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Confermato: la strage dell’Airbus è stata voluta dal secondo pilota

Le cause dello schianto dell'Airbus della Germanwings sulle Alpi non sono dovute né a guasto tecnico né a errore umano

La notizia che abbiamo dato ieri in tarda serata, purtroppo, è stata confermata dalle autorità che indagano sul disastro dell’Airbus precipitato sulle Alpi della Provenza.
Non si è trattato di un incidente ma di un disastro voluto. Di un assurdo suicidio del secondo pilota che non si è fatto problemi di coscienza a trascinare nel suo folle gesto 150 persone che non c’entravano nulla con la sua vita.
Le scatole nere hanno portato alla luce una verità spaventosa. Inspiegabile per una persona normale.

Le scatole nere (prendono il nome dal colore delle prime produzioni) sono i dispositivi elettronici di registrazione dei dati che vengono installati negli aeromobili o nelle imbarcazioni con lo scopo di facilitare le indagini dopo un incidente.
Le scatole nere sono sostanzialmente due, il «flight data recorder (FDR)», che registra i parametri di volo di natura numerica relativi alle ultime 25 ore di funzionamento, e il «cockpit voice recorder (CVR)», che registra i suoni presenti in cabina di pilotaggio memorizzando un periodo di tempo che può variare dall'ultima mezz'ora alle ultime due ore.
Sono costruite in modo da resistere a temperature altissime, a impatti violenti, a pressioni di 600 atmosfere, proprio per «sopravvivere» ai disastri e consentirne la ricostruzione tecnica.
Inoltre sono equipaggiate di un radiofaro che consente loro di essere individuate per una trentina di giorni.

La scatola nera che ha registrato i suoni in cabina dell’Airbus della Germanwings non lascia dubbi. Il comandante era uscito dalla cabina, presumibilmente per andare in bagno, ma al suo ritorno ha trovato la porta blindata chiusa dall’interno.
È dai tempi degli attentati dell11 settembre che le cabine di pilotaggio sono blindate e possono essere aperte solo dall’interno, perché l’accesso a combinazione numerica può essere sempre bloccato dai piloti.
È quanto ha fatto il secondo pilota dell’Airbus della Germanwings: si è chiuso in cabina e non ha più permesso al comandante di riprendere i comandi.
I suoni registrati rivelano la disperazione del comandante che fa il possibile per tornare alla sua postazione, il respiro normale del secondo, le urla dei passeggeri negli ultimi attimi di vita, quando hanno capito che stavano per schiantarsi.
Il «respiro normale» è stato considerato indice di buona salute del pilota suicida, nel senso che non era svenuto, né costretto da qualcuno, né disperato per quello che stava facendo.
 
Insomma, per porre fine alla sua vita, il disgraziato ha provocato una morte atroce per centocinquanta persone, tra le quali un neonato e dei ragazzini di una classe tra i 14 e o 15 anni.
L’uomo aveva solo 630 ore di volo alle spalle, ma non è questo il punto. Il problema è che gli psicologi non sono riusciti a intuire che l’uomo era pericoloso per sé e per gli altri, anche se in passato c’era stato un momento in cui gli era stata diagnosticata la depressione.
Purtroppo non è il primo incidente aereo accaduto per mano di piloti che hanno voluto porre fine alla propria vita fregandosene delle persone che portavano con sé nella tomba.
D’ora in poi, dicono le autorità aeronautiche, in cabina dovranno esserci sempre almeno due persone. Francamente credevamo che l’obbligo esistesse già e la cosa ci meraviglia un po’.
In second’ordine, secondo noi sarebbe utile che ad azionare in extremis l’apertura della porta blindata potesse essere anche la torre di controllo che ha in affido il velivolo.

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