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Una lectio magistralis per la «maestrina» Elsa Maria Fornero

Il solito luogo comune rivolto con superficialità alla nostra Autonomia: «Con i soldi è facile lavorare bene»

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Ringraziamo Elsa Maria Fornero che ha partecipato al Festival dell’Economia, nonostante fosse informata che a Trento qualcuno avrebbe cercato la rissa.
All’Auditorium ha fatto un dotto intervento per sostenere le proprie scelte, anche se sappiamo che le scelte non lo sono del tutto sue, in quanto un governo esprime la derivata di mille forze politiche che condizionano l’approvazione dell’Esecutivo.
I nostri lettori sanno che noi non condividiamo il suo operato, ma oggi le siamo grati per essere venuta a sostenere le proprie idee. È così che funziona la democrazia, alla faccia dei quattro disperati che hanno voluto contestarla a tutti i costi fuori dei canoni.
La Ministro ha tuttavia espresso un’opinione che dimostra la sua poca conoscenza della nostra Autonomia, che vogliamo segnalare perché è un luogo comune che non cesseremo mai di provare a smontare.
 
Dopo essersi complimentata del «bel lavoro che facciamo a Trento», ha aggiunto come qualcuno osservi che «con i soldi è facile lavorare bene».
Quel qualcuno, ovviamente è lei che, come il Manzoni, preferisce dire che non è farina del suo sacco ma del manoscritto che ha trovato…
«Resta da vedere – ha aggiunto, per smorzare il tono dell’affermazione – se è nata prima la buona volontà o il benessere.»
In realtà le cose non stanno neanche in questi termini e forse sarebbe bene che qualcuno volesse fare per una volta il punto della questione.
Lo faccimao noi da giornalisti, in attesa che prima o poi lo facciano gli storici.
 
Il Trentino è stato nei secoli un territorio povero, di montagna, dove difficilmente la gente riusciva a fare due pasti in uno stesso giorno. La rettitudine e il rispetto per la legge era frutto di una capillare amministrazione ecclesiastica, dove la fede valeva più di mille leggi e dove il parroco di paese gestiva anche funzioni di ufficiale di Stato civile e dove la solidarietà era scontata in tutte le famiglie, questione di vita o di morte.
Tutto questo fino all’arrivo di Napoleone che ha cancellato il Principato vescovile, fino all’Austria che non ha restituito la sovranità ai Trentini, fino all’Italia che dopo una Grande guerra sanguinosissima non era sicura di aver fatto un affare.
Poi è venuto Degasperi, cittadino austriaco poi passato all’Italia, che ha intuito la necessità di ripoirtare il Trentino alla grande autonomia di sempre.
La strada di Degasperi era giusta, ma necessitava di alcune modifiche che la popolazione regionale ha saputo chiedere, strappare e ottenere. 
Ma la gente era rimasta rigorosamente povera, come sempre.
 
Poi, il giro di boa, come solo il destino sa fare.
Quando l’alluvione del 1966 ha devastato il nostro territorio molto più di quanto non abbia fatto a Firenze, i Trentini hanno tirato fuori la loro valigia di cartone per intraprendere l’ennesima emigrazione di massa.
Ma stavolta era cambiato qualcosa. L’allora presidente della neonata Provincia autonoma di Trento, l'intraprendente Bruno Kessler, e il potentato democristiano trentino a Roma, Flaminio Piccoli, hanno cominciato a ricostruire il Trentino.
Con soldi dello Stato, è vero, ma con la saggezza dei montanari.
La gente non è più emigrata (come invece era dovuto accadere per gli alluvionati del Polesine 10 anni prima), ha lavorato per ricostruire il proprio territorio.
Poi, il passo finale dello Stato: «Se vi restituiamo il 90 percento del gettito fiscale, pensate di cavarvela da soli?»
 
La risposta è scontata, la conosciamo. Ma dobbiamo precisare che a Roma non ci credevano più di tanto.
E invece, ecco ci qua. Con la spesa corrente più bassa d’Europa (il 62%) e una disponibilità in conto capitale fantastica (38%).
Cos’è successo in questi 45 anni? Siamo stati così bravi?
No, abbiamo semplicemente «lavorato sul nostro». Col sistema del controllo budgettario, che in trentino si dice questo è quanto, punto
Non abbiamo mai sprecato le nostre risorse, primo perché conosciamo il significato della parola fame, secondo perché sappiamo che la Pubblica Amministrazione la paghiamo noi.
Vi siete mai chiesti perché il Trentino ha il tesoro di un volontariato così diffuso e generoso?
Perché la nostra gente sa che cosa sia essere soli, abbandonati a se stessi. Ma sappiamo che il vicino di casa prima o poi ci aiuterà. Lo abbiamo imparato in mille e mille anni di storia ai margini dei grandi poteri europei.
 
Oggi abbiamo il benessere, gentile Ministro Fornero, è vero.
Abbiamo fatto le formichine e tutto sommato tolleriamo anche le cicale che, giunte alla fame, si rivolgono a noi.
Ma almeno non dimenticate il nostro passato, non rinnegate il nostro spontaneo altruismo, le origini miserabili di quello che oggi chiamate privilegio e che invece dovrebbe essere la condizione diffusa in tutta l’Europa, se solo non si fossero susseguiti governi (monarchi e repubblicani) accentratori, ovvero incapaci di individuare le vere ricchezze di ogni territorio e valorizzarle.
La nostra autonomia va esportata in tutta l’Italia, non soppressa. Diffusa, per poi costruire davvero l’Europa degli Europei.
 
Guido de Mozzi.
g.demozzi@ladigetto.it

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