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Parkinson: passo avanti nella conoscenza dei fattori di rischio

Uno studio determina che il gene RIT2 ha un ruolo protettivo

Il Parkinson è la seconda malattia neurodegenerativa al mondo: colpisce il due, tre per cento degli ultrasessantenni, e nelle società occidentali i numeri sono destinati ad aumentare per effetto dell’invecchiamento della popolazione, con notevoli costi emotivi e per i sistemi sanitari.
«Purtroppo al momento non sono ancora disponibili cure se non per alleviare i sintomi, pertanto ogni strategia per prevenire e riconoscere il più precocemente possibile l’insorgere della malattia è fondamentale», chiarisce il neuroscienziato di Eurac Research Mattia Volta.
 
«Con la nostra ricerca riteniamo di aver individuato quello che chiamiamo un nuovo “bersaglio molecolare”, cioè una proteina che partecipa ai processi tipici della patologia e sul quale si potrà intervenire per ridurre il rischio di svilupparla».
Da tempo si sa che nel cervello di chi si ammala si formano degli accumuli della proteina alfa-sinucleina, che intossicano e infine uccidono le cellule neuronali. Le cause di questi accumuli sono varie e non ancora tutte note. In alcuni casi ci sono mutazioni genetiche ereditarie e conosciute, ma sfuggono ancora fattori di rischio che riguardano una fetta più ampia della popolazione. Con la loro ricerca Volta e colleghi hanno verificato che gli accumuli di alfa-sinucleina sono correlati anche all’espressione del gene RIT2.
 
«Prima abbiamo testato come, aumentando l’espressione del gene RIT2, si riducono gli accumuli di alfa-sinucleina», spiega Volta.
«Poi, come controprova, abbiamo eliminato il gene e abbiamo visto che la cellula in effetti perdeva il controllo sui processi che tengono sotto controllo le proteine, tra cui l’alfa-sinucleina. A Bolzano abbiamo svolto esperimenti su modelli cellulari, in Canada i nostri colleghi hanno lavorato con i topi, dove abbiamo visto che aumentare l’espressione di Rit2 protegge i neuroni dalla morte cellulare e dall’accumulo di alfa-sinucleina patologica, confermando i nostri risultati anche in un organismo completo e complesso».
 
Per il momento si è trattato di interventi a livello genico, ma ricercatrici e ricercatori sono fiduciosi che con il tempo si possa mettere a punto un sistema più semplice per intervenire sul gene RIT2. Se chiunque riscontrasse di avere una espressione ridotta del gene RIT2 potesse intervenire per regolarlo si abbasserebbero i fattori di rischio per moltissime persone.
Lo studio è stato recentemente pubblicato sulla rivista «NPJ Parkinson's disease», del gruppo Nature. https://www.nature.com/articles/s41531-023-00484-2

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