Home | Interno | Forze Armate | Missione La Spezia: a 80 anni dai grandi successi della X Mas

Missione La Spezia: a 80 anni dai grandi successi della X Mas

Iniziamo oggi una serie di quattro articoli sui reparti più esclusivi della Marina Militare, gli incursori e i palombari

image

>
Lo scorso anno dovevamo scrivere una serie di articoli sulla Marina Militare Italiana, perché ricorrevano gli 80 anni delle imprese contro le navi inglesi operate dai reparti speciali della X Flottiglia Mas.
Avevamo chiesto l’accredito alla Marina per poter scrivere qualcosa di più puntuale, ma i problemi generati dalla pandemia ci hanno obbligati a stare a casa, rinviando a tempi migliori la nostra missione giornalistica. Missione che abbiamo effettuato questo mese di luglio 2022.
Teniamo a precisare per l’ennesima volta che il nostro giornale è assolutamente contrario a qualsiasi guerra, ma sappiamo anche che se dovesse succedere qualcosa ci aspettiamo che lo Stato sia in grado di difendere il nostro paese da qualsiasi minaccia.
 
I nostri lettori ricorderanno le nostre missioni nei teatri di guerra dall’Afghanistan al Libano, e i nostri servizi presso i reparti specializzati dell’Esercito, dai Lagunari ai Parà.
Il nostro scopo è sempre lo stesso: da una parte vedere se i nostri ragazzi sono fisicamente preparati, moralmente dotati e tecnicamente attrezzati, dall’altra verificare che lo Stato li supporta in pieno, facendo sentire loro il sostegno del paese per cui operano e rischiano la vita.
Tutte le risposte sono risultate positive e anzi, teniamo a precisare che lo Stato fornisce oggi ai nostri militari il meglio di ciò che offre il mercato. Prodotti perlopiù italiani.
 
Ci mancava la Marina Militare e abbiamo deciso di parlarne in occasione degli anniversari di Suda, di Gibilterra e di Alessandria (tutti accaduti nel 1941), che furono le operazioni meglio riuscite ai nostri uomini di mare e che Churchill commentò così: «Uno straordinario esempio di coraggio e genialità».
Vista la ricorrenza storica, articoleremo questa serie di servizi su quattro argomenti specifici.
Il primo è quello di cui parleremo oggi, una breve storia dei nostri mezzi speciali, maiali, barchini, uomini gamma e quant’altro, relativamente ai fatti accaduti in quel (non troppo) lontano 1941.
Le puntate successive riguarderanno il museo della Marina di La Spezia, i Palombari e gli incursori di Marina.
Della Marina di superficie ne parleremo in altra occasione, ammesso che la Difesa ci conceda di visitare le altre due basi navali, quelle di Augusta e di Taranto. Magari immergendoci con un sommergibile o navigando su una portaerei.
 
Ma intanto godiamoci queste chicche delle nostre Forze armate, che nulla hanno da invidiare ai seal americani e ai loro palombari. Anzi, come scopriremo, ne sono stati i precursori, sono i migliori al mondo e sono sempre in azione.
Sono solamente privi di un supporto cinematografico, perché la riservatezza - per non dire il segreto assoluto – fa parte del loro DNA.
Noi racconteremo quello che ci è stato permesso di sapere e di raccontare.
 

I componenti della 1ª Flottiglia MAS nel 1939: il sottotenente di vascello Luigi Durand de la Penne (medaglia d'oro), capitano (GN) Teseo Tesei (medaglia d'oro), capitano medico Bruno Falcomatà (medaglia d'oro), capitano di fregata Paolo Aloisi (medaglia d'argento), tenente (GN) Gian Gastone Bertozzi (medaglia d'argento), tenente di vascello Gino Birindelli (medaglia d'oro), capitano (AN) Gustavo Maria Stefanini, guardiamarina Giulio Centurione.
 
  La storia: «Uno straordinario esempio di coraggio e genialità» 
La X Flottiglia Mas nacque nel 1939 dalla fusione di tre flottiglie che si erano prefisse di attaccare il naviglio nemico dal fondo. Lo Stato maggiore dubitava che l’unità speciale avrebbe potuto portare risultati apprezzabili, ma lasciò spazio ai progetti geniali presentati dai fondatori.
Va precisato che oltre ai maiali (tecnicamente si chiamano SLC, Siluri a lenta corsa – oggi detti Siluri a lunga corsa) c’erano altri mezzi d’assalto, come i barchini esplosivi e gli Uomini Gamma.
Gli Uomini Gamma facevano parte di quegli Arditi (poi divenuti gli incursori della Marina) che portavano con sé gli esplosivi e li attaccavano alle navi nemiche.
I barchini esplosivi erano dei motoscafi col puntale esplosivo e il sedile eiettabile in modo che il pilota potesse sganciarsi dal mezzo prima dell’esplosione. Puntavano la nave da colpire e la centravano. Il destino del pilota era la cattura da parte del nemico.
Nella baia di Suda, a Creta, le cose andarono bene. Il 25 marzo 1941 i sei barchini al comando del tenente di Vascello Luigi Faggioni riuscirono a entrare furtivamente nella baia forzando le istruzioni e attesero l’alba in modo da vedere chiaramente gli obiettivi da colpire. Poi scattarono e affondarono una petroliera e l’incrociatore York.
 

L’incrociatore York affondato a Suda.
 
Una analoga operazione fu tentata a Malta, ma non ebbe fortuna. Perdemmo uomini, Mas, Barchini, SLC e vi morì anche il comandante Teseo Tesei.
Il fallimento fece pensare di interrompere l’attività della X Mas. Invece fu fatto tesoro dell’esperienza e si procedette con altre missioni pianificate da tempo e destinate ad avere grandi successi strategici sull’intero Mediterraneo.
 
Da tempo avevano pensato di colpire le due basi navali inglesi di Gibilterra e Alessandria, da dove partivano le navi che tenevano in scacco la Marina italiana di superficie.
Una prima missione contro Gibilterra fu annullata perché improvvisamente la flotta inglese aveva lasciato il porto.
Una seconda missione fallì a causa soprattutto del cattivo funzionamento dei mezzi utilizzati.

Il 7 maggio 1941 le cose andarono diversamente.
Però i nostri avevano attrezzato una base segreta nella baia di Algeciras, Spagna, dove avevano attrezzato una nave semiaffondata per far uscire di nascosto i maiali da impiegare.
E infatti quella notte fuoriuscirono dalla porta subacquea della base tre squadre di SLC (immagine di lato).
Il sottotenente di vascello Vittorio Cella e il sottocapo palombaro Eusebio Montalenti portarono a termine l’operazione per primi. Nonostante la lacerazione della muta e i crampi alle gambe che gli impedivano di muoversi, riuscirono a posizionare la testa esplosiva dell’SLC alle alette di rollio di un piroscafo.
 
Diversa la situazione per la squadra di Notari con il secondo capo palombaro Ario Lazzari che per le correnti marine dovette compiere un enorme sforzo fisico per mantenere stabile l’SLC.
L’iniziale piano di piazzare le cariche su due imbarcazioni venne accantonata ed entrambe furono applicate su un’unica nave.
La squadra del tenente del genio navale Camillo Tadini e del sottocapo palombaro Salvatore Mattera impiegò più tempo delle altre due per concludere l’operazione per la presenza di alcuni pescherecci spagnoli.
Essi rientrarono per ultimi, alle 4.15, dopo aver piazzato la testa esplosiva dell’SLC alla carena di un’imbarcazione.
Alle 6.15 dell’8 maggio la baia di Algeciras venne destata dall’assordante rumore della prima detonazione.
 
Di lì a poco le altre cariche posizionate sulle imbarcazioni esplosero in successione. Le navi Pat Harrison, Mashud e Camerata, tutte piroscafi da carico, subirono danni irreparabili.
Gli inglesi ammisero la gravità delle perdite e il comandante della base, incredulo dinnanzi all’abilità degli italiani nell’eludere il sistema difensivo da esso stesso progettato, dovette aumentare le misure di sicurezza dotando le navi alleate, presenti nella baia di Algeciras, di un reticolato spinato posto al di sopra delle alette di rollio.
In poche ore, l’operazione BG 6 dimostrò l’inefficacia e il fallimento delle strategie adottate dalla Royal Navy per arginare la X Flottiglia MAS.
Le incessanti esplosioni delle bombe di profondità e i frequenti pattugliamenti delle vedette britanniche non impedirono agli equipaggi dei tre SLC di portare a termine la missione.

Ma l’operazione coronata da maggior successo fu quella realizzata contro il porto militare inglese di Alessandria d’Egitto il 18-19 dicembre 1941, eseguita al comando di Luigi Durand de la Penne.
Si trattò di una sorta di rivincita delle forze armate italiane per le gravi perdite navali subite nella notte di Taranto (ottobre 1940).
La missione ebbe inizio la notte del 3 dicembre, quando il sommergibile Scirè, comandato dal tenente di vascello Junio Valerio Borghese, salpò dal porto della Spezia. Dopo alcuni giorni il mezzo fece scalo nell'isola egea di Lero, ove imbarcò gli operatori dei mezzi d'assalto, giunti sul posto dopo il trasferimento aereo dall'Italia, e il 14 dicembre ripartì alla volta della costa egiziana, che raggiunse la notte del 18, con un giorno di ritardo per via di una violenta mareggiata.
In seguito all'arrivo di tre cacciatorpediniere, i britannici aprirono un varco nelle difese del porto, di cui approfittarono tre maiali, pilotati ciascuno da due uomini di equipaggio. Gli incursori dovevano giungere sotto la chiglia del proprio bersaglio, piazzare la carica d'esplosivo e successivamente abbandonare la zona dirigendosi a terra e autonomamente cercare di raggiungere il sommergibile che li avrebbe attesi qualche giorno dopo al largo di Rosetta.
 

 
Il maiale nº 221, condotto da Luigi Durand de la Penne ed Emilio Bianchi, si diresse verso la nave da battaglia Valiant.
Bianchi cadde a causa di un malore, mentre de la Penne riuscì a raggiungere il fondo della carena della nave, ove agganciò la carica esplosiva e poi riaffiorò; fu però catturato e condotto sulla corazzata.
Poco dopo, gli inglesi catturarono anche Bianchi, che era risalito alla superficie e si era aggrappato a una boa di ormeggio della corazzata, e lo rinchiusero nello stesso compartimento sotto la linea di galleggiamento nel quale avevano portato Durand de la Penne, nella speranza di convincerli a rivelare il posizionamento delle cariche.
Alle 5:30, a mezz'ora dallo scoppio, de la Penne chiamò il personale di sorveglianza per farsi condurre dall'ammiraglio Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet, e informarlo del rischio corso dall'equipaggio; ciò nonostante Cunningham fece riportare l'ufficiale italiano dov'era.
All'ora prevista, l'esplosione squarciò la carena della corazzata provocando l'allagamento di diversi compartimenti mentre molti altri venivano invasi dal fumo, ma il compartimento che ospitava gli italiani rimase intatto e i due vennero evacuati insieme con il resto dell'equipaggio.
 
Il maiale nº 222, condotto da Vincenzo Martellotta e Mario Marino, si diresse verso la petroliera Sagona; Martellotta fu però colpito da un malore, che costrinse i due uomini a navigare in superficie; l'equipaggio fu poi catturato dagli egiziani non appena raggiunta terra.
 
Il maiale nº 223, condotto da Antonio Marceglia e Spartaco Schergat, in una "missione perfetta", si diresse verso la Queen Elizabeth, cui i due uomini agganciarono la testata esplosiva del loro maiale; raggiunsero poi terra e riuscirono ad allontanarsi da Alessandria.
Ma furono catturati il giorno successivo, a causa dell'approssimazione con la quale il Servizio informazioni militare italiano aveva preparato la fuga: vennero date agli incursori banconote che non avevano più corso legale in Egitto, per cercare di cambiare le quali l'equipaggio perse tempo; nonostante il tentativo degli italiani di spacciarsi per marinai francesi appartenenti all'equipaggio di una delle navi in rada, vennero riconosciuti e catturati.
 
Intorno alle sei del mattino successivo ebbero luogo le esplosioni, che danneggiarono gravemente quattro navi, tra cui anche il cacciatorpediniere HMS Jervis, ormeggiato a fianco della Sagona.
Sebbene l'azione fosse stata un successo, le navi si adagiarono sul fondo e non fu immediatamente possibile avere la certezza che non fossero in grado di riprendere il mare. Nonostante tutto, le perdite di vite umane furono molto contenute: solo 8 marinai persero la vita.[27]
L'azione italiana costò agli inglesi, in termini di naviglio pesante messo fuori uso, come una battaglia navale perduta, ma fu tenuta per lungo tempo nascosta anche a causa della cattura degli equipaggi italiani che effettuarono la missione.
 

 
La Valiant (foto qui sopra) subì danni alla carena in un'area di 20 x 10 m a sinistra della torre A, con allagamento del magazzino munizioni e di vari compartimenti contigui.
Anche gli ingranaggi della stessa torre vennero danneggiati e il movimento meccanico impossibilitato, oltre a danni all'impianto elettrico.
La nave dovette trasferirsi a Durban per le riparazioni più importanti che vennero effettuate tra il 15 aprile e il 7 luglio 1942. Le caldaie e le turbine rimasero però intatte.
La Queen Elizabeth invece fu squarciata sotto la sala caldaie B con una falla di 65 x 30 m che passava da dritta a sinistra, danneggiando l'impianto elettrico e allagando anche i magazzini munizioni da 4,5", ma lasciando intatte le torri principali e secondarie. La nave riprese il mare solo per essere trasferita a Norfolk, in Virginia, dove rimase in riparazione per 17 mesi.
 
Per la prima volta dall'inizio del conflitto, la flotta italiana si trovava in netta superiorità rispetto a quella britannica, a cui non era rimasta operativa alcuna corazzata, dato che la Barham era stata a sua volta affondata da un sommergibile tedesco il 25 novembre 1941.
La Mediterranean Fleet alla fine del 1941 disponeva solo di quattro incrociatori leggeri e alcuni cacciatorpediniere. Il mar Mediterraneo era tornato a essere il Mare Nostrum.
L'ammiraglio Cunningham, per ingannare i ricognitori italiani decise di rimanere con tutto l'equipaggio a bordo dell'ammiraglia che, fortunatamente per lui, si appoggiò sul fondale poco profondo.
Per mantenere credibile l'inganno nei confronti della ricognizione aerea, sulle navi si svolgevano regolarmente le cerimonie quotidiane, come l'alzabandiera.
Poiché l'affondamento avvenne in acque basse le due navi da battaglia furono recuperate negli anni successivi, ma la sconfitta rappresentò un colpo durissimo per la flotta britannica, che condizionò la strategia operativa anche ben lontano dal teatro operativo del Mediterraneo.

Tuttavia contrasti tra gli Stati Maggiori dell'Asse non permisero di sfruttare questa grande occasione di conquistare il predominio aeronavale nel Mediterraneo e occupare Malta, rendendo libera la fondamentale rotta per la Libia.
Durante il periodo dell'armistizio, de la Penne venne decorato con la medaglia d'oro al valor militare che gli venne appuntata dal commodoro Sir Charles Morgan, ex comandante della Valiant.
Stessa decorazione venne concessa agli altri cinque operatori della Decima.

Qui finisce il primo articolo della nostra storia, perché ciò che accadde dopo l’armistizio del 1943 non fa parte di questo racconto.

Guido de Mozzi

(Continua - Nella prossima puntata il Museo tecnico della Marina Militare)


Gli eroi di Alessandria che misero in ginocchio la flotta inglese nel Mediterraneo.
Sopra: Luigi Durand de la Penne, Emilio Bianchi, Antonio Marceglia.
Sotto: Spartaco Schergat, Vincenzo Martellotta e Mario Marino.

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande