruolo forte all’interno del palcoscenico del jihadismo internazionale. Inoltre, a prescindere dall’esistenza o meno di Khorasan, il punto fondamentale è la presenza in territorio siriano di Muhsin al-Fadhli, circostanza, questa sì, confermata da più parti. 
 
Fadhli è un personaggio preminente del network qaedista.
Nato in Kuwait nel 1981, è uno dei membri di al-Qaeda della prima ora. Infatti, dai documenti del Dipartimento del tesoro americano, si ritrova il fatto che possa aver fatto parte di quella ristrettissima cerchia di persone attorno a bin Laden a conoscenza del fatto che nel settembre 2001 «gli interessi americani avrebbero potuto essere colpiti».
Ha svolto un ruolo primario, dal punto di vista finanziario e logistico, nell’organizzazione dell’attacco del 6 ottobre 2002 alla petroliera francese Limburg nel Golfo di Aden e di quello dell’8 ottobre dello stesso anno contro i Marines americani che si stavano addestrando sull’isola di Faylaka in Kuwait. Tra il 2011 e il 2012 è stato il leader di al-Qaeda in Iran. Infatti, quando le autorità di Teheran hanno arrestato Yasin al-Suri, principale facilitatore qaedista in territorio iraniano, la leadership centrale del network ha rapidamente inviato Fadhli per prendere il suo posto.
Quando le autorità iraniane hanno liberato Suri a metà 2013, Fadhli ha cambiato nuovamente scenario operativo ed è stato inviato direttamente da Zawahiri in Siria per sostenere l’operato di Mahommad al-Jaulani, leader di Jabat al-Nusra.
Di fatto, i suoi compiti sono stai principalmente due: da una parte, assicurarsi che al-Nusra applicasse pedissequamente le indicazioni provenienti dalla leadership centrale di al-Qaeda, soprattutto in termini di mantenere le distanze da IS.
Dall’altra, quello di costituire in Siria una struttura di reclutamento e addestramento di miliziani provenienti dall’estero, così da renderli in grado di apprendere nozioni e tattiche per compiere attentati una volta tornati a casa.
Alla luce di tutto questo, comunque, l’attacco americano ai danni delle due organizzazioni sembra teso a evitare il rischio che un eventuale indebolimento di IS, prodotto dalle operazioni aeree, possa essere sfruttato da al-Qaeda per cercare di rafforzare il proprio controllo sul territorio siriano.
 

 
 Quadro di situazione in Siria e Iraq
Sin dai giorni del definitivo allontanamento delle truppe lealiste nel marzo del 2013, Raqqa è stata al centro di una disputa tra i principali gruppi ribelli che hanno combattuto per la sua presa.
Nell’arco di pochi mesi, i militanti di IS hanno espanso il proprio controllo su alcuni dei principali quartieri della cittadina, riuscendo ad allontanare sia i battaglioni e le brigate legate al Free Syrian Army, sia i combattenti di Jabhat al-Nusra.
Il progressivo consolidamento della propria autorità su Raqqa, sulle campagne circostanti e sui principali centri e villaggi del Governatorato fino al confine con la Turchia, ha rappresentato una base fondamentale per l’espansione di IS in Siria e nel resto della regione, consentendogli di pianificare le proprie operazioni militari e guadagnare esperienza nel governo delle realtà locali.
Combinando l’applicazione di una rigida interpretazione della legge coranica, l’uso della violenza per reprimere il dissenso, l’islamizzazione delle principali istituzioni cittadine e la creazione di una rete sociale che ha creato consenso nelle fasce più disagiate della popolazione sunnita, IS è riuscito nel giro di appena un anno a prendere il completo controllo di Raqqa, sperimentando forme di governo locale che avrebbe poi applicato anche nelle province a Est di Aleppo e nell’area di Hasakah, Deir ez-Zor, oltre che a Mosul e Falluja.
Tale situazione ha contribuito a trasformare la cittadina nel cuore dello Stato Islamico, rendendo ad oggi comprendere quali prospettive si possano aprire per il futuro di Raqqa e della sua provincia in caso di un eventuale allontanamento di IS dai suoi territori. 
 
L’avvio delle operazioni in territorio siriano rivela come, dopo una lunga fase di esitazioni legate alla volontà di non trovarsi a rafforzare indirettamente la posizione del Presidente Bashar al-Assad all’interno della guerra civile, Washington abbia ormai maturato pienamente la consapevolezza di non poter contenere l’avanzata di IS nella regione mediorientale senza cercare di spezzare la continuità del controllo detenuto dal gruppo su un territorio che va da Aleppo Est fino ai governatorati iracheni di Diyala e al-Anbar.
Se le operazioni aeree avviate da Washington in Iraq nello scorso agosto hanno infatti rallentato la capacità delle forze jihadiste di espandersi nelle aree settentrionali e orientali del Paese, poca è stata la loro efficacia nel danneggiare effettivamente le capacità di IS di riorganizzarsi e muoversi in libertà a cavallo dei confini tra Siria e Iraq.
Le recenti notizie riguardanti una massiccia offensiva di IS, tesa a garantire una nuova espansione del gruppo nel governatorato di Hasakah e oltre il confine con l’Iraq dopo le recenti conquiste delle milizie curde siriane dell’YPG, rivelano come il gruppo abbia ancora la forza necessaria a lanciare nuove offensive e a tenere aperti un ampio numero di fronti di battaglia. 
 
Rimane complesso prevedere quali prospettive possano aprirsi per il fronte ribelle in seguito all’avvio dei bombardamenti contro IS in Siria.
La forte frammentazione presente all’interno del fronte anti-Assad, aggravata dalle difficoltà incontrate nell’ultimo anno dai vertici del Free Syrian Army (FSA) nel contenere le spinte centrifughe al proprio interno, rischia di impedire la formazione di una risposta «moderata» in grado di combattere le forze jihadiste sul terreno e rappresentare un interlocutore affidabile per la coalizione internazionale anti-IS.
Nonostante nelle ultime settimane sia stato possibile intravedere segnali positivi, tra cui la formazione di un fronte composto da combattenti del FSA, dell’YPG e di milizie legate al Fronte Islamico per lottare contro IS nell’area di Hasakah, sembra ancora difficile ipotizzare la formazione di un’armata compatta in grado di combattere IS all’interno dei territori che controlla nel Paese.
Resta inoltre da comprendere quale sarà la strategia adottata da Bashar al-Assad e dal suo Esercito per rispondere all’attuale situazione.
Nell’ultimo mese, in seguito all’avvio delle operazioni aeree contro IS in Iraq, il Governo di Damasco ha a più riprese ribadito la propria disponibilità a collaborare con una coalizione internazionale intenzionata ad attaccare le forze dello Stato Islamico, esigendo di essere messo anticipatamente a conoscenza delle operazioni che verranno svolte sul suo territorio.  
 
La conquista nella scorsa estate da parte di IS di numerose basi dell’Esercito e dell’Aeronautica siriana nel centro e nell’est del Paese ha causato il sostanziale abbandono di un’ampia porzione del Paese da parte delle forze lealiste, ora concentrate nel proteggere l’area di Latakia e nel combattere per il controllo di Damasco e di parte della fascia occidentale della Siria. Nonostante non vi siano fonti certe, è possibile ipotizzare che attraverso alcuni contatti, seppur indiretti, rappresentanti americani possano aver informato le autorità di Damasco dell’inizio delle operazioni nei cieli siriani. 
 


Sul versante iracheno, un fronte eterogeneo, composto da Peshmerga curdi, membri dell’Esercito e delle Forze di Sicurezza irachene, milizie sciite e gruppi di combattenti legati a tribù sunnite, continua a battersi contro le forze di IS nei vari governatorati.
Nel nord-est iracheno, forti di un nuovo carico di armi proveniente dalla Germania e del sostegno fornito dai combattenti curdi siriani, i miliziani curdi del Governo Regionale (KRG) sono per ora riusciti a contenere le pressioni effettuate dai battaglioni di IS per avanzare verso Erbil e Dohuk, battendosi su tre fronti principali: nell’area che va dalla diga di Mosul all’area di Makhmour, cittadina presa da IS e riconquistata dai Peshmerga a metà agosto; nell’area tra Hawija e Kirkuk, città di enorme importanza per la comunità curda; nell’area di confine tra il governatorato di Suleimaniya e quello di Diyala, tra le città di Jalula, Saadiya e Muqdadiyah, non distanti da Baghdad.
Nonostante i buoni esiti delle recenti battaglie contro lo Stato Islamico, è difficile immaginare che i soldati Peshmerga avrebbero potuto resistere alle pressioni di IS senza il sostegno aereo fornito dagli Stati Uniti, che hanno effettuato oltre 190 attacchi sulle postazioni controllate dal gruppo jihadista nell’area.
In tal senso, sarà senz’altro inoltre interessante seguire gli sviluppi prodotti dall’intervento nel conflitto da parte della Francia, che nella scorsa settimana ha annunciato l’inizio delle operazioni aeree al fianco degli Stati Uniti, tese a distruggere basi, depositi di armi e campi di addestramento appartenenti a IS.
Il 19 settembre, aerei francesi hanno bombardato l’area di Zumar, villaggio nel nord-est a ridosso della diga di Mosul, dove i Peshmerga curdi continuano la loro offensiva per allontanare i nuclei di combattenti di IS stanziatisi nei vari villaggi, cercando al contempo di prevenire nuove avanzate.
 
Nonostante l’Esercito iracheno e le milizie sciite abbiano mostrato nelle ultime settimane la capacità di contenere ulteriori avanzate dello Stato Islamico, il gruppo jihadista continua a mantenere il controllo sulle città di Mosul, Falluja, Hawija e Tel Afar e su ampie porzioni di Tikrit; inoltre, sebbene la pressione aerea statunitense e quella terrestre delle Forze Armate irachene e dei combattenti curdi abbiano impedito ai militanti di prendere la principale raffineria irachena, quella di Baiji, e mantenere il controllo della diga di Mosul, i battaglioni di IS continuano a rimanere presenti nelle aree e si preparano con ogni probabilità a lanciare nuovi assedi nelle suddette aree.
La capacità di stringere una morsa attorno ai loro maggiori obiettivi strategici, mantenere il controllo di snodi urbani di vitale importanza per il consolidamento del proprio controllo territoriale su parte del Paese e minacciare la periferia dei governatorati curdi sono segnali della capacità dei militanti di IS di riorganizzarsi anche a fronte di un’intensificazione degli attacchi aerei da parte statunitense e delle offensive terrestri da parte dell’Esercito di Baghdad e dei Peshmerga. 
 
Una delle principali sfide delle autorità irachene sarà rappresentato ora dall’impedire un definitivo collasso della sicurezza nella capitale. Forti del controllo di Fallujah, di alcune postazioni strategiche lungo il fiume Eufrate a nord e a sud-ovest della capitale e in grado di penetrare e trovare sostegno all’interno dei distretti a maggioranza sunnita di Baghdad, i militanti di IS hanno mantenuto costante il livello di tensione nei quartieri sciiti, effettuando rapide operazioni militari contro i civili e contro l’Esercito o lanciando attacchi suicidi.
Obiettivo fondamentale dei militanti jihadisti nella capitale non è probabilmente quello di ottenere un aperto controllo dei distretti cittadini, ma piuttosto quello di mantenere alto il livello delle tensioni settarie e contribuire a impedire il complesso processo di riappacificazione settaria avviato in seguito all’arrivo al potere di al-Abadi.
In tal senso, sarà fondamentale che le Forze di sicurezza irachene si impegnino maggiormente per porre un controllo sull’operato dei gruppi miliziani sciiti, che si sono spesso resi colpevoli di ripercussioni su civili sunniti accusati di aver appoggiato le azioni dello Stato Islamico.
Sul versante centro-occidentale, infine, le autorità giordane hanno rafforzato i propri controlli sul valico di confine a Trebil, caduto alcuni mesi fa sotto il controllo di militanti fondamentalisti e tribù locali.
I timori legati a un’espansione sul suo territorio delle tensioni prodotte dal rafforzamento dei gruppi jihadisti in Siria e nel governatorato iracheno di al-Anbar rappresentano una delle principali ragioni alla base della scelta giordana di schierarsi in maniera attiva al fianco dell’alleato statunitense nella battaglia contro IS.
 
Sarà ora interessante comprendere quale genere di soccorso gli Stati Uniti possano garantire al Governo di Baghdad, alle prese con un difficile processo di dialogo politico avviato in seguito alla sostituzione dello screditato Primo Ministro Nuri al-Maliki con Haider al-Abadi. Sin dall’inizio del conflitto nello scorso giugno abbiamo ribadito come una ricostruzione delle fragili istituzioni irachene non possa prescindere dall’avvio di un complesso dibattito tra gli esponenti delle principali confessioni religiose - quella musulmana sunnita, quella musulmana sciita e quella curda - in grado di garantire una rappresentatività equilibrata e bilanciata a tutti gli esponenti delle varie confessioni e riportare al tavolo delle trattative i membri delle principali tribù sunnite, parte delle quali hanno appoggiato la battaglia di IS per convenienza politica o per senso di frustrazione nei confronti delle politiche adottate dal Governo al-Maliki. 


 
 Quadro militare
Nella notte tra il 22 e il 23 settembre le Forze Armate americane con il supporto di altri Paesi del Golfo (Arabia Saudita, Giordania, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Bahrain) hanno iniziato le operazioni militari contro obiettivi dell’IS, di Jabhat al-Nusra e del gruppo Khorasan situati in Siria.
 
Il dispositivo americano.
Il contributo più consistente al dispositivo militare d’attacco in Siria fa capo alla U.S. Navy che nell’area di responsabilità della 5a flotta di stanza in Bahrain schiera il gruppo da battaglia della portaerei nucleare George H.W. Bush (CVN-77) attualmente nel Golfo Persico.
L’unità imbarca il Carrier Air Wing 8 composto dai seguenti squadron d’attacco:
• VFA-213 Fightning Black Lions su Boeing F/A-18F Super Hornet
• VFA-31 Tomcatters su Boeing F/A-18E Super Hornet
• VFA-87 Golden Warriors su Boeing F/A-18C Hornet
• VFA-15 Valions su Boeing F/A-18C Hornet
• VAQ-134 Garudas su Grumman EA-6B Prowler (attacco elettronico)

In totale si tratta di poco più di 50 velivoli da combattimento a cui si deve aggiungere il potenziale offensivo delle unità navali di scorta alla portaerei facenti parte del Carrier Strike Group 2 (CSG-2) ovvero i due cacciatorpediniere lanciamissili Truxton (DDG-103) e Roosevelt (DDG-80) e l’incrociatore lanciamissili Philippine Sea (CG-58) che complessivamente dovrebbero imbarcare almeno 170 missili cruise BGM-109 Tomahawk con gittata superiore ai 1.000 km.
Il dispositivo della Marina statunitense è ulteriormente rinforzato dal cacciatorpediniere Arleigh Burke (DDG-51) in navigazione nel Mar Rosso (dotato di almeno un’altra cinquantina di missili cruise) e da 2 Amphibious Ready Group (ARG).
Il primo, comandato dalla nave da assalto anfibio Bataan (LHD-5) e composto anche dalla nave anfibia da trasporto Mesa Verde (LPD-19) e dalla nave da sbarco Gunston Hall (LSD-44), imbarca la 22a Marine Expeditionary Unit (MEU) il cui elemento da combattimento aereo è rappresentato da sei velivoli AV-8B Harrier II Plus (operativi già dal 27 luglio sull'Iraq e da ieri anche in territorio siriano) mentre la componente da sbarco è incentrata sul 1° Battaglione del Sesto Reggimento Marines.
Il secondo è incentrato sulla nave da assalto anfibio Makin Island (LHD-8), la nave anfibia da trasporto San Diego (LPD-22) e la nave da sbarco Comstock (LSD-45)  e trasporta l’11° MEU dei Marines con ulteriori 6 cacciabombardieri Harrier e il 2° battaglione del Primo Reggimento Marines come pedina terrestre.

L’altra componente fondamentale delle forze in campo è quella dell’USAF che opera dalle basi situate nella penisola arabica e rese disponibili dai Paesi alleati ovvero:
• Al-Udeid Air Base (Qatar): sede dell'U.S. Air Force Central Command e del 379° Air Expeditionary Wing (AEW). Tale unità è una delle più varie e diversificate dell'USAF e comprende una componente da rifornimento in volo (340° Air Expeditionary Refueling Squadron su aerocisterne KC-135R Stratotanker), una da comando e controllo volante (7° Expeditionary Air Command & Control Squadron su velivolo E-8C Joint Stars), una da ricognizione e intelligence (763° Expeditionary Reconnaissance Squadron su RC-135 Rivet Joint) e una da bombardamento (9° Expeditionary Bomb Squadron su B1-B Lancer).
• Al-Dhafra Air Base (Emirati Arabi Uniti): sede del 380° AEW dell'USAF. La grande unità è formata da una componente da superiorità aerea (67° Expeditionary Fighter Squadron su velivoli F-15C Eagle), una componente da ricognizione strategica (99° Expeditionary Reconnaissance Squadron su velivoli U-2 Dragon Lady e droni RQ-4 Global Hawk), una da rifornimento in volo (908° Expeditionary Air Refueling Squadron su KC-10 Extender) e una da comando e controllo volante (968° Expeditionary Airborne Air Control Squadron su E-3 Sentry AWACS). Sempre da questa base dovrebbero operare anche i cacciabombardieri stealth F-22 Raptor del 94° Expeditionary Fighter Squadron schierati per la prima volta in operazioni di combattimento e gli F-15E del 492° Fighter Squadron. Inoltre, Al-Dhafra è anche sede della Base Aerea 104 dell'Aeronautica francese da cui decollano i 6 cacciabombardieri Rafale e l'aerocisterna C-135FR impegnati nelle missioni contro IS finora esclusivamente in territorio iracheno.
• Ali Al-Salem Air Base (Kuwait): sede del 386° AEW. A differenza delle unità precedenti, il 386° Air Expeditionary Wing americano è prevalentemente focalizzato su attività di trasporto, tuttavia, mantiene una componente fondamentale per le operazioni su Iraq e Siria ovvero i droni da ricognizione tattica e attacco MQ-1B Predator (che, comunque, potrebbero essere schierati anche ad Erbil in territorio curdo).
• Shaheed Mwaffaq Air Base (Giordania): 13° Fighter Squadron dell’USAF su cacciabombardieri F-16 Fightning Falcon. Da questa installazione della Reale Aeronautica Giordana , quasi sicuramente, sono partiti anche i raid degli F-16 dell’Aeronautica di Amman.
 
Le operazioni militari
Le operazioni militari sono iniziate intorno alla mezzanotte di Damasco della notte tra il 22 e il 23 settembre con un massiccio attacco compiuto con un totale di 47 missili Tomahawk lanciati contemporaneamente dall'incrociatore Philippine Sea e dal cacciatorpediniere Arleigh Burke che hanno colpito primariamente le infrastrutture del gruppo Khorasan e di Jabhat al-Nusra nella zona ovest di Aleppo. A seguire, una seconda ondata di velivoli dell'USAF (B1-B, F-15E, F-16, F-22 e droni) ha colpito campi di addestramento e depositi logistici di IS nel nord della Siria.
Infine, una terza ondata guidata dagli F-18 della portaerei Bush e supportata dagli F-16 dell'USAF e dai velivoli alleati dei Paesi arabi ha colpito strutture e mezzi da combattimento e supporto di IS nelle area di Deir ez-Zor e Abu Kamal (est del Paese).
Come detto, alle operazioni di attacco hanno partecipato anche velivoli dei Paesi arabi alleati ed in particolare F-16 giordani, bahrainiti ed emiratini affiancati da F-15S sauditi mentre incerto rimane il ruolo del Qatar che, secondo alcune fonti di stampa, potrebbe aver fornito alcuni caccia Mirage 2000 esclusivamente in ruolo di scorta.
Appare comunque chiaro che il ruolo militare dei Paesi del Golfo sia più che altro simbolico e funzionale a non far percepire le operazioni militari contro IS come un nuovo attacco esclusivamente statunitense.
Va, tuttavia, segnalato che l'operazione contro Khorasan è stata condotta in maniera strettamente unilaterale dagli statunitensi visto che valutazioni di intelligence hanno fatto ritenere la minaccia direttamente rivolta contro gli Stati Uniti e i loro interessi nel mondo.
In totale sono stati centrati otto obiettivi direttamente collegati al gruppo e, nello specifico si è trattato di un centro di comando e controllo, un centro di comunicazione, alcuni campi di addestramento e una fabbrica di esplosivi e munizioni.
 
Dal punto di vista militare, la novità più rilevante delle operazioni sulla Siria è stato l'esordio in combattimento del velivolo stealth F-22 Raptor dell'USAF.
Sebbene sia stato utilizzato per attaccare alcuni obiettivi terrestri, l'impiego del Raptor (che è soprattutto il più sofisticato velivolo al mondo per missioni di superiorità aerea) può essere visto come un chiaro invito della Difesa americana alle Forze Armate di Assad dall'astenersi dal compiere qualunque iniziativa ostile nei confronti dei pacchetti dei velivoli d'attacco alleati.
Infatti, l'F-22 sarebbe senza alcun dubbio un avversario fuori portata per gli anziani Mig-21 e Mig-29 del regime e, grazie alle caratteristiche spiccatamente stealth che lo caratterizzano, è in grado di muoversi con una relativa libertà anche rispetto alle difese antiaeree missilistiche delle forze lealiste.
Sebbene gli Stati Uniti abbiano negato alcun contatto diretto con esponenti del regime siriano relativamente allo svolgimento dei raid, è quanto mai ipotizzabile l'esistenza di una forma di coordinamento tra le Forze Armate siriane e quelle statunitensi se non altro per evitare spiacevoli incontri «in volo» con i jet siriani o l'illuminazione da parte dei radar della difesa aerea di Damasco.
Del resto quanto sia pericoloso volare all'interno o nei pressi dello spazio aereo siriano è risultato evidente anche nella mattinata del 23 settembre quando un velivolo d'attacco siriano SU-24 impegnato in missione sulle alture del Golan è stato abbattuto da una batteria missilistica Patriot della Difesa Aerea israeliana per un presunto sconfinamento. 
 
 Scenari futuri
In mancanza di ulteriori rifornimenti, le attuali unità navali americane sono in grado di sostenere altri 3-4 giorni di attacchi missilistici su obiettivi siriani al ritmo di 40/50 ordigni al giorno mentre le Forze Aeree americane e dei Paesi arabi possono operare su tempi molto più lunghi.
È tuttavia evidente che, così come sta avvenendo in Iraq, IS e gli altri gruppi terroristi inizieranno quanto prima a prendere contromisure per limitare la vulnerabilità agli attacchi dal cielo disperdendo le proprie forze da combattimento e nascondendo per quanto possibile le proprie infrastrutture di comando e controllo e di supporto logistico.
Di conseguenza, permane l’effettivo elemento di criticità determinato dalla mancanza di unità terrestri affidabili e operativamente idonee ad ingaggiare le milizie jihadiste sul terreno per metterle definitivamente in rotta.
Anzi, l’unica entità nel contesto siriano che potrebbe ottenere limitati vantaggi pratici sono le truppe lealiste di Assad che nelle province di Aleppo ed Idlib potrebbero condurre operazioni mirate per riconquistare posizioni strategiche.
Per quanto riguarda l’atteggiamento complessivo del regime nei confronti dei raid, è prevedibile una sostanziale approvazione finché i velivoli americani e alleati si terranno a distanza dal cuore del territorio controllato dai lealisti (Damasco, Homs, Hama e la fascia mediterranea della Siria tra Tartus e Latakia).
Infine, è opportuno considerare come la pochezza degli obiettivi da colpire (per lo più vecchi carri armati T-55 di origine russa, pick-up armati, qualche pezzo di artiglieria semovente e tanti MRAP e Humvee di preda bellica) stia portando il Dipartimento della Difesa statunitense a considerare, terminata la prima fase d’urto, l’introduzione nello scenario dei vecchi, economici, ma decisamente efficenti velivoli A-10 Warthog (soprannominati non a caso «distruttori di carri»).
Tali piattaforme, dotate del più potente cannone di impiego aeronautico (GAU/8A Avenger) e di cabina blindata, operando a quote basse e a velocità subsonica sarebbero un elemento fondamentale soprattutto nel contrasto ad IS nel teatro iracheno.
Secondo le informazioni disponibili è previsto che 12 A-10 del 122° Fighter Wing dell’Indiana Air National Guard raggiungano il medio oriente entro i primi giorni di ottobre.
 
Di conseguenza, se le operazioni dovessero protrarsi fino a ottobre inoltrato, è prevedibile uno scenario in cui i cacciabombardieri più sofisticati (F-15, F-16, F-22 e F18) operino prevalentemente sulla Siria mentre A-10, Harrier e droni Predator e Reaper vengano utilizzati per il supporto ravvicinato delle truppe di Baghdad impegnate nella riconquista del nord del Paese.
Nulla, invece, sembra ancora delineato circa l’elemento più critico già delineato in precedenza, ovvero l’individuazione di una credibile controparte siriana in grado di trarre vantaggio delle operazioni statunitensi sia nei confronti delle formazioni jihadiste sia rispetto al regime di Assad. 
 
Gabriele Iacovino, Andrea Ranelletti e Francesco Tosato
(Ce.S.I)

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