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Il ruolo delle milizie libiche nel traffico di esseri umani

Sei di esse sono accusate dall'ONU di gestire una vasta rete di traffici di esseri umani e di organizzare vere e proprie «aste» di schiavi – Di Lorenzo Marinone

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Il 7 giugno scorso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato un pacchetto di sanzioni contro alcuni dei principali referenti dei network criminali dediti al traffico di migranti in Libia.
Le sei figure individuate dall’ONU sono accusate di gestire una vasta rete di traffici i cui terminali sono situati sulla costa tripolina, alimentare un vero e proprio mercato dei migranti (anche tramite «aste» in cui le persone oggetto della contrattazione sono a tutti gli effetti ridotte in schiavitù), e manovrare una rete di centri di detenzione ibrida, ovvero in parte sotto il controllo formale delle autorità, ma in realtà gestita con larghissima autonomia dai loro consorzi criminali.
Al di là dell’elemento di novità (è la prima volta che il Palazzo diVetro adotta simili misure verso singoli individui nello scenario libico), il provvedimento permette di ribadire la complessità delle dinamiche che regolano gli equilibri di potere in Tripolitania e la loro correlazione con le altre regioni storiche della
Libia e la più vasta area del Sahel.
 
Infatti, il dato più rilevante che emerge dai profili sanzionati dall’ONU è la profonda commistione tra le loro reti criminali, le milizie fedeli al Governo di Unità Nazionale (GUN) guidato da Fayez al-Serraj, e parte di questi stessi ambienti istituzionali. A tal proposito è esemplare il caso di bd al-Rahman al-Milad, soprannominato al-Bija, a capo della Guardia Costiera di Zawiya e indicato dal dispositivo sanzionatorio dell’ONU come corresponsabile dei traffici.
Lasciata l’Accademia Navale libica per unirsi alla rivolta contro Gheddafi nel 2011, Milad ha sapientemente sfruttato i legami con la sua tribù di appartenenza, gli Awlad Bu Hmeira, per mettere insieme una milizia locale e prendere il controllo prima della raffineria di Zawiya e poi del porto.
Nelle caotiche fasi successive alla caduta del regime del Rais, il controllo di queste infrastrutture strategiche gli ha permesso di imporsi rapidamente come figura egemone nel panorama di Zawiya, stabilire contatti co
n altri gruppi armati locali e, di fatto, avere voce in capitolo sui traffici di combustibile, armi ed esseri umani nella zona.
 
In questo senso va inquadrato il sodalizio tra Milad e una figura come Mohammed Kachlaf (anch’egli sanzionato dall’ONU), leader della milizia Shuhada al-Nasr attiva a Zawiya, dove gestisce un centro di detenzione per migranti che costituisce parte integrante della filiera della tratta di esseri umani. Inoltre, il controllo del porto ha permesso a Milad di autonominarsi capo della Guardia Costiera locale, ruolo che gli è stato poi confermato in via ufficiale dal GUN di Serraj. Nel complesso, l’influenza esercitata a livello locale gli ha permesso non soltanto di entrare nell’organigramma delle istituzioni unitarie appoggiate dall’ONU (con la prospettiva di ricoprire incarichi di rilievo anche nel futuro assetto del Paese), ma anche di legalizzare le sue attività (incluso il centro di detenzione locale, divenuto struttura ufficiale) e, in ultima istanza, di usare lo status raggiunto per proteggere e ampliare i suoi traffici. Infatti, proprio grazie al ruolo istituzionalizzato che ricopre, Milad è riuscito da tempo a imporsi come referente obbligato per tutte quelle realtà criminali che, operando sulla costa, organizzano le partenze dei barconi.
 
Di fatto, Milad ha sfruttato la copertura istituzionale e l’ampiezza della sua zona di competenza (che si estende su larga parte della costa tripolina) per proporsi come ultimo tassello della lunga filiera del traffico di migranti. In questo modo ha ampliato notevolmente il suo raggio di azione e l’influenza esercitata sui network criminali ben al di là di quello che era stato il suo punto di partenza a Zawiya.
Bisogna sottolineare che questo processo di progressiva istituzionalizzazione non è una peculiarità della vicenda di Milad, bensì una caratteristica trasversale a molti degli attori che gestiscono i traffici. Ciò ha inevitabilmente avuto un impatto sulle dinamiche che interessano la costa tripolina, soprattutto per quanto riguarda i rapporti tra milizie, potentati locali e gruppi armati semi-istituzionalizzati che si contendono il controllo del territorio fin dalla caduta di Gheddafi e il cui margine di manovra è aumentato di pari passo con la disgregazione del panorama politico libico a partire dal 2014.
 
Basti pensare agli effetti degli scontri avvenuti a Sabratha nell’estate 2017, quando un ombrello di milizie formalmente fedeli al Governo Serraj, la Sala Operazioni anti-ISIS del Brigadier Generale Omar Abdul Jalil, è riuscita a cacciare dalla città la Brigata 48, braccio armato di quella famiglia Dabbashi che, fino a quel momento, gestiva il traffico di migranti più lucrativo della zona. Infatti, nonostante la tradizionale rivalità tra i network di Sabratha e Zawiya, le milizie legate a Milad e Kachlaf hanno prima fornito supporto militare ai Dabbashi, e poi li hanno di fatto aiutati a ricostruire il loro network, questa volta a Zawiya. È proprio in questa città che Ahmed al-Dabbashi (tra le persone sanzionate dall’ONU) ha potuto continuare a operare finora, forte anche della protezione garantita da Milad.
 
Inoltre, bisogna sottolineare l’alto grado di ambiguità che circonda interventi come quello della Sala Operazioni anti-ISIS a Sabratha. Infatti, questo ombrello di milizie, al pari del cartello messo in piedi da Milad, includeva anche personaggi attivi nel traffico di migranti. Ciò getta un’ombra sulle reali intenzioni alla base dell’operazione, lasciando aperta la possibilità che l’obiettivo non fosse tanto lo smantellamento dei network criminali, bensì piuttosto una semplice sostituzione dei loro referenti e beneficiari ultimi.
 
Un discorso analogo può essere fatto per l’area più a ridosso della capitale, dove il cartello di milizie che di fatto controlla Tripoli è stato via via integrato formalmente nell’organigramma dei Ministeri dell’Interno e della Difesa fedeli a Serraj, ma allo stesso tempo ha mantenuto un controllo capillare e pervasivo su ogni attività illecita nell’area, da cui tali gruppi continuano a ricavare buona parte dei loro proventi. Dunque, per quanto la rivalità tra i gruppi di trafficanti attivi sulla costa costituisca una lor potenziale vulnerabilità, l’assenza di forti istituzioni centrali e, soprattutto, le profonde infiltrazioni delle milizie e di attori ibridi all’interno dei costituendi apparati di sicurezza legittimi, di fatto, azzerano l’efficacia di qualsiasi tentativo di contrasto ai fenomeni illeciti.
 
D’altro canto, se le partenze da quest’area tra l’estate 2017 e maggio 2018 non sono aumentate, ciò dipende non solo, o non tanto, dalla necessità per la Guardia Costiera di mantenere intatto un certo margine di credibilità di fronte al Governo di Tripoli così come alle istituzioni europee (da cui ha ricevuto anche finanziamenti e aiuti per la logistica per il contrasto ai traffici), ma soprattutto dalla possibilità «Le profonde infiltrazioni delle milizie e di attori ibridi all’interno dei costituendi apparati di sicurezza legittimi azzerano l’efficacia di qualsiasi tentativo di contrasto ai fenomeni illeciti» per questi network di ricalibrare agevolmente volume dei flussi, tempi di permanenza dei migranti in Libia e punti di partenza sulla costa, senza ricevere quindi un danno economico dalla diminuzione locale delle partenze.
 
Non è un caso che, insieme a Milad e Dabbashi, nella lista delle persone sottoposte a sanzioni ONU siano presenti anche figure come Musab Abu Ghrein e l’eritreo Ermias Ghermay, entrambi personaggi di assoluto rilievo nel traffico transnazionale di migranti che ha il suo perno operativo in Libia, e responsabili rispettivamente per i flussi provenienti dal Sahel e dal Corno d’Africa. Infatti, la vastità dei network gestiti da Abu Ghrein e Ghermay e la molteplicità di attori locali con cui si interfacciano, in territorio libico come all’estero, sono fattori che permettono un alto grado di flessibilità che rende sostanzialmente inefficaci le iniziative di contrasto finora messe in campo. La rete di contatti di Abu Ghrein, ad esempio, spazia dalle milizie di Sabratha e Zawiya (inclusi i Dabbashi e Kashlaf), alla città di Garabulli e alle realtà salafite di Tripoli fedeli a Serraj, arrivando fino ai gruppi armati che controllano gli hub meridionali di Sebha a ovest e Kufra a est.
 
In questo senso, benché nell’ultimo anno il dispositivo militare francese che opera presso la base nigerina di Madama abbia pressoché sigillato il passo di Tummo (al confine tra Niger e Libia), da cui transitava la parte più consistente dei flussi migratori verso la Libia, Abu Ghrein non ha avuto difficoltà a modificare le rotte provenienti dal Sahel, riattivando le tratte dall’Algeria sud-orientale e dal Ciad.
Allo stesso modo, il blocco delle partenze dalla costa tripolina iniziato nell’estate 2017 si è tradotto semplicemente nell’aumento dei tempi di permanenza negli hub della Libia centro-settentrionale come Sebha e Bani Walid, mentre l’impossibilità di utilizzare lo sbocco di Sabratha ha portato a un aumento dei flussi verso altri terminali costieri (Zuwara, Khoms, Zliten, Zamzum).
 
Nel complesso, dunque, il lento tentativo di rafforzamento del Governo di Unità Nazionale (GUN) intrapreso fin dai primi mesi del 2016, che avviene principalmente attraverso la cooptazione delle milizie e la loro istituzionalizzazione, rappresenta una soluzione parziale e sostanzialmente inefficace per quanto riguarda il contrasto dei traffici illeciti.
Infatti, il GUN ha la necessità di cooptare le milizie più potenti per garantirsi quella sicurezza e quel controllo del territorio che costituiscono le condizioni minime affinché possa esercitare le proprie funzioni. Inevitabilmente, la rilevanza della milizia è data sia dalla sua capacità militare, sia dal consenso che riesce a ottenere a livello locale «Il lento tentativo di rafforzamento del Governo di Unità Nazionale attraverso la cooptazione delle milizie e la loro istituzionalizzazione rappresenta una soluzione parziale e sostanzialmente inefficace per quanto riguarda il contrasto dei traffici illeciti» alimentando un’economia che, in uno scenario frammentato e conflittuale come quello libico, non può che basarsi essenzialmente sullo sfruttamento di canali illeciti.
 
D’altronde, i proventi dei traffici illeciti sono generalmente molto superiori alle risorse erogate dal governo di Tripoli, e ciò induce le milizie a ritenere più vantaggioso continuare ad essere parte attiva di questi network invece di contrastarli. Inoltre, è proprio grazie a simili introiti che i gruppi armati riescono a preservare la loro legittimità agli occhi della popolazione locale, dal momento che sono loro e non le istituzioni centrali a erogare servizi. Dunque, per come è stata strutturata finora, la via dell’istituzionalizzazione non solo non fornisce alle milizie alcun incentivo perché abbandonino la gestione dei traffici, ma anzi garantisce un’ulteriore assicurazione di impunità, dal momento che il GUN si trova di fatto privo di qualsiasi strumento coercitivo efficace. Se questa dinamica vale, in linea di principio, per qualsiasi attore sull’intero territorio libico, diventa particolarmente rilevante proprio nella regione di Tripoli, dove il controllo da parte delle milizie di infrastrutture strategiche, snodi viari e sedi istituzionali rappresenta una delle più forti garanzie di veder riconosciuto il proprio ruolo nel futuro assetto del Paese.

Lorenzo Marinone
(Ce.S.I.)

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