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Il racconto di Natale – «A casa.» Di Patrizia Belli

Patrizia Belli è una stimata collega professionista di Rovereto

La bambina aveva solo sei anni e un passato di giorni predatori di sogni e notti in cui anche la luna si nascondeva per la vergogna. Notti in cui la madre si rivolgeva a quel Dio distratto e con la preghiera sacrilega degli innocenti lo implorava di esistere, almeno un po'.

Avevano camminato nel buio, ignari della meta. Una lenta processione al bordo d'una striscia d'asfalto. A vederli parevano quel che erano. Derelitti in cerca di riscatto. In marcia con le loro ingenue illusioni e con dentro quella voglia di pianto che è il supplizio dei mortali quando si congedano dalla terra natia. Seppur terra matrigna.

Li avevano fermati poche ore dopo lo sbarco.

La madre e la bimba erano state sistemate su una branda. La madre aveva stretto a sé la piccina. Tremava come un passero. Stavano in silenzio osservando quel mondo abbagliante e straniero. Una donna aveva donato alla piccola un orsetto di pezza. Sul volto recava i segni d'una anima gentile. La bimba aveva osservato il dono incredula.

In lontananza si stagliava il profilo di una nave.
- Fra poco saliremo.
- Per andare dove?
- A casa.
- Con quella nave?
- Sì.
- E dopo cosa accadrà?
- Torneremo a casa.
- Perché?
- Non possiamo restare.
- Perché?
- Ci vogliono carte che non abbiamo.
- Non ci vogliono qui?
- Siamo in tanti. Troppi.
- A casa ci sono ancora gli uomini armati?
- Forse.
- Mamma, è meglio non tornare.
- Dobbiamo.

La bambina guardò il dolore della madre e le toccò il viso come avrebbe fatto un cieco.

- Allora, fuggiremo di nuovo.
Disse.

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