Caccia: numero capi abbattuti e cambiamenti nell’ecosistema
Eurac Research in uno studio sull’abbattimento degli animali selvatici in Alto Adige dalla fine dell’Ottocento: calano gli uccelli, aumentano gli ungulati
Non solo cervo, gallo cedrone e volpe: in uno studio triennale, gli ecologi di Eurac Research hanno raccolto dati su tutte le 28 specie selvatiche che possono essere cacciate in Alto Adige.
I risultati sono mappe e diagrammi che forniscono informazioni sulla distribuzione degli animali e sul loro abbattimento nelle riserve di caccia dell’Alto Adige.
Oggi i risultati sono stati presentati a Bressanone e gli sviluppi sono stati discussi con gli esperti.
Lo studio è frutto di una collaborazione tra Eurac Research, Associazione Cacciatori Alto Adige, Ufficio Caccia e Pesca provinciale e Università di Innsbruck.
Negli ultimi decenni il paesaggio dell'Alto Adige è cambiato radicalmente: in molte aree i pascoli alpini e forestali e le terre coltivabili sono stati abbandonati, si sono diffuse le praterie a coltura intensiva, le colture frutticole e vinicole.
Le foreste sono diventate più fitte e gli insediamenti sono cresciuti. Se il paesaggio cambia, cambia anche l'habitat degli animali selvatici.
In casi estremi gli habitat scompaiono completamente e con loro anche le specie animali che ci vivono; alcune specie saranno più rare, mentre altre popolazioni cresceranno.
«Specie come la quaglia e la pernice sono diminuite bruscamente dagli anni ‘60. A differenza di oggi, qualche decennio fa nelle valli si praticava ancora l’agricoltura. Gli uccelli di campo trovavano cibo a sufficienza, le siepi e gli arbusti ai margini del campo li proteggevano anche dai predatori dell’aria», spiega Erich Tasser di Eurac Research.
Al contrario, in Alto Adige i camosci sono stati molto rari fino alla metà del ventesimo secolo.
«La specie si è diffusa su tutto il territorio provinciale grazie a norme sulla caccia più severe, ma anche perché l’agricoltura è meno diffusa e i predatori naturali sono quasi del tutto assenti», osserva Tasser.
I ricercatori hanno rapportato il numero di capi abbattuti ai cambiamenti nell’uso del suolo, ma anche ai cambiamenti climatici, all’uso di fertilizzanti e pesticidi, alla frequenza con cui viene tagliata l’erba nei pascoli, alla nascita di nuovi centri abitati e all’espansione urbana nelle valli.
Lo scopo è quello di capire come l’attività umana influisca sulla diversità ecologica.
I ricercatori intendono anche scoprire se ci sono specie animali che, per le loro esigenze, possono fungere da indicatori per misurare la qualità del paesaggio e descriverne i cambiamenti.
Ad esempio, le foreste di conifere vecchie e poco fitte sono l’habitat ideale per il gallo cedrone, ma negli ultimi anni l’abbandono dell’alpeggio ha fatto sì che i boschi diventassero più folti e che questo animale perdesse il suo habitat naturale.
Alcuni animali sono sensibili ai cambiamenti del paesaggio, per cui la loro presenza è considerata un buon indicatore.
Il modello di analisi elaborato dai ricercatori può essere applicato anche ad altre regioni alpine.
I dati per lo studio sono stati forniti dall’Associazione Cacciatori Alto Adige.
«Siamo rimasti sorpresi da alcuni risultati, ma soprattutto ci è piaciuto il modo in cui alcuni aspetti sono stati affrontati utilizzando criteri rigorosamente scientifici», afferma Heinrich Aukenthaler, direttore dell'Associazione Cacciatori Alto Adige.
«Non possiamo essere indifferenti a ciò che accade al paesaggio. È la base di tutta la vita, umana, animale e vegetale. I risultati offrono maggiore conoscenza, maggiore comprensione e alla fine anche maggiore sensibilità sull'argomento», dice Aukenthaler.