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Focus Iraq: criticità politiche e di sicurezza – Di Stefania Azzolina

L’analisi del Ce.S.I. dopo l’assurdo attentato di Bagdad costato la vita a 120 persone

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Il panorama politico e di sicurezza iracheno continua ad essere caratterizzato da diversi elementi di criticità che pongono numerose incognite sul percorso di pacificazione e stabilizzazione del Paese. Se sul piano politico il governo di Baghdad stenta a trovare una convergenza non solo con le opposizioni, ma, soprattutto, con le diverse correnti presenti all’interno della stessa coalizione di Governo, sul piano militare a partire dalla seconda metà del 2015 si è assistito ad un nuovo slancio da parte delle Forze Armate Irachene (FAI) che ha permesso di recuperare diversi territori dal controllo dello Stato Islamico (IS).
Nonostante ciò, le milizie di al-Baghdadi continuano a rappresentare una seria minaccia per la sicurezza del Paese sia sul piano degli attacchi di natura asimmetrica sia come vero e proprio nemico «convenzionale» da affrontare in battaglie su larga scala.
Soffermando l’attenzione sul versante politico, il Premier Haider al-Abadi, alla guida del Paese dall’agosto del 2014, stenta a dar vita ad un governo forte che sia in grado di realizzare tutte quelle riforme necessarie a far ripartire il Paese sul piano non solo istituzionale, ma, soprattutto, economico e sociale.
Su questi punti, infatti, il governo Abadi stenta a dare una risposta concreta alle richieste della popolazione sempre più vessata dalla mancanza cronica della fornitura di beni e servizi essenziali quali elettricità, acqua e prestazioni sanitarie.
Nonostante il voto dello scorso agosto 2015 relativo al varo di una serie di riforme strutturali volte a contrastare il dilagante fenomeno della corruzione e a migliorare le condizioni socio-economiche della popolazione, lo stallo parlamentare non ha reso ancora possibile votare i decreti attuativi necessari per una reale implementazione.
 
Lo scontro tra le diverse anime del Parlamento, infatti, ha conosciuto nel corso degli ultimi mesi un’ulteriore escalation rispetto ai diversi tentativi portati avanti da Abadi per dar vita a un vero e proprio «governo tecnico» che trascenda le classiche logiche delle quote rappresentative su base settaria a favore di una maggiore operatività.
Come già accennato, rispetto a tale progetto Abadi sembra soffrire sempre più le lotte intestine all’interno del fronte partitico sciita più che le proteste da parte dei gruppi di opposizione afferenti all’universo sunnita e curdo.
Tale dinamica si evince in maniera evidente dall’analisi del comportamento di due leader sciiti, l’ex Primo Ministro Nuri al-Maliki e Moqtada al-Sadr. Mentre il primo, dopo aver provocato una scissione all’interno del partito Dawa (lo stesso dell’attuale premier), sta tentando di indebolire l’attuale governo sfruttando tutta la rete di gruppi di pressione e di contatti sia all’interno che all’esterno del Parlamento, Sadr (rappresentante di una delle diverse correnti sciite all’interno del panorama politico iracheno) sembra essere sempre più deciso a sfruttare il malcontento popolare per aumentare il proprio peso all’interno degli equilibri politici iracheni.
Propugnando un messaggio di forte denuncia nei confronti del Governo e, più in generale, di tutta la classe politica (accusata di essere ormai completamente in ostaggio di logiche clientelari), Sadr si è affermato in maniera dirompente come leader carismatico della protesta popolare nei confronti di una classe politica sempre meno attenta agli interessi pubblici.
Tale aspetto è emerso in maniera evidente proprio in relazione al tema della formazione del governo tecnico. Nonostante in un primo momento il fronte sadrista si fosse dichiarato a favore della proposta di Abadi, al momento delle votazioni, tenutesi lo scorso 30 aprile, i rappresentanti del Blocco Al-Ahrar (il partito di Sadr) non si sono presentati in Parlamento.
Così la loro assenza, unita a quella del «Fronte Riformista» dei deputati afferenti a Maliki e a quella del Blocco Wataniya di Iyad Allawi, ha determinato una nuova paralisi delle attività parlamentari a causa della mancanza del quorum necessario per effettuare le votazioni.
A questo punto, l’invito rivolto da Sadr alla popolazione di manifestare la propria avversione nei confronti del Governo ha portato all’inizio di maggio ad una delle più imponenti e violente manifestazioni verificatesi a Baghdad negli ultimi anni conclusasi con l’occupazione, per la prima volta, dell’area istituzionale e diplomatica della Green Zone e in particolare con l’assalto al palazzo parlamentare.
Sebbene, almeno per il momento, Sadr sembri non godere della forza e, soprattutto, degli appoggi politici necessari ad assumere la guida del governo del Paese, il partito sadrista potrebbe continuare a giocare un ruolo di destabilizzazione non solo nei confronti dell’attuale governo guidato da Abadi, ma, più in generale, di qualsiasi futuro governo iracheno.
 
Lo scenario fin qui descritto pone delle serie ipoteche sulla possibilità che nel breve periodo si possa giungere ad un accordo politico soddisfacente per tutte le parti in causa, soprattutto in relazione ai rapporti tra le diverse correnti politiche dello sciismo iracheno le cui posizioni appaiono sempre più inconciliabili tra loro.
Ovviamente, il perdurare o, ancora peggio, la cronicizzazione dell’instabilità politica che il Paese vive in questo momento, rischia di incidere in maniera fortemente negativa sulle operazioni militari in corso volte a debellare la presenza delle milizie di al-Baghdadi all’interno dei confini nazionali.
A differenza del piano politico, infatti, su questo versante sono stati compiuti nell’ultimo anno diversi passi avanti che hanno determinato un parziale indebolimento di IS all’interno del Paese sebbene la sua minaccia appaia ancora tutt’altro che completamente neutralizzata.
Prima di entrare nel dettaglio delle operazioni attualmente in corso, è necessario sottolineare come il miglioramento della prestazione militare irachena derivi, in maniera significativa, sia dal supporto aereo garantito dai velivoli dell’operazione Inherent Resolve sia dal programma di addestramento rivolto alle Forze di Sicurezza Irachene effettuato dai Training Teams della Coalizione anti-ISIS. Si ricorda che a quest’ultima attività continua a partecipare anche il nostro Paese attraverso l’operazione Prima Parthica che vede attualmente impegnate circa 550 unità in programmi di addestramento che coinvolgono i Peshmerga curdi e le Forze irachene.
In particolare, a Erbil operano unità dell’Esercito Italiano, mentre a Baghdad e Kirkuk è impiegato personale appartenente al Comando Interforze per le Operazioni delle Forze Speciali (COFS) che si occupa dell’addestramento sia dei militari iracheni del Counter Terrorism Service (CTS) sia delle Forze speciali curde.
 
Sempre a Baghdad dal giugno del 2015 opera anche un nucleo di Carabinieri di circa 90 unità, con lo scopo di addestrare i membri della Iraqi Federal Police.
Il dispositivo italiano impegnato in Iraq vede anche la presenza di una Task Force dell’Aeronautica Militare, costituita da 2 velivoli a pilotaggio remoto Predator, un aereo da rifornimento KC-767 e 4 velivoli da attacco e ricognizione AMX.
Tutto questo dispositivo aereo svolge missioni di ricognizione e sorveglianza in supporto all’intero sforzo della coalizione nell’opera di contrasto allo Stato Islamico.
Infine, lo sforzo italiano in Iraq sarà completato nei prossimi mesi dall’invio di un contingente composto dagli uomini e donne del Sesto Reggimento Bersaglieri di stanza a Trapani e appartenente alla Brigata Meccanizzata AOSTA a protezione dell’installazione della ditta italiana Trevi che sarà impegnata nell’opera di manutenzione della Diga di Mosul.
Tra settembre e ottobre è previsto che il contingente italiano salga fino a raggiungere le circa 450 unità. I bersaglieri saranno equipaggiati principalmente con veicoli tattici tipo 4x4 LINCE (Light Multirole Vehicle), ma potranno contare anche su mortai e sistemi controcarro, così da poter disporre di una capacità d’ingaggio a medio raggio nei confronti di eventuali formazioni ostili.
Tornando allo scenario militare iracheno, nel momento in cui si scrive le Forze Governative sono impegnate principalmente in due aree del Paese, la provincia occidentale dell’Anbar e l’area di Mosul, roccaforte dello Stato Islamico dal giugno del 2014.
Tali operazioni non devono essere viste come a sé stanti l’una dall’altra, non solo perché condividono il medesimo obbiettivo operativo (interrompere la continuità territoriale dei territori occupati da IS a cavallo tra Siria e Iraq lungo le direttici Raqqa-Mosul e Anbar-Deir er Zour), ma, anche, in quanto dall’esito delle battaglie in corso in Anbar potrebbero dipendere tempistiche e andamento dello sforzo finale a Mosul.
 
Focalizzando l’attenzione sulla provincia di Anbar, al momento le operazioni risultano concentrate in tre aree. Il teatro principale al momento è rappresentato dall’area di Falluja situata a circa 65km a ovest da Baghdad.
Nonostante lo scorso 17 giugno il Premier Abadi abbia annunciato al Paese la liberazione della città, cercando di sfruttare la retorica della lotta allo Stato Islamico per recuperare credito di fronte alla popolazione, al momento la città sembra essere solo per un terzo sotto il controllo delle forze governative, mentre i restanti quartieri e sobborghi continuano a vedere la presenza di numerose sacche di resistenza delle milizie di al-Baghdadi.
In questo teatro, il ruolo maggiore è svolto dagli uomini del Counter Terrorism Service – CTS (circa 1.500 unità) e dalle Forze di Polizia (circa 8.000 unità) inquadrate e coordinate dalla 1ª Divisione dell’Esercito Iracheno e dalla cosiddetta Golden Division (le forze speciali irachene).
Tutti questi assetti possono contare anche sul supporto delle Forze di Mobilitazione Nazionale (Al-Hashd al-Shaabi) nonché sul supporto aereo della coalizione internazionale.
 
Riguardo gli sviluppi futuri dell’operazione su Falluja, sono diversi i fattori che bisognerà considerare. In primis sarà necessario capire il livello di supporto di cui lo Stato Islamico potrà godere tra la popolazione locale, considerando che Falluja, di fatto, non è mai stata controllata dal Governo centrale di Baghdad sin dalla caduta del regime di Saddam Hussein.
A tale criticità va aggiunto anche il discorso relativo alla partecipazione nelle operazioni delle milizie delle Forze di Mobilitazione Nazionale.
La composizione marcatamente sciita di quest’ultime, infatti, rischia di generare una nuova spirale di violenze e di scontri settari in una regione a forte predominanza sunnita come quella dell’Anbar.
Ci si riferisce in particolare alla possibilità che si verifichino episodi di rappresaglia da parte dei membri delle Forze di Mobilitazione Nazionale contro la popolazione sunnita non solo durante i combattimenti, ma anche nella fase post-conflitto. Tale ipotesi, infatti, potrebbe determinare una nuova situazione di instabilità nella regione anche qualora la minaccia dello Stato Islamico fosse neutralizzata.
Oltre al fronte di Falluja, come precedentemente accennato, le operazioni in Anbar si svolgono anche lungo le due maggiori arterie stradali che attraversano la regione, ovvero la n.11, che da Ramadi corre verso sud-ovest fino al confine con la Giordania, e la n.12, che sempre da Ramadi corre verso nord-ovest fino al confine siriano nei pressi del valico di Qaim.
 
Nello specifico, lungo l’autostrada n.11 le forze governative si sono spinte fino alla città di Rutba (a circa 150 km al confine con la Siria) che, fino a questo momento, ha rappresentato una delle zone di supporto più importanti per IS in quest’area insieme al valico di Qaim.
Quest’ultimo, a soli 25 km dal confine occidentale iracheno, si trova sull’autostrada n.12 dove, fino a questo momento, le forze governative hanno completamente ripreso il controllo dei territori compresi tra Hit e Albaghdadi e continuano ad avanzare verso ovest. In questo caso, le operazioni vedono impegnate la 7a Divisione dell’Esercito iracheno, la Polizia Federale a e reparti del CTS.
Spostando l’attenzione dalla provincia di Anbar, l’area di Mosul rappresenta il secondo grande fronte dei combattimenti contro le milizie dello Stato Islamico.
Il piano per la riconquista della città dovrebbe prevedere un’operazione congiunta tra l’Esercito iracheno e i Peshmerga curdi.
Alla pressione delle unità irachene, provenienti da sud, si andrebbe a sommare quella delle forze curde avanzanti da nord e da est. Il ruolo ricoperto da entrambe le Forze armate nella ripresa della città potrebbe costituire una carta da poter giocare sul futuro tavolo delle trattative per definire i rapporti di forza all’interno del Paese.
Questo perché la definizione dei criteri per l’amministrazione di Mosul, di fatto, rappresenta un contenzioso ancora aperto tra il Governo centrale di Baghdad e quello autonomo di Erbil la cui risoluzione potrebbe anche dipendere dal livello di maggiore o minore impegno della liberazione della città.
 
Nel momento in cui si scrive, le operazioni (che vedono impiegate la 9a, la 15a e la 71a Divisione dell’Esercito iracheno) fanno perno sulla base di Makhmur, posta a circa 90 km a sud-est di Mosul.
L’azione si sta concentrando su due fronti. Il primo sul tratto di strada tra Mosul e Tal Afar, lungo l’autostrada n.1 che dalla città porta a ovest verso Sinjar, mentre il secondo lungo la direttrice Qayyarah – Mosul.
Nonostante nell’ultimo mese siano stati compiuti numerosi passi avanti sul fronte meridionale di Mosul (le forze governative si trovano ormai a soli 35 km dai sobborghi meridionali della città) è difficile al momento ipotizzare quali saranno le tempistiche dell’attacco finale alla capitale irachena del Daesh.
I recenti arretramenti dell’Esercito iracheno a favore dello Stato Islamico proprio nell’area di Makhmur (soprattutto lungo il fronte occidentale della città, nei pressi del villaggio di al-Nasr dove nel corso della scorsa settimana le forze governative hanno subito delle pesanti perdite) rendono chiaramente l’idea di quanto la situazione possa modificarsi anche in maniera repentina. Inoltre, come già accennato, molto potrebbe dipendere dalla durata e dall’andamento delle operazioni militari attualmente in corso nell’area centrale del Paese e in modo particolare a Falluja.
Infatti, un esito positivo negli scontri permetterebbe ai vertici militari iracheni di poter disporre di un maggior numero di uomini, sia appartenenti all’Esercito iracheno che alle Forze di Polizia, da trasferire nell’area di Mosul, in previsione della campagna militare per la riconquista della città.
A tal proposito è bene sottolineare come nelle operazioni di contro-guerriglia siano proprio le Forze di Polizia a giocare un ruolo di fondamentale importanza nell’opera di controllo del territorio, specie nelle fasi successive ai combattimenti come già accaduto a Ramadi.
L’evoluzione della situazione militare sul fronte di Mosul potrebbe avere anche delle ripercussioni sul contingente militare italiano presente nei pressi della diga, soprattutto nel caso in cui le truppe dello Stato Islamico dovessero ripiegare verso la catena dello Sinjar e il confine siriano, lungo una strada posta a circa 50 Km dalla base italiana.
 
Il quadro descritto fino a questo momento rende evidenti le numerose criticità che continuano a caratterizzare lo scenario iracheno e che difficilmente vedrà una pacificazione e una stabilizzazione reale nel breve periodo.
In particolare, il perdurare di una forte instabilità sul piano politico rischia di avere un effetto estremamente negativo sugli attuali sforzi in corso per combattere lo Stato Islamico all’interno del Paese.
Certo è che, anche nel caso di una vittoria definitiva nei confronti delle milizie di al-Baghadadi, la mancata eliminazione di tutti quei fattori che hanno portato alla nascita e all’ascesa dello Stato Islamico in Iraq lascerebbe aperta la possibilità della riproposizione della medesima minaccia, seppur in vesti differenti.
Le opinioni riportate in questa nota sono riferibili esclusivamente all’Istituto autore della ricerca.
 
Stefania Azzolina
(Ce.S.I.)

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