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In Siria si sta consumando un'altra tragedia dell'umanità

A meno di un mese dall’inizio dell’assedio in cui ISIS ha stretto Kobane, il piccolo centro è in procinto di cadere

Kobane, presidiata dal luglio 2012 dalle milizie curde del YPG (Unità di Protezione Popolare), è un agglomerato urbano di poche decine di migliaia di abitanti al confine tra Siria e Turchia.
Dei tre principali varchi che separano i due paesi (Tell Abyad e Jarablus gli altri due), Kobane è l’unico non ancora sotto il controllo di ISIS.
Da tre settimane le milizie curde del YPG, affiancate da veterani del PKK (Partito Curdo dei Lavoratori) e sostenute dal supporto aereo della coalizione arabo-occidentale, tentano di respingere la violenta offensiva delle milizie del Califfato.
Forte di un’importante supremazia numerica e di buone capacità organizzative, ISIS sta mostrando una capacità tattica e una visione strategica in grado di mettere in difficoltà tanto le milizie curde quanto i vertici militari della coalizione: dispersi in un nugolo di piccole unità, con scarsi segni di riconoscimento e un’alta mobilità, i jihadisti rendono meno efficaci i raid aerei e mettono in crisi le milizie curde, addestrate secondo una dottrina militare in materia di guerriglia urbana meno raffinata, dotate di armi arretrate e con insufficienti munizioni.
 
L’offensiva di ISIS su Kobane e nel resto del Nord-Est della Siria sembra tesa al ricongiungimento delle due aree controllate dalle milizie del Califfato, l’entroterra siriano e il Nord dell’Iraq.
L’ambizione dei jihadisti potrebbe essere quella di consolidare il proprio controllo territoriale su Iraq e Siria, onde avere una maggiore capacità di proiezione su tutti i teatri regionali, dalla Turchia, al Libano.
La Turchia, l’unica apparentemente in possesso di forze sufficienti a contrastare l’avanzata delle milizie jihadiste, sta prendendo tempo, rimandando l’intervento e vincolandolo a condizioni precise. Dietro alla cautela turca potrebbe trovarsi il timore di legittimare l’autonomismo curdo, l’intenzione di evitare il contagio del jihadismo oppure la convinzione di non avere assetti militari adatti alla situazione.
Quel che è certo è che la posizione turca, contestata tanto dai Paesi arabi quanto dagli alleati NATO, si fa sempre più difficile da sostenere per Ankara, dato il montare della rabbia all’interno della comunità curda in Turchia e l’evolversi delle operazioni militari lungo il confine.

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