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Rifare la legge che disciplina il finanziamento ai partiti?

Come sempre, quando si apre una scatola di vermi, per rimetterli dentro è necessaria una scatola più grande.

Spero che gli amici della Lega non ce l’abbiano con noi per questo sottotitolo, che rende benissimo l’idea, perché non passa giorno che non esca qualche brutta notizia e a nulla valgono le filippiche di chi è stato corretto in tutti questi anni.
Dovranno anche loro aspettare che passi la tempesta, fare pulizia e... ricominciare daccapo. Possibilmente con una nuova legge che regolamenti il finanziamento dei costi elettorali dei partiti.
 
Tre i pensieri che si stanno sviluppando da questa vicenda.
La prima è che è difficile immaginare un mondo politico nazionale senza la Lega.
La seconda è che la legge sui rimborsi delle spese elettorali si presenta come una trappola dai mille risvolti.
La terza è che, tolto di mezzo Berlusconi, i benpensanti hanno dovuto cercare altrove un osso da rosicchiare.
 
Cominciando dal primo pensiero, è difficile immaginare la politica senza la Lega, così come è difficile immaginare la Lega senza Bossi.
Se personaggi come Zaia e Maroni hanno indubbiamente statura morale e abilità politica degne delle autorità che rappresentano o che hanno rappresentato, per contro nessuno di loro ha la capacità carismatica che aveva il senatùr.
Tradotto in soldoni, tolto il necessario periodo di decantazione, il ritorno di Bossi è necessario per la Lega e quindi per il Paese. Ogni voce in meno, in democrazia, è una perdita irreparabile.
 
Quanto alla legge che finanzia le spese elettorali dei partiti, è banale dire che va ristudiata nel suo impianto generale. Così come è banale ricordare che è nata per equilibrare la potenza finanziaria di Berlusconi, che di pubblici finanziamenti non ne aveva certo bisogno.
Ma la legge poteva anche starci, a patto che i finanziamenti concessi venissero sottoposti agli stessi controlli che devono accompagnare tutti i finanziamenti pubblici.
I fatti che sono emersi in questi giorni dimostrano in sostanza che, se nessuno controlla, non c’è fondo né per l’avidità né per la spudoratezza.
Basterebbe dunque che la Corte dei Conti venisse incaricata a verificare che i finanziamenti fatti con soldi pubblici corrispondano davvero a rimborsi per spese elettorali. La magistratura contabile non può entrare nel merito, sia ben chiaro, ma deve verificare che i rimborsi rispondano davvero a spese elettorali.
 
La terza osservazione può sembrare un po’ capziosa, ma pare difficile sostenerne il contrario.
Da quando Berlusconi non è più a Palazzo Chigi, il piatto dei cacciatori di scoop piange.
Questo vale per tutti, non solo per i giornalisti, i salottieri, talk-showmen, pensatori, opinionisti e comici, ma anche (ci si conceda l’iperbole) per i magistrati. Chi si è mosso per primo, stavolta è stata proprio la base.
I sostenitori di partito hanno avuto tempo e modo di guardare in casa, accorgendosi che c’era qualcosa che non andava.
Questa è la vera novità. Ed ora vogliono fare le pulizie di Pasqua.
 
Insomma, un Trota che si dimette «perché è stufo di fare in consigliere regionale», è l’emblema di un sistema che da solo portava gli anticorpi destinati a fare pulizia.

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