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Fumata nera: Mattarella dice NO al governo di Giuseppe Conte

«Ho condiviso e accettato tutte le proposte per i ministri, tranne quella del ministro dell'Economia» – Convocato Cottarelli: gestirà il governo alle elezioni anticipate

Una domenica pesante per il Paese e le sue Istituzioni.
Il presidente incaricato, Giuseppe Conte, è salito al Quirinale verso le 19 e ha presentato la lista dei ministri per la formazione del suo governo.
Il presidente Mattarella, preso atto che al ministero dell’Economia era stato designato Paolo Savona, ha respinto la proposta in toto, precisando di non poter accettare che l’incarico di un dicastero così delicato e critico nei confronti dell’Europa venisse affidato a un ministro non eletto dal popolo. Lo stesso Conte non è un parlamentare eletto.
Nel suo discorso, che riportiamo per intero a pié di pagina, Mattarella è stato preciso:
«Ho chiesto, per quel ministero, l'indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, coerente con l'accordo di programma. Un esponente che - al di là della stima e della considerazione per la persona - non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell'Italia dall'euro. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso, nell'ambito dell'Unione europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano.»
 
Come si può immaginare, il «rifiuto» del presidente ha sconvolto la politica italiana e ha segnato la fine della Legislatura eletta quasi tre mesi fa.
Il leader del Movimento 5 Stelle ha perso la testa, annunciando l’impeachment nei confronti del presidente Mattarella. Una reazione decisamente poco rispettosa delle istituzioni, alla quale peraltro si è associata Giorgia Meloni.
In Italia la messa sotto accusa del presidente della Repubblica è prevista «in caso di alto tradimento o attentato alla Costituzione».
La Carta è molto chiara in tal senso: «Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri».
 

 Come funziona l'impeachment in Italia 
Non ci sono precedenti in Italia, non si è mai verificata la messa in stato d'accusa, ma ne fu investito Giovanni Leone che però si dimise prima.
Accadde anche a Francesco Cossiga, ma non ebbe luogo perché lasciò il Quirinale due mesi prima della scadenza del settennato. Non ci fu seguito concreto con Oscar Luigi Scalfaro. In tutti questi casi la messa in stato di accusa era del tutto strumentale.
La decisione finale della messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica, peraltro, non spetta al Parlamento ma alla Corte Istituzionale.
I passaggi che una procedura così delicata prevede sono tanti e complessi, non a caso non si è mai arrivati alla fine di questo percorso.
Innanzitutto la richiesta va presentata al presidente della Camera con tutto il materiale probatorio a sostegno dell'accusa. Il presidente della Camera trasmette poi il dossier a un comitato apposito, costituito dai componenti della giunta del Senato e della Camera, i cui membri devono rappresentare tutte le forze politiche.
Il comitato ha il compito di decidere sulla legittimità dell'accusa e, dopo aver preso una decisione votata a maggioranza, presenta una relazione al Parlamento riunito in seduta comune.
Il comitato può scegliere di archiviare il caso se ritiene che le accuse siano diverse da quelle stabilite dell'art. 90 della Costituzione, o deliberare la votazione in aula della messa in stato d'accusa.
 
In entrambi i casi il presidente della Camera riunisce di nuovo il Parlamento, che poi deve esprimersi sull'autorizzazione a procedere. Il Parlamento può chiedere ulteriori indagini o mettere in discussione la competenza parlamentare dei reati imputati.
Il Parlamento vota quindi sulle eventuali proposte. Se sono respinte, si prende atto delle decisioni del comitato. Se delibera di archiviare il caso, la decisione viene approvata senza il passaggio del voto.
Se la relazione propone la messa in stato d'accusa, si vota a scrutinio segreto.
Per procedere però la proposta di destituzione deve raggiungere la maggioranza assoluta dell'assemblea.
 
Ma non è finita qui: se il Parlamento dà l'autorizzazione a procedere, il caso passa alla Corte Costituzionale, a cui vengono affiancati sedici giudici aggregati, estratti a sorte da un elenco di quarantacinque persone compilato dal Parlamento ogni nove anni e i cui requisiti di accesso sono gli stessi dei giudici della Corte.
Nella stessa seduta il Parlamento elegge i rappresentanti dell'accusa che fanno da Pubblico Ministero durante le sedute della Corte, che decide attraverso un vero e proprio processo al cui termine arriva una sentenza.
Ammesso che Di Maio voglia andare avanti su questa strada, dovrà decidere se andare al voto subito o fare lo stato di accusa, perché se chiedono le urne e lo scioglimento delle Camere, è chiaro che ciò è incompatibile con l'impeachment.
Comunque la si voglia vedere, si tratta di una sconfitta per il paese. Che la colpa sia di chi non ha saputo ritirare la candidatura di Savona o del Presidente che non lo ha voluto, si tratta di una situazione che l’Italia farà fatica a superare.
Domattina vediamo come reagiranno i mercati finanziari, che rappresentano da soli il giudizio più immediato.
 

Carlo Cottarelli in una foto di Niccolò Caranti scattata al Festival dell’Economia del 2015.

 Chi è Carlo Cottarelli  
Il presidente Mattarella, poco dopo il suo intervento davanti alla stampa accreditata al Quirinale, ha convocato Carlo Cottarelli al quale conferirà l’incarico di formare il nuovo governo. Governo che verosimilmente porterà il Paese a elezioni anticipate, che potrebbero avvenire nel mese di settembre.
Laureato in Scienze Economiche e Bancarie presso l'Università di Siena, Cottarelli ha conseguito il master in Economia presso la London School of Economics, ha lavorato nel Servizio Studi della Banca d'Italia
Dal settembre 1988 lavora per il Fondo monetario internazionale (FMI) nell'ambito del quale ha fatto parte di diversi dipartimenti. Dal novembre 2008 al 2013 ha assunto l'incarico di Direttore del Dipartimento Affari Fiscali del FMI.
Ma per valutare meglio la decisione del presidente Mattarella è bene ricordare l'incarico di Commissario straordinario alla revisione della spesa che nel 2013 il Governo Letta gli aveva affidato.
Tale attività riguardava le spese delle pubbliche amministrazioni, degli enti pubblici, nonché delle società controllate direttamente o indirettamente da amministrazioni pubbliche che non emettono strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati.
Nel 2014 si è dimesso dall’incarico, ufficialmente perché nominato da Renzi nel Board del Fondo Monetario Internazionale, ma in realtà perché - come aveva dichiarato in una intervista rilasciata poco prima del termine dell'incarico – aveva riscontrato forti difficoltà a relazionarsi, prima ancora che con il sistema politico, con quello burocratico, a suo dire chiuso ed estremamente impermeabile ad ogni azione finalizzata a modernizzarne l'attività.

G. de Mozzi

Dichiarazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al termine del colloquio con il professor Giuseppe Conte

Palazzo del Quirinale 27/05/2018

Dopo aver sperimentato, nei primi due mesi, senza esito, tutte le possibili soluzioni, si è manifestata - com'è noto - una maggioranza parlamentare tra il Movimento Cinque Stelle e la Lega che, pur contrapposti alle elezioni, hanno raggiunto un'intesa, dopo un ampio lavoro programmatico.
Ne ho agevolato, in ogni modo, il tentativo di dar vita a un governo.
Ho atteso i tempi da loro richiesti per giungere a un accordo di programma e per farlo approvare dalle rispettive basi di militanti, pur consapevole che questo mi avrebbe attirato osservazioni critiche.
Ho accolto la proposta per l'incarico di Presidente del Consiglio, superando ogni perplessità sulla circostanza che un governo politico fosse guidato da un presidente non eletto in Parlamento. E ne ho accompagnato, con piena attenzione, il lavoro per formare il governo.
Nessuno può, dunque, sostenere che io abbia ostacolato la formazione del governo che viene definito del cambiamento. Al contrario, ho accompagnato, con grande collaborazione, questo tentativo; com' è del resto mio dovere in presenza di una maggioranza parlamentare; nel rispetto delle regole della Costituzione.
 
Avevo fatto presente, sia ai rappresentanti dei due partiti, sia al presidente incaricato, senza ricevere obiezioni, che, per alcuni ministeri, avrei esercitato un'attenzione particolarmente alta sulle scelte da compiere.
Questo pomeriggio il professor Conte - che apprezzo e che ringrazio - mi ha presentato le sue proposte per i decreti di nomina dei ministri che, come dispone la Costituzione, io devo firmare, assumendomene la responsabilità istituzionale.
In questo caso il Presidente della Repubblica svolge un ruolo di garanzia, che non ha mai subito, né può subire, imposizioni.
Ho condiviso e accettato tutte le proposte per i ministri, tranne quella del ministro dell'Economia.
La designazione del ministro dell'Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari.
Ho chiesto, per quel ministero, l'indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, coerente con l'accordo di programma. Un esponente che - al di là della stima e della considerazione per la persona - non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell'Italia dall'euro. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso, nell'ambito dell'Unione europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano.
A fronte di questa mia sollecitazione, ho registrato - con rammarico - indisponibilità a ogni altra soluzione, e il Presidente del Consiglio incaricato ha rimesso il mandato.
 
L'incertezza sulla nostra posizione nell'euro ha posto in allarme gli investitori e i risparmiatori, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende. L'impennata dello spread, giorno dopo giorno, aumenta il nostro debito pubblico e riduce le possibilità di spesa dello Stato per nuovi interventi sociali.
Le perdite in borsa, giorno dopo giorno, bruciano risorse e risparmi delle nostre aziende e di chi vi ha investito. E configurano rischi concreti per i risparmi dei nostri concittadini e per le famiglie italiane.
Occorre fare attenzione anche al pericolo di forti aumenti degli interessi per i mutui, e per i finanziamenti alle aziende. In tanti ricordiamo quando - prima dell'Unione Monetaria Europea - gli interessi bancari sfioravano il 20 per cento.
È mio dovere, nello svolgere il compito di nomina dei ministri - che mi affida la Costituzione - essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani.
In questo modo, si riafferma, concretamente, la sovranità italiana. Mentre vanno respinte al mittente inaccettabili e grotteschi giudizi sull'Italia, apparsi su organi di stampa di un paese europeo.
L'Italia è un Paese fondatore dell'Unione europea, e ne è protagonista.
 
Non faccio le affermazioni di questa sera a cuor leggero. Anche perché ho fatto tutto il possibile per far nascere un governo politico.
Nel fare queste affermazioni antepongo, a qualunque altro aspetto, la difesa della Costituzione e dell'interesse della nostra comunità nazionale.
Quella dell'adesione all'Euro è una scelta di importanza fondamentale per le prospettive del nostro Paese e dei nostri giovani: se si vuole discuterne lo si deve fare apertamente e con un serio approfondimento. Anche perché si tratta di un tema che non è stato in primo piano durante la recente campagna elettorale.
Sono stato informato di richieste di forze politiche di andare a elezioni ravvicinate. Si tratta di una decisione che mi riservo di prendere, doverosamente, sulla base di quanto avverrà in Parlamento.
Nelle prossime ore assumerò un'iniziativa.
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