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Missione a Herat/ 12 – La vita alla base, seconda parte

Il servizio sanitario, la Pubblica Informazione, il comando, gli ufficiali

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Il servizio sanitario è perfettamente funzionante a vari livelli (quattro per la precisione, il cui più importante è il Celio di Roma). I prontosoccorsi sono sempre all'erta e due elicotteri sono sempre a disposizione degli interventi possibili. Due, perché in teatro di guerra deve essere sempre presente il fattore di sicurezza militare.
Noi abbiamo assistito a un allarme sanitario e abbiamo visto levarsi in volo gli elicotteri spagnoli in pochi minuti. La richiesta d'intervento medico non riguarda solo le nostre truppe ma anche i civili. Non si fa distinzione: la vita è uguale per tutti.

La profilassi antimalarica è obbligatoria nei mesi caldi, così come lo è l'antinfluenzale nei mesi freddi.
C'è un servizio permanente di psicologi che ricevono i militari su richiesta degli stessi interessati o su suggerimento dei comandanti.
In altro servizio parleremo di una dottoressa che si occupa dei ragazzi traumatizzati, qui diciamo solo che il più delle volte si tratta di verificare come reagisce la persona di fronte a fatti cui non è abituato, come incidenti, attentati, sparatorie, pericoli di varia natura. Nessuno sa come si comporterà trovandosi in un conflitto a fuoco e gli psicologi sono lì ad aiutarli in quel terribile passaggio che sta tra l'essere un novellino e divenire un veterano.


Nella foto sotto il titolo, il generale comandante del contingente italiano, Marcello Bellacicco.
Qui sopra, il maggiore Igor Piani, responsabile del PIO, la pubblica informazione.


Gli ufficiali sono tutti cordiali e estremamente disponibili, dal generale in capo allo stato maggiore ai comandanti di reggimento. Se chiedi spiegazioni te le forniscono (nei termini del possibile) e se non le capisci te le spiegano.
Tutti, incondizionatamente, ci hanno trattati con assoluto rispetto e amicizia. Non c'entra il fatto che siamo giornalisti, ma italiani. Il problema di uno, per i nostri militari all'estero, è un problema di tutti.
I nostri ragazzi sentono di avere il Paese alle spalle. E lo sentono nonostante le notizie che giungono dalle reti TV italiane. A seguire i TG da un teatro di guerra, infatti, tutte le notizie assumono una valenza particolare: Governo e opposizioni sembrano animati da problematiche che, in verità, nulla c'entrano con gli interessi del Paese.

Il PIO (l'ufficio dedicato alla pubblica informazione) non ha una sala stampa, per cui chi vuole inviare delle corrispondenze dalla base di Herat deve arrangiarsi sia per trovare un tavolo dove appoggiare il computer che per trasmettere il pezzo. Il personale del PIO, tuttavia, si fa sempre in quattro per aiutare i giornalisti.
La libertà di stampa è assoluta, al massimo viene criticato quello che si scrive. In mancanza di un briefing iniziale su ciò che conviene o non conviene scrivere, il giornalista si deve affidare al proprio buonsenso.
Le fotografie hanno precise limitazioni, ma dobbiamo dire che nessuno ci ha mai vietato di fare foto. Né noi abbiamo cercato di fotografare l'impossibile. Il nostro buonsenso ci impedirà di pubblicare quelle relative a soggetti che noi riteniamo sensibili.
Siamo peraltro stati informati che gli Americani non amano i fotografi, ma qualcosa abbiamo ripreso lo stesso.

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