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MusicaRivaFestival: stregati da «La Cantiga dela Serena»

Nell’area archeologica ai Campi è calato il sipario sulla 37ª edizione della prestigiosa rassegna, capace di portare a Riva un pubblico di circa 5mila persone

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«Grazie per aver camminato con noi, per aver fatto questo viaggio.»
Sull’orlo della mezzanotte, al monte di San Martino, sopra la piana dell’Alto Garda, ieri il vento ha portato queste parole, tra pietre millenarie.
Parole che hanno chiuso un concerto ma anche una tratta, quella della 37esima edizione di musicaRivafestival.
Un viaggio capace di traghettare un pubblico di circa 5mila persone sulle rotte della musica, in un tempo difficile come questo.
 
Il bosco come teatro, resti di antiche civiltà come proscenio, nell’area archeologica di san Martino ai Campi. I sassi raccontano la storia di un luogo abitato dall’età del rame al basso medioevo, scoperto nel 1969 da un gruppo di appassionati che inseguivano una leggenda.
Non erano mossi dalla ricerca di un tesoro, ma dalla curiosità: lo spirito dei viaggiatori che ha dato vita anche a questa edizione di musicaRivafestival e che ha condotto all’approdo trentino «La Cantiga dela Serena».
 
Il profilo è quello di un ensemble, composto da musicisti e ricercatori pugliesi che da anni si dedica al recupero della musica antica e tradizionale del bacino del Mediterraneo.
L’essenza è quella dei cantori, che tramandano storie, leggende, musica e canti, con le voci e gli strumenti del mondo.
«Grazie per aver camminato con noi, per aver fatto questo viaggio.»
 
Le parole sono di Giorgia Santoro, nocchiero che ha nel sacco flauto, ottavino, flauto basso, flauto contrabbasso, bansuri, tin whistle, arpa celtica, banjo indiano, cimbali, perché sono molte le lingue della musica, ma il cuore qui è uno soltanto: il Mediterraneo.
Voce, chitarra battente, daff, Fabrizio Piepoli, ha tracciato la rotta. Sullo sfondo le percussioni di Roberto Ghia.
 
«Noi navighiamo nel mar Mediterraneo e non solo. In realtà navighiamo su una nave che tanto immaginaria non è, perché portiamo legni, corde.
«Sul palco molti strumenti che non vengono dal Mare nostrum, perché il Mediterraneo è un luogo immaginario, è uno stato d’animo, oltre la retorica dell’appartenenza geografica.»
 
L’uomo come creatura di un conteso ben più ampio di quello che lo può definire.
«La cantiga è una zattera colma di strumenti, suoni e suggestioni pronta a raccoglierne altri e declinarli con il suo cuore.»
Un cuore di donna, ha proseguito Piepoli: Santoro come tessitrice del progetto di ricerca, certo, ma anche donna nel senso assoluto del termine, tessitrice di vita.
 
Così La Cantiga della serena, metafora di un viaggio musicale partito dal ladino, lingua tradizionale dei sefarditi, che esplora le musiche del Mediterraneo.
Non una semplice raccolta di canti e melodie, ma sapienti intrecci tra lingue e colori, leggende e canti popolari. E allora ecco la Grecìa salentina, il syrto greco, melodie siriane, horo macedone.
Nel bosco cangiante di Campi si è svelato il Mediterraneo, quello stato dell’anima che non è semplicemente mare.
 
L’erba si è fatta scoglio dove un tempo un uomo incontrò la sua sorte, la sua fortuna.
Essa piangeva e con lei tutti i pesci del mare.
«Dimmi Fortuna, perché piangi?» chiese lui. «Piango per i torti che ti sono stati fatti.»
 
Salentino, castigiano antico, sefardì, ricerche linguistiche da una sponda all’altra del Mediterraneo.
Difficile gettare l’ancora da questa barca chiamata musica, guidata dal canto della sirena lungo le rotte dei popoli antichi.

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