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Berlusconi fuori gioco? No: è una «sconfitta di Pirro»

In realtà, gli sconfitti veri siamo noi che abbiamo eletto un Parlamento che è in grado solo di rigenerare se stesso

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Potremmo dire che quella che tutti chiamano sconfitta di Berlusconi si tratti in realtà di una «sconfitta di Pirro», rovesciando il detto del condottiero che vince le battaglie ma perde la guerra.
Quando Berlusconi ha sorpreso tutti affermando di concedere la fiducia al governo Letta, non ha né perso né vinto. Non ha segnato la fine di un’epoca, né ha fatto un giro di boa della sua vita.
Si potrebbe dire che ha sacrificato il proprio interesse per il bene del Paese, ma non vogliamo essere così ottimisti perché non vogliamo attirarci le ire dei detrattori di Berlusconi (sembra di essere tornati ai tempi degli antagonismi tra comunisti e democristiani, quelli che adesso stanno nello stesso partito).
Più probabilmente Berlusconi ha fatto quello che le persone intelligenti fanno in questi casi: «Non potendoli battere, ne è diventato il capo».
Il che lo pone comunque al di sopra della media dei politici che gli stanno intorno, sia di destra che di sinistra. Nessuno di loro sarebbe stato capace di cambiare rotta, non tanto perché per modificarla bisogna avere le coordinate e sapere dove si vuole andare, ma perché per cambiare la propria posizione ci vuole tanto e tanto coraggio. I leader lo hanno.
 
Gli altri sono i replicanti. I quali si perdono in mille inutili commenti, che vanno dalle lusinghe più plateali alle critiche più scontate.
Perfino Letta, che lì per lì si era sorpreso a esclamare il generoso commento «È un grande!», oggi ha precisato a una giornalista TV che il grande si riferiva al cambiamento epocale che quella dichiarazione significava, non al gesto di per sé.
Noi quel giorno lo avevamo visto in diretta e ci era sembrato che fosse davvero entusiasta dell’uomo, più che del risultato di per sé.
Insomma, tutti continuano a scherzare con il fuoco, da una parte (i detrattori) approfittando di una situazione per fare i Maramaldo, dall’altra (i sostenitori) cercando di tornare nelle grazie del leader che non avevano esitato a sfidare quando sembrava possibile farlo.
Nessuno ha vinto. Lo Stato è sempre in braghe di tela, il governo continua a reggersi su un trono di cactus, la sinistra è sconvolta sulle procedure da prendere per l’elezione di un segretario, la destra sta cercando un nuovo leader sul quale orientare le procedure da attivare.
L’Europa sta a guardare. E a criticare.
 
Qualche piccolo episodio fa pensare peraltro alla fattoria degli animali di George Orwell. Di tutte le dimissioni presentate dai ministri PDL, Letta ha accettato solo quelle di Michaela Biancofiore.
Letta dice di averle accettate perché è stata l’unica a non ritirarle. Lei dice che l’aspetto formale è del tutto insignificante, dato che (secondo lei) nessuno le ha formalmente ritirate. Ritiene piuttosto che si tratti di «mobbing».
Francamente crediamo più nella seconda ipotesi, anche se più che al mobbing pensiamo all’opportunità di Letta di cogliere la palla al balzo. Per dirla in tutta chiarezza, se l’è tolda dai piedi.
D’altronde, noi abbiamo sempre pensato che le dimissioni siano una cosa seria. Le puoi minacciare, questo sì, ma alla fine o le dai o non le dai. Non possono essere mai date per bluffare.
Bene allora, tutto questo gioco al finto massacro è stato un trucco per far uscire Biancofiore dall’Esecutivo…
Un gioco che ci ha fatto fare la figura dei pagliacci a Washington sfiduciando il Presidente del Consiglio mentre stava cercando di convincere gli Americani che l’Italia è un Paese serio…
 
Ma dato che a dire dei nostri politici tutto è tornato come prima, anzi meglio di prima, andiamo avanti, ma cerchiamo di fare in fretta.
Dimentichiamo anzitutto l’appoggio degli USA, dato che la bella figura adesso la stanno facendo loro, con i parlamentari ricchi che non vogliono che venga data l’assistenza sanitaria ai poveri.
E pensiamo a noi. Siamo riusciti a trovare i fondi per impedire l’aumento dell’IVA, ma l’abbiamo lasciata aumentare.
Non abbiamo ancora scongiurato la seconda rata dell’IMU, ma abbiamo trovato come coprire il mancato incasso.
La pressione fiscale quindi continua a crescere senza requie, ben sapendo che è la causa della recessione che attanaglia il nostro amato Paese.
Le iniziative del «fare» sono affaticate da un Parlamento che invece che approvare i decreti pensa a come far fuori Berlusconi prima ancora che il tribunale stabilisca l’aspetto della decadenza.
Cerchiamo almeno di varare una legge elettorale, così la prossima volta non dovremo appellarci al buonsenso di qualcuno per non andare a elezioni anticipate.
 
G. de Mozzi

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