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Un viaggio in Arabia/ 5 – Di Luciana Grillo

Cosa mi è rimasto di una settimana di viagio nell'Arabia Saudita

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Puntata precedente.

Per una settimana sono entrata in un mondo completamente diverso dal mio, cosa ho portato con me?
Sicuramente l’immagine delle donne velate, coperte di nero all’inverosimile, quasi a volersi confondere con tutte le altre.
In realtà, a parte qualche centimetro di differenza in altezza, sembrano davvero tutte uguali, non si capisce se siano giovani o vecchie, belle o brutte, magre o robuste.
Chissà se hanno conosciuto il mondo occidentale, se hanno indossato i jeans, se sono andate al mare in costume da bagno piuttosto che vestite…
E se tutto questo lo hanno conosciuto, magari quando sono partite per studiare in prestigiose Università, in Inghilterra, o in Australia, o negli Stati Uniti, come hanno potuto poi riadattarsi a queste abitudini, essere controllate dagli uomini di casa, essere costrette a occultare la loro femminilità?
 
Chi non si è mai allontanata dall’Arabia Saudita, forse non sa, non immagina, dal momento che nel regno governato con pugno di ferro non si vedono canali tv stranieri e non arrivano giornali dal mondo non islamico.
Le bambine possono vestire da bambine, indossare abiti dai colori vivaci; possono giocare anche con i bambini, possono ribellarsi ai papà quando le rincorrono per prenderle in braccio… Ma tutto finisce quando diventano donne.
Devono dimenticare. Negare in pubblico la loro immagine, la loro identità.
Mi sembra una pretesa mostruosa.
 

La Moschea galleggiante di Jeddah.
 
Insieme a queste donne e future donne che vedono il mondo attraverso una fessura, ho negli occhi l’immagine dei nuovi schiavi, uomini e donne che arrivano dai Paesi poveri e trovano un lavoro al servizio dei ricchi, costretti e costrette a rinunziare alla loro religione, alle tradizioni dei loro Paesi, a educare i figli secondo i propri costumi.
Li ho visti nei piccolissimi negozi di Jeddah, dove vendono spezie e saponi; le ho viste nel souk di Yanbu, rintanate nel fondo di botteghe che sembrano (per piacere ai turisti) grotte, con gli occhi fiammeggianti e capigliature voluminose.
 
Altro ricordo forte è il sovrapporsi di una civiltà fatta di consumismo e di turismo su un’altra antica e autentica come sono le case di pietra corallina di Jeddah, con porte e finestre colorate, con trafori che sembrano ricami nel legno, sono i salotti con le panche alte e tanti tappeti, sono le moschee vietate a noi infedeli, sono i cammelli su cui vengono issati i bambini per fare un giretto – come da noi per le foto sugli elefanti dello zoo – e le famigliole accampate sulla sabbia rossa del deserto, sono i fitti palmeti che appaiono come miracoli, improvvise oasi di ombra, speranza di acqua per i viaggiatori di un tempo…
 

Mercato delle spezie.
 
L’immagine peggiore sono i terribili fiori di plastica, le aiuole di Yanbu che da lontano sembrano perfette, insieme ai quartieri di Jeddah ormai disabitati, in attesa di demolizione per far posto ai grattacieli; anche l’old town di Al Ula ricostruita secondo il progetto di qualche archistar mi ha lasciato l’amaro in bocca, come il controllo poliziesco su chi guardava da lontano la grande Moschea di Madinah.
 
Il viaggio è stato reso in qualche modo facile perché invece di un percorso via terra, con zaini in spalla, abbiamo scelto una crociera, che libera dall’impegno di viaggiare con i bagagli al seguito e di cambiare letto ogni notte: nave bella, (non per niente si chiama Bellissima), cabine perfettamente pulite, personale sempre gentile, cibo di ottima qualità.
Ma in realtà è stato molto di più di una normale crociera: l’essere in pochi ci ha permesso di parlare amichevolmente con i ragazzi dell’Ufficio Escursioni, con gli addetti al front-office, con il responsabile delle relazioni esterne (Alfredo Martino, gentilissimo e presente!), con i camerieri di bar e ristoranti, con il premuroso maitre Cesare Astarita, che si è preso cura di me e dei miei problemi alimentari.
 

La nave Bellissima.
 
Nell’ampia reception era possibile, in certi orari, ascoltare musiche arabe; nella spa, dalle 11 in poi, gli uomini erano esclusi perché piscine, saune e quant’altro diventavano il regno delle donne, ma né la musica salmodiante, né l’orario di accesso limitato hanno creato disturbo.
Non abbiamo mai fatto una fila, l’animazione c’era, ma discreta, non invadente rumorosa caciarona come spesso capita; gli spettacoli a teatro ci hanno fatto passare delle serate piacevoli… Non dimentico poi che all’uscita dal teatro il soffitto della galleria si illuminava e scorrevano sulle nostre teste immagini fantastiche.
 
Mi dispiace dover riconoscere che questi aspetti per me positivi sono in realtà merito del covid.
Vorrei che – passata l’era covid – si continuasse sulla linea del silenzio rispettoso, degli eventi garbati, dello scambio cortese di idee interessanti, si tornasse insomma almeno in parte a quelle crociere eleganti e raffinate degli anni ’60/’70, quando gli uomini non andavano a cena in bermuda e calzando infradito, come qualche volta accade ora.


L'opera d'arte a bordo della nave Bellissima: il titorno al Mondo Occidentale.

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