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Biblioteca Archivio del CSSEO: Václav Havel e l’idea di Europa

Il dibattito è organizzato a Levico Terme, nella «Sala Senesi» del Palazzo delle Terme, per mercoledì 25 agosto – Interviene Sante Maletta, introduce Fernando Orlandi

Per comprendere il particolare contributo che Václav Havel ha portato alla concezione dell’idea di Europa, occorre prendere le mosse dalla scuola di stampo fenomenologico alla quale apparteneva il suo maestro in campo filosofico, vale a dire Jan Pato?ka (di cui ha discusso Massimo Libardi nell’incontro-dibattito dell’11 agosto).
Il fondatore della fenomenologia Edmund Husserl parla di crisi delle scienze europee, vale a dire di crisi della capacità della ragione di stabilire criteri pratici e quindi di guidare la vita. Se le cose stanno così, la responsabilità umana diviene una mera illusione.

Tuttavia, secondo Husserl, se si interroga il passato comune alle genti europee si scopre un senso che emerge a livello di consapevolezza per la prima volta con la nascita della filosofia in Grecia: l’episteme, la scienza, la conoscenza vera e rigorosa dell’intero.
La coscienza del dislivello tra verità e sapere permette all’Europa di evitare di fossilizzare la verità in una determinata dottrina e di oltrepassare le proprie idiosincrasie.

Tale tensione alla verità nella sua interezza tende a depotenziarsi soprattutto a partire dalla modernità. Questa, in nome dell’ideale dell’oggettività, ci spinge a considerare il fondo da cui la scienza con tutte le sue discipline emerge, il «mondo della vita» (Lebenswelt), come qualcosa di meramente individuale e soggettivo.
Nasce da tale atteggiamento l’oggettivismo.
 
Dal punto di vista filosofico, il dissenso ceco si caratterizza come lotta contro l’oggettivismo e la conseguente svalutazione di tutto ciò che è soggettivo e personale; quindi non è casuale che in esso il momento culturale abbia il primato sul momento strettamente politico.
I dissidenti cechi affermano con decisione la loro piena appartenenza alla tradizione europea, e in tale prospettiva il comunismo non è una malattia passeggera o un incidente di percorso ma una conseguenza della crisi della tradizione europea che coinvolge tutti i paesi europei al di qua e al di là della Cortina di ferro.
La lotta contro l’oggettivismo si realizza come rifiuto del progetto di neutralizzazione morale della sfera politica e con la conseguente tecnicizzazione dello stato.

La neutralizzazione e il predominio di una razionalità impersonale fan sì che ogni scrupolo che possa sorgere rispetto a tale mobilitazione tecnica venga qualificato come qualcosa di meramente soggettivo e idiosincratico di cui non tener conto e con esso anche il medium attraverso cui ogni scrupolo si esprime, il linguaggio naturale.
Di contro, la vera universalità è radicata nella Lebenswelt.
Ecco quindi che la questione del mondo della vita allude a un orizzonte pratico che si apre a chi realizza certe possibilità esistenziali, le quali possono venire raccolte sotto un unico titolo, quello di cura dell’anima.
 
Un buon punto di partenza per parlare della cura dell’anima è focalizzarsi sul lavoro linguistico che implica: essa è infatti resistenza all’ideologia e al suo sistema simbolico-linguistico che lavora ad approfondire la banalizzazione.
Non è per nulla stravagante allora affermare che la principale arma della cura dell’anima è l’arte, in particolare la letteratura, la quale opera nella direzione della salvaguardia della complessità e della ricchezza semantica del linguaggio.

Il samizdat serve proprio ad assicurare la circolazione innanzitutto di testi letterari (racconti, poesie) che generano uno spazio di comunicazione interpersonale in cui non è richiesta la censura preventiva della propria prospettiva soggettiva.
L’arte permette lo sviluppo di un pensiero riflessivo profondo in cui il soggetto è in grado di avvicinarsi alla Lebenswelt, è capace cioè di un rapporto con sé e con il mondo fondato sull’intenzionalità originaria del mondo della vita.
 
E proprio tale rapporto con l’esperienza personale e quindi umana è capace di sollevare la questione della legittimità delle istituzioni e delle pratiche sociali, chiedendo di render conto di se stesse alla luce delle evidenze ed esigenze originarie.
In tal modo un nuovo senso si dà alla percezione e alla comprensione di chi ha saputo mettere in discussione tutto e di conseguenza vede le cose in modo assai diverso dagli altri, al punto da apparire come un folle.
Emerge qui la dimensione del rischio, che appartiene strutturalmente alla cura dell’anima in quanto compito teorico e pratico, e in ultima istanza la dimensione del sacrificio.

Affronta queste tematiche Sante Maletta nell’incontro-dibattito Václav Havel e l’idea di Europa che si svolgerà a Levico Terme mercoledì 25 agosto 2021, alle ore 21,00 nella Sala Senesi del Palazzo delle Terme.
Sante Maletta, insegna Filosofia politica presso l’Università degli studi di Bergamo. È segretario della Redazione scientifica di «Prologos».
Tra le sue pubblicazioni: «Hannah Arendt e Martin Heidegger. L’esistenza in giudizio» (Jaca Book, 2001); «Biografia della ragione. Saggio sulla filosofia politica di MacIntyre», Rubbettino, 2008); «Il giusto della politica. Il soggetto dissidente e lo spazio pubblico» (Mimesis, 2012); «Il soggetto dif-ferente. Peripezie della responsabilità» (Mimesis, 2016).
Ha curato «Riscoprire l’Europa. Uno sguardo dall’Est» (La Casa di Matriona, 2019).

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