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«La Principessa Capricciosa» – Racconto di J. G. Sapodilla

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Giovanni Di Cristofano (J G Sapodilla) è nato a Roma e vive a Recco (Riviera ligure). 
Il suo lavoro era nel management consultant, ora in ritiro.
Ama andare in bici e viaggia. Ha un blog: http://sapodilla.ilcannocchiale.it/.
Scrive racconti, tra i quali questo che ci ha inviato.
Per saperne di più: google J G Sapodilla.

C’era una volta un re che aveva una figlia molto bella ma molto capricciosa. Se il cuoco le serviva un brodino lei lo assaggiava appena e poi chiedeva:
«È un brodo di pollo per caso?»
«Si principessa, pollo dei nostri allevamenti,» − sorrideva felice il cuoco.
«Portalo via, stupido cuoco, io voglio un brodo di dado,» – rispondeva lei furiosa.
Naturalmente tutti i cortigiani, e specialmente le sue amiche, erano dalla parte della principessa.
«Tutti sanno che il brodo deve essere fatto col dado e il re dovrebbe bandire i polli dal nostro regno.»− Dicevano in coro.
Un’altra volta il ciabattino di corte le aveva fatto un paio di meravigliose scarpine in vero cuoio e raso con brillantini. Ma quando il ciabattino si mise seduto su un piccolo sgabello per misurarle, la principessa chiese sospettosa
«Queste scarpette sono fatte per caso con pelle di cuoio?»
«Si principessa− rispose il ciabattino − il miglior cuoio delle nostre concerie.»
La principessa fu molto irritata da questa risposta e gridò al ciabattino: «Porta via subito queste scarpette orribili e fammi un paio di ciabattine di pelle di pollo.»
E tutte le sue amiche dissero
«Vi preghiamo principessa, fate fare ciabattine di pelle di pollo anche per noi, da ora in poi non vogliamo portare altro.»
 
Il re era disperato, cosa avrebbero pensato gli ambasciatori, se si serviva loro brodo di dado? E se la principessa avesse indossato ciabatte di pelle di pollo al loro cospetto? Avrebbero pensato a una mancanza di riguardo e poteva perfino scoppiare una guerra contro il suo regno.
Ecco i motivi per cui il re pregava tutto il giorno che un principe venisse a chiedere sua figlia in sposa.
Il regno del re, padre della principessa capricciosa, era molto grande e ricco, al suo confine viveva il principe povero nel suo piccolo regno.
Il principe povero era molto orgoglioso e molto famoso, perché era l’ultimo discendente di una famiglia di guerrieri, che avevano sempre vinto tutte le battaglie contro i nemici.
Tutte le giovani principesse nei dintorni speravano che il principe povero venisse a chiedere la loro mano, ma non la principessa capricciosa.
Il vento aveva portato in giro la voce che il re non poteva sopportare i capricci di sua figlia e si domandava ansioso quando sarebbe arrivato un pretendente a lei gradito.
Infatti la principessa rifiutava ostinata tutti i pretendenti con mille scuse: questo ha baffi troppo lunghi, quello odora di tabacco, e mandava via tutti.
Anche il principe povero ma fiero aveva sentito la voce.
«Ecco arrivato il mio momento − si disse − il re mi dara in sposa sua figlia e quando la principessa sarà con me nella mia casa trovero il modo di farle passare i capricci.»
 
Il principe povero aveva una serra dove coltivava fiori rari e preziosissimi.
Uno di questi fiori si accendeva di una luce blu al plenilunio. Il principe povero mise il fiore in una scatola di argento e lo invio alla principessa capricciosa, con ogni raccomandazione al suo cavaliere messaggero di averne gran cura durante il viaggio.
Il re accolse il cavaliere del principe povero con tutti gli onori e ordinò ai suoi giardinieri di preparare una serra, quindi fece chiamare sua figlia
«Oggi è un grande giorno per te, figlia mia, – le disse. – Nessuna principessa ha mai ricevuto un dono prezioso come questo, guarda il fiore unico che ti manda il principe povero.»
 
Quando la principessa vide il fiore nella scatola di argento e lesse il biglietto del principe, scoppio in una grande risata e disse al re:
«E io dovrei starmene con questo stupido fiore in mano fino al plenilunio, non abbiamo abbastanza candele per fare luce nel regno del re mio padre?»
Tutte le sue amiche finsero di ridere per compiacerla e per burlare il cavaliere dissero «Useremo dunque ciclamini come candelieri in questa reggia?»
La principessa gettò il fiore a terra e lo calpestò.
Il re adirato e pieno di vergogna salì sul suo elefante bianco e andò a caccia per tre giorni e tre notti.
Il cavaliere raccolse il fiore e se ne tornò dal principe povero. Al cospetto del suo principe, il cavaliere mostrò il fiore calpestato, si mise in ginocchio e chiese di essere mandato in esilio per averlo malservito. Invece il principe gli mise una mano sulla spalla, gli ordino di rialzarsi e lo abbracciò come il suo fidato cavaliere.
Il giorno dopo il principe prese un vaso colmo di chicchi di riso vi pose dentro il fiore e promise così.
«La principessa capricciosa dovrà versare tante lacrime quanti sono i chicchi di riso in questo vaso, ma io non mi arrendo, manderò alla principessa un secondo regalo.»
 
Quando il cavaliere del principe povero si presentò di nuovo, il re chiamo sua figlia e le ordinò di sedersi accanto al trono, poi fece stendere un tappeto rosso per il cavaliere che gli consegnò una scatola in oro con il nuovo dono del principe povero.
Il re aprì il coperchio, oh meraviglia, un carillon suona le note dell’inno del suo regno. Ma le meraviglie non sono finite: da un finestrino nella scatola viene fuori un canarino meccanico che suona il flauto. Il re guarda estasiato il cavaliere e ascolta le sue parole.
«Sire, questo carillon dispone di un orologio costruito in Svizzera, la principessa vostra figlia potrà regolarlo all’ora che desidera sentire il flauto.»
Il re saltò giù dal trono e abbracciò il cavaliere, poi si rivolse alla figlia.
«Figlia mia, potrai ancora rifiutarti di incontrare il principe povero?»
Ma la principessa sbuffò. «Non ci sono abbastanza rumori in questa reggia? – Sbuffò. – Questo stupido uccelletto si metterà a suonare all’improvviso per farmi morire di spavento.»
Il re la guardò stupito, ma come se non bastasse ella si tolse una scarpa e la scaglio contro il carillon, che rotolò giù dai gradini del trono.
Quando vide tutte le molle e gli ingranaggi del carillon sparsi sul pavimento, la principessa rise e gridò «Vediamo se sai volare stupido uccelletto!».
Tutte le amiche della principessa si tolsero una scarpa e gridarono minacciose.
«Vediamo se sai volare stupido uccelletto!»
 
Il re furioso ordinò che la principessa e le sue amiche fossero rinchiuse nella torre a tessere una tela, poi salì sul suo elefante bianco e andò a caccia per tre giorni e tre notti.
Il cavaliere raccolse il carillon e si mise a vagare per i boschi, perché non osava ripresentarsi al principe povero.
Il principe non vide tornare il suo cavaliere, intuì cosa era avvenuto e mandò altri cavalieri a consolarlo, poi ordinò un sacco di sabbia, vi mise dentro il carillon e disse a voce alta.
«La capricciosa dovrà versare tante lacrime quanti sono i granelli di sabbia in questo sacco, ma io non mi arrendo.»
Dopo qualche giorno il principe si tolse i suoi vestiti e un anello di diamante che portava al dito mignolo, si vesti di stracci e bussò alla porta del re.
Il re venne ad aprire. «Cosa vuoi, straccione? – Disse. – Sbrigati a rispondere in questi giorni sono di cattivo umore.»
«Grande re, sono venuto a chiederti un lavoro.»
 
Il re conosceva la storia, venivano a implorare un lavoro da stalliere e dopo poco cominciavano a lamentarsi che meritavano di meglio, perché provenivano da una famiglia ricca e importante caduta in disgrazia e colpita dalla sventura.
Insomma volevano essere nominati paladini del re o qualcosa del genere. Ma il re decise che questa volta non si sarebbe lasciato ingannare e rispose così.
«Ho il lavoro che fa per te, ho un branco di porci rimasto incustodito, sarai il porcaio del re.»
Il principe fece per inchinarsi e baciare la mano al re, che si ritrasse inorridito perché il principe si era travestito proprio in modo disgustoso.
Il principe povero raccoglieva ghiande fresche per i porci, i quali erano molto contenti, il re era contento perché i suoi porci erano contenti, il principe era contento perché i porci se ne stavano buoni e gli lasciavano il tempo di fare un lavoro che aveva in mente per incantare la principessa capricciosa.
 
Il principe prese una fascina di legni e accese un fuoco sotto un pentolone, quindi versò nel pentolone gli ingredienti magici che lui solo conosceva e preparò a bollire la pozione. Quando la pozione magica fu raffreddata, la superfice del liquido appariva come uno specchio.
Il principe si concentrò col pensiero sulla principessa e le sue amiche, la magia fece il sue effetto, il principe vide riflesse nel pentolone la principessa e le sue amiche, che giocavano alla palla e al salto della corda nel bosco vicino.
A questo punto il principe afferrò il mestolo e prese a battere sulla pancia del pentolone. Oh meraviglia, invece di rumori fastidiosi da un paese lontano arrivavano le note melodiose di una melodia sconosciuta nel regno del re, il valzer. Il bosco vicino fu avvolto dalla musica, la principessa volle subito sapere chi stava suonando e mandò a vedere la sua amica fidata.
L’amica presto fu di ritorno eccitata e rossa in viso.
«Principessa, la musica viene dalla pentola di quel porcaio laggiù, lo vedete in mezzo ai porci.»
«Ebbene, vai a chiedere cosa vuole per la sua pentola, che suona questa bella musica.»
«Mia principessa − disse l’amica diventando sempre più rossa − il porcaro chiede dieci baci dalle tue labbra.»
La principessa cominciò a battere i piedi in terra e ordinò
«Fate cacciare il porcaio dal regno e portatemi la pentola!»
Ma l’amica fidata abbassò lo sguardo e rispose.
«Il porcaro dice che i porci sono suoi amici e il re e amico dei porci, egli dunque non ti teme. E inutile che io torni a minacciarlo come ho già fatto.»
La principessa si gonfiò tanto che pareva scoppiare.
«Dovrei dare dieci baci a un porcaro per una pentola? Tutte le principesse dei regni vicini rideranno di me.»
A questo punto l’amica le si avvicinò e disse in un sussurro.
«Quella pentola contiene un liquido che pare argento, come in uno specchio magico puoi vederci riflessa la persona a cui pensi.»
 
Ora dovete sapere che la principessa e le sue amiche erano molto curiose e pettegole. La principessa non poté resistere alla tentazione di poter spiare le principesse sue rivali negli altri regni e fu per questo che ordinò così.
«Dite al porcaro che accetto la sua offerta, ma portatelo qui con la sua pentola, non voglio certo mettere i piedi nel fango dei suoi porci luridi. Poi fate cerchio intorno a me nascosta mentre lo bacio.»
 
Con gli occhi chiusi e senza respirare la principessa diede dieci baci al porcaro e corse via a lavarsi le labbra in acqua di latte miele e petali di rosa, poi insieme alle sue amiche via di corsa nelle sue stanze tutte sedute intorno alla pentola.
La principessa prese a battere la pancia della pentola col mestolo e suoni orribili la fecero sussultare.
Tutte le amiche vollero provare a una a una, con lo stesso risultato.
Allora la principessa volle provare la seconda magia, si mise a pensare intensamente al cuoco del re, sperando di sorprenderlo mentre faceva polpette con gli avanzi di carne, guardò sulla superfice della pozione nella pentola e, invece del cuoco, apparve il porcaro sorridente.
La principessa comprese di essere stata beffata, diventò rossa e verde, infine promise a se stessa che quando fosse diventata regina avrebbe fatto tagliare a fette tutti i porcari.
 
Il giorno dopo il porcaio preparava un pastone di granturco per i porci del re, quando vide arrivare l’amica fidata della principessa che gli gridò:
«Porcaio bugiardo, la principessa ti concede il suo perdono se gli insegni a suonare la pentola col mestolo io stessa ti darò altri dieci baci.» − E fece una faccia disgustata.
Il principe fece una gran risata.
«Voglio cento baci dalla principessa e deve venire qui a darmeli.»
La risposta rese ancor più furiosa la principessa, che voleva rompere tutti i bicchieri di cristallo nella reggia, ma poi si calmò e disse alle amiche:
«Tornate dal porcaio, mettetevi intorno a lui e cominciate a baciarlo, io verrò a dargli gli ultimi dieci baci.
Il porcaio non si lascio convincere.
«Voglio cento baci e tutti dalla principessa.»
Le amiche sconsolate fecero segno di no alla principessa nascosta dietro un albero nel bosco vicino.
Piena di rabbia la principessa gridò al porcaio
− Come posso venire da te? Mi rovinerò le scarpe nel fango.
Il finto porcaio le mandò un bel maialotto da cavalcare, la principessa arrivò vergognosa piena di lacrime e cominciò a baciarlo nascosta dalle amiche.
I porcelli si sentirono trascurati, presero a grugnire e a correre da destra a sinistra.
Il re, attirato dal trambusto, si affacciò alla finestra e vide inorridito che la principessa sua figlia baciava il porcaio.
Il re maledisse il porcaio, la principessa e le sue amiche, e li mandò in esilio seguiti dai porcelli, i quali non ne volevano sapere di lasciare il loro porcaio.
 
Quando tutti furono arrivati nel paese del principe povero, la principessa non fece che piangere e piangere.
«Come sono stata sciocca a non dare la mia mano al principe povero, ora mi ritrovo con questo porcaio.»
Il porcaio nel frattempo si era lavato e cambiato il vestito per mostrarsi come principe.
La principessa voleva correre ad abbracciarlo, ma egli le disse duro:
«Non mi hai voluto prima e io non ti voglio adesso. Vattene lontana da me con tutte le tue amiche.»
La principessa e le sue amiche piangevano disperate e chiedevano pietà, il principe ridendo disse:
«Risparmiate le lacrime per i porci che ci hanno seguiti, lavateli fino a quando non risplendono al sole e potrete tornare da me.»
I porcelli non ne volevano sapere di essere lavati, ma la principessa e le sue amiche li tennero fermi fino a che non divennero lucidi come oro.
Il giorno dopo il principe sposò la principessa e venne anche il re che aveva perdonato.
Le amiche sposarono i cavalieri del principe e i porcelli non fecero che mangiare al banchetto.
ISBN: 978-1-4659-8981-9
 
La Principessa Capricciosa, il Principe Povero e la Porcella Favorita.
Il principe povero e la principessa capricciosa non vivevano felici e contenti.
«Non diamo mai un ricevimento, una festa da ballo.» − Si lamentava la principessa.
«E dove mai troverei le monete d’oro per pagare la musica, le candele per l’illuminazione e le bevande da offrire agli ospiti?» – Rispondeva annoiato il principe.
«Non invitiamo mai persone importanti a prendere il thè alle cinque, sospirava la principessa.»
«Non possiamo permetterci di comprare biscotti e dolcetti, tuo padre il re non ha concesso la dote.» – Rispondeva furioso il principe.
 
Un giorno la principessa entrò in lacrime nella biblioteca, dove il principe leggeva una libro sulla vita dei porcelli.
«Ho un buco nella scarpa, mi entrano pietruzze e feriscono il piede, sai bene come siamo delicate noi principesse, comprami dodici paia di scarpette nuove.»
Ma il principe le rispose freddo.
«Manderemo la scarpa bucata dal ciabattino a farci mettere una bella toppa, intanto cammina su un piede solo.»
Quel giorno la principessa fece chiamare tutte le sue ancelle e tenne consiglio. Il principe amava molto i suoi porci e passava tutto il tempo a discorrere con loro, evitava di lavarsi e profumarsi per non offenderli.
La sua preferita era una porcella cui aveva dato nome Elisabetta.
La favorita era la più grassa tra le porcelle mai viste, la sua pelle rosea era liscia e tesa. Il principe le saliva in groppa per farsi portare felice e allegro tra i boschi.
 
Quando il consiglio con le ancelle fu finito, la principessa tornò dal principe.
«Mio signor principe, abbiamo cento porci, faremo salami, ne ricaveremo abbastanza per comprarmi scarpette nuove di raso, vestiti di filo oro e argento, biscotti e dolcetti, tutto quello che serve ai ricevimenti principeschi.»
Il principe inorridito si precipitò fuori e fu subito circondato dai porcelli in lacrime
«Signore, sono venute le ancelle, ci hanno deriso, hanno detto che presto ci taglieranno la gola e ci faranno a pezzi. Come puoi farci questo? Abbiamo diviso con te la buona e la mala sorte.»
Il principe promise loro di proteggerli e non faceva mancare i suoi omaggi alla favorita. Un giorno le cingeva il codino con un nastrino rosso, un altro giorno un collare con un campanellino d’argento, poi una coroncina di fronte d’alloro sul capo. La porcella andava a specchiarsi felice in un piccolo laghetto.
 
La principessa era proprio furibonda, infilava il dito nel buco della scarpa e pensava alla vendetta. Ahi, come rimpiangeva la reggia di suo padre, dove poteva ordinare zuppa di aragosta al cuoco per pranzo, mentre alla cucina del principe povero le sue ancella erano costrette a friggere frittatine di cipolle e a bollire minestra di cavolo...
Le ancelle non facevano che tormentare la principessa coi loro lamenti
«Dobbiamo lucidare i gradini di marmo.»
«Dobbiamo strigliare i cavalli.»
«Dobbiamo rammendare le calze ai cavalieri.»
 
Il tempo passava, un giorno dopo l’altro, niente turbava la vita spensierata dei cento porcelli.
Ma un giorno il principe uscì di casa con grande sorpresa la porcella Elisabetta non gli corre incontro.
Il principe ordinò ai porcelli di cercare Elisabetta. Invano.
I cavalieri a cavallo furono inviati a esplorare i boschi. Invano.
Passarono tristi i mesi, finché avvenne che il principe povero udisse da lontano le trombe squillanti che annunciavano il messo del re.
Il principe vide i cavalli del seguito con le gualdrappe rosse e blu, corse incontro al messaggero.
«Signore, mio principe, il re vi manda in dono questo cesto di vino, taralli, prosciutto e salami. Il re, padre della principessa vi ringrazia per la porcella di cui gli faceste dono, Un pensiero squisito.»
Preso da orrore e infinita tristezza, il principe comprese la vendetta della capricciosa.
La favorita Elisabetta era stata mandata al re con l’inganno, per farne prosciutto e salame.
 
Il principe prese il suo cavallo e scomparve nei boschi.
Ancelle e cavalieri presero a banchettare con il cibo prelibato nel cesto del re, mentre i porcelli atterriti cercavano di starsene ben nascosti.
Passa un giorno e una notte, il principe dorme intristito sotto un albero, il suono di un campanellino lo riscuote e un codino porcino gli fa il solletico.
Che bel sogno, pensa ad alta voce il principe, Elisabetta è tornata.
«Svegliatevi, mio signor principe, non è un sogno, vi ho riportato Elisabetta. Il re mio padre vi manda finalmente la dote, eccovi cento monete d’oro.»
 
Infatti il buon re si era molto spaventato per il timore che la capricciosa e le ancelle se ne tornassero scontente alla sua reggia.
Il principe povero comprese quanto era stato ingiusto e da allora tutti vissero felici e contenti.
Almeno ci provarono.

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