Storie di orginaria inquietudine per il nostro Paese

Una settimana politica chiusa nel più incerto dei modi sui tre argomenti che stanno caratterizzando la vita politica di casa nostra

Il dibattito sul pubblico finanziamento dei partiti, l’ipotesi di ulteriori tasse e la questione degli Esodati sono alcuni dei punti salienti di una settimana politica passata lasciando un po’ tutti i cittadini disorientati.
Non si tratta di argomenti per così dire felici, ma ne vogliamo parlare proprio per questo.
 
 Cominciamo dal finanziamento dei partiti
Che i partiti politici debbano essere finanziati dallo Stato è tutto da vedere.
Non sappiamo in quale altro Stato sia prevista una spesa pubblica per organizzazioni politiche non governative.
Tuttavia, un pensiero bisogna farlo, quantomeno per evitare che possano avvantaggiarsene solo i più ricchi, anche se abbiamo visto che il più ricco, Berlusconi, non è riuscito a governare il Paese meglio di un presidente povero.
Cominciamo col ricordare che un referendum popolare aveva abolito tale finanziamento.
Poi la legge è stata in qualche modo rifatta con fini specifici, per non renderla in palese contrasto con l’espressa volontà popolare: si è deciso di «rimborsare le spese elettorali».
Una legge piuttosto singolare, perché attribuisce ai partiti non il rimborso delle spese elettorali effettivamente sostenute, ma un finanziamento vero e proprio commisurato sui risultati elettorali.
Il principio economico di questa formula non è facile da giustificare, ma tant’è. Fatto sta che i risultati sono quelli che vediamo: evidentemente le spese elettorali sono state molto inferiori ai rimborsi, sicché qualcuno ha pensato di spendere i soldi in maniera “meno ortodossa” di quanto ci si poteva immaginare.
 
A questo punto ecco la nostra proposta, che si concretizza in due fasi.
1. I partiti devono chiedere ai propri sostenitori il sostegno finanziario.
2. Lo stato corrisponderà ai partiti la medesima somma (o una parte di essa) ricevuta dai propri sostenitori.
Ovviamente andranno messe delle soglie minime e delle soglie massime e magari altri filtri che consentano di impedire ai soliti furboni di fare le solite operazioni di comodo.
In questa maniera si otterrebbero due risultati.
Il primo è che lo Stato chiederebbe così ai sostenitori (almeno) il 50% delle necessità del proprio partito, una giusta collaborazione per chi ci crede veramente.
Il secondo è che in questa maniera i sostenitori farebbero a gara per dare di più degli altri.
Nel suo insieme questo tipo di finanziamento sarebbe dunque una sorta di “prestito partecipativo”, che secondo noi farebbe risparmiare ben più della metà di quanto spende oggi.
 
 Congiuntura, recessione, nuove tasse, tagli di spese 
Il ministro Passera ha dichiarato alla stampa che «la crisi non è ancora finita». Un’acuta osservazione: se non lo avesse detto non lo avrebbe imamginato nessuno.
Il prezzo della benzina è arrivata ad essere quasi per il 70% di tasse, la pressione fiscale è diventata la più alta d’Europa, il mercato si è quasi bloccato e il ministro per lo sviluppo economico osserva che la crisi non è passata…
Le strade per mettere in sicurezza il bilancio dello stato sono due, quello di aumentare il PIL (e quindi i redditi tassabili) e quello di aumentare la pressione fiscale. Il governo afferma di voler percorrere entrambe le strade, ma al momento vediamo solo la manovra che sta ingessando tutto.
Siamo proprio curiosi a sapere come il Governo pensi di rilanciare l’economia senza mettere un centesimo e dove troverà gli annunciati 100 milioni di opere pubbliche da mettere in cantiere.
La riduzione delle spese ci spaventa un po’, dato che da qualunque parte la si possa vedere si tratterà comunque di ridurre i posti di lavoro. Riduciamo il numero dei militari effettivi? Riduciamo le Prefetture? Riduciamo i fondi destinati alla cooperazione internazionale?
A parte quest’ultimo aspetto, che peraltro è una delle poche voci che tengono alto il prestigio dell’Italia nel mondo, si tratta comunque di mettere sulla strada della gente o di non assumerne più per una decina d’anni.
L’aumentare l’età della pensione e sperare nel contempo di trovare lavoro alle nuove generazioni ci pare un contrasto funzionale.
E, a proposito di pensioni, passiamo al terzo punto.
 
 Che fine faranno gli «esodati»?
Come si sa, gli «esodati» sono quei lavoratori che hanno interrotto il proprio rapporto di lavoro contando di andare in pensione con le norme vigenti al 31 dicembre 2011 e che invece, a causa della riforma delle pensioni, rischiano di vedere la data di pensionamento slittare di qualche anno.
Il numero esatto ancora non lo si conosce. L’Inps ha fatto sapere che il calcolo è difficile da fare perché dipende da alcuni passaggi organizzativi che sfuggono ai conteggi. Secondo gli esperti di previdenza, l’esercito degli esodati conterebbe circa 350-360 mila unità. Secondo il governo invece sono all’incirca 65.000.
La ministro Forlero ha ipotizzato come soluzione il ritorno al lavoro di questi pensionati, come se fossero possibili due cose: 1. Trovare ancora il posto di lavoro lasciato; 2. Trovare ancora un lavoro qualsiasi.
Insomma, il Governo non pensa minimamente a sanare la situazione concedendo la pensione sancita dalla legge in vigore al momento della scelta di quei lavoratori.
 
Qui c’è poco da dire in proposito. Non è importante quanti siano questi disgraziati: non importa al Governo che non intende pagargli la pensione, e non importa a noi perché il concetto di fondo è un altro, ben più grave di una pur vergognosa contabilità sulla vita degli altri.
Il punto è che lo Stato non ha mantenuto la parola.
Non è accettabile che una persona prenda decisioni sulla base di una legge vigente, per poi sentirsi dire che sono cambiate le regole del gioco e sono cambiate anche per loro.
È una questione di credibilità per il nostro Paese, che va più in là degli impegni presi con l’Europa.
Sì, perché un esecutivo che si rimangia la parola una volta non è più credibile per sempre. Come accade nel mondo civile, si tradisce una sola volta nella vita, perché la seconda opportunità di farlo non te la daranno più.
E visto che lo Stato siamo noi, ci sentiamo tutti un po’ traditi e traditori.
 
GdM