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«La pace non trovò… né oppressi né stranieri»

Giovedì 4 ottobre alle 20.30 alle Gallerie di Piedicastello di Trento

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Cento anni fa terminava l’inutile strage della Prima Guerra Mondiale. La pace fu un’occasione persa, che non trovò vincitori, ma solo vittime su fronti opposti.
Si aggiunsero problemi a problemi, profughi a profughi, odio a odio, fino ad un nuovo conflitto mondiale.
In mezzo a questi drammi, alcune persone scelsero di dare soccorso a chi era perseguitato anche se ciò li esponeva a gravi rischi personali- alcuni di loro erano alpinisti.
Cosa ci insegnano le storie di queste persone? Come impariamo a coltivare i nostri doveri di solidarietà oggi?
 
Parleremo di queste cose e di tante altre ancora la sera del 4 ottobre alle 20.30 presso le Gallerie di Piedicastello, a cento anni meno un mese dall'armistizio di Villa Giusti.
Alla conversazione parteciperanno Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo Storico, Anna Facchini, presidente della SAT, Stefano Graiff, presidente del Centro Astalli Trento, e Raffaele Crocco, giornalista e fondatore dell'Atlante delle Guerre e dei Conflitti nel mondo.
Con loro ci saranno gli amici della Settimana dell'Accoglienza del CNCA, tra le cui manifestazioni figura anche questo evento perché intende far riflettere su persone e comunità, coltivando doveri e promuovendo diritti.

Oggi sappiamo che all'inutile strage sulle trincee dall'Adamello al Carso seguì la «vittoria mutilata», il rischio di una guerra civile, l'avvento del fascismo e un ventennio di dittatura che trascinarono il nostro Paese e le nostre famiglie verso un altro conflitto mondiale, ancora più terribile del precedente.
E una campana sopra Rovereto ci ricorda ogni sera la sofferenza di quando la guerra ha mandato via tanta gente dalle proprie case: sfollati interni, deportati in Boemia o fino in Sicilia, i nostri bisnonni e le loro storie.
 
Fu proprio con la Grande Guerra che si costruì il concetto moderno di profughi: prima le soldataglie passavano lungo le campagne a fare razzie, assediavano le città riducendole alla fame, ma mai come tra il 1914 e il 1918 si era visto un tale movimento biblico di persone gettate fuori dalle proprie dimore.
Da allora in poi i profughi sono diventati un'altra cosa: vittime civili delle guerre tra nazioni, bersaglio designato di progetti politici votati ad epurare chi era diverso.
Il Secolo Breve si inventò la pulizia etnica e le due più orribili guerre sono cicatrici dentro alle nostre storie di migranti in America, di profughi con la casa bombardata, di orfani, vedove e militi ignoti.
 
Forse lo abbiamo dimenticato, ma alla fine della Seconda Guerra Mondiale si scelse di difendere chi aveva sofferto di più riscrivendo la Convenzione di Ginevra: i rifugiati erano diventati sacri come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Non fu sufficiente: ci fu bisogno di padre Arrupe, generale della Compagnia di Gesù, per accorgersi dei boat people fuggiti dal Vietnam alla fine degli anni Settanta; nel 1995, si scoprì solo alcuni mesi dopo quello che era successo a Srebrenica mentre noi eravamo al mare e intanto in pochi rompevano il silenzio delle mille guerre africane, degli affamati del Biafra o del Darfur, dei genocidi in Rwanda, delle stragi in Congo o in Somalia...
 
Oggi qualcuno arriva fino alle nostre porte e racconta le torture subite in Libia: certi racconti non sono troppo diversi da quelli degli ultimi «bambini con il pigiama a righe», gli ex internati dei campi di sterminio.
I profughi, gli ultimi, i senza voce. In cento anni, troppo spesso hanno sofferto nell'indifferenza degli altri esseri umani: pochissimi denunciarono le leggi razziali italiane 80 anni fa, pochissimi ebbero il coraggio di nascondere in soffitta chi cercava un rifugio dai nazisti.
Tra quei pochi, molti erano uomini di montagna: grandi alpinisti come Ettore Castiglioni, Adamello Collini e di altri più anonimi e sconosciuti si celano vicende di vita quotidiana tra le nostre montagne, eroismi in mezzo alla normalità di semplicissimi montanari.
 
Oggi queste persone sono il nostro vanto: grazie a loro abbiamo una Costituzione e una Repubblica, grazie a loro abbiamo l'esempio tangibile che una comunità solidale e fraterna è possibile se ciascuno si prende in mano un piccolo impegno di responsabilità, se ciascuno diventa parte integrante di quella Costituzione che intende rimuovere con il nostro aiuto ogni ostacolo al pieno sviluppo della persona umana.
I nostri nonni, la nostra memoria, i nostri piccoli grandi eroi di ieri e di oggi ci chiedono una cosa semplice: rendere «Repubblica» lo spazio che abitiamo tutti i giorni per non vanificare i morti delle guerre e le sofferenze di chi tornò a casa e la ricostruì per solidarietà a noi che siamo venuti dopo.

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