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Il Vescovo in cattedrale: Prime luci dell’alba della risurrezione

«Ma facciamoci carico di chi perde il lavoro. Come con i discepoli di Emmaus, Gesù illumina la nostra tristezza con la forza della Parola»

«La drammatica realtà in cui siamo entrati ha smascherato la debolezza di un sistema di vita dove si era persa l’attitudine a percepire gli altri come compagni di viaggio.
Pur nella distanza obbligata stiamo, poco a poco, riassaporando la nostalgia dell’incontro. Queste sono le prime luci dell’alba della risurrezione.»
Ha esordito così l'arcivescovo Lauro Tisi nella s. Messa della terza Domenica di Pasqua, presieduta nella cattedrale di Trento a porte chiuse e in diretta streaming. L'ottava domenica senza fedeli dall'inizio dell'emergenza Coronavirus.
Don Lauro oggi ricorda chi «vede con preoccupazione il futuro, temendo di perdere il proprio posto di lavoro o di non poterlo più offrire ad altri.
«Chiediamo, come Chiesa, di porre la loro sofferenza al centro dell’attenzione e provare a farcene carico.»
 
Nel commentare poi nell'omelia lo «spaccato esistenziale» offerto dall'episodio evangelico dei discepoli di Emmaus, disorientati e tristi dopo la morte di Gesù, monsignor Tisi sostiene che «la discussione animata dei due raccoglie idealmente il bagaglio di disorientamento e, non di rado, di rabbia presenti nelle nostre giornate».
Ma quando Gesù si affianca, a loro come a noi, «illumina la loro e nostra tristezza con la forza della Parola. Non sciorina dettami etici, dottrine complicate, astruse osservanze».
Ma «inaugura una nuova liturgia fatta di mani protese a prendersi cura», un «Dio impastato di storia, che non si lascia imbalsamare nelle belle pietre di un tempio, ma ha i tratti vivi dei suoi discepoli, tra cui voglio ricordare – aggiunge Tisi – i tanti uomini e donne che in queste settimane se ne sono andati».
 
Il «mandato», secondo l'Arcivescovo è «essere una Chiesa che, come Gesù, non rinfaccia, non si scandalizza della debolezza, non innalza muri e accompagna, senza soffocarle, le conversazioni degli uomini e delle donne che abitano le nostre strade, spesso affaticati e delusi dalla vita.
«Niente è più forte – conclude don Lauro – della potenza nascosta nella fragilità dell’amore, del bene, del vero e del bello.»

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