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Cesare Pavese, dalle Langhe a Maratea, culla di antichi miti

La rivista letteraria Capoverso ha dedicato un numero monografico a Cesare Pavese. Di Luciana Grillo

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La rivista letteraria «Capoverso, Rivista di scritture poetiche, definita da Giuliano Manacorda «la migliore rivista che si occupi di poesia», ha dedicato un numero monografico a Cesare Pavese che sicuramente vide la piccola Maratea aggrappata alla roccia dal treno che lo portava al confino, più a sud.
Lo affascinarono la rupe scoscesa che arrivava al mare, il verde che circondava il paese, un’aria tranquilla e appartata… evocata successivamente nel romanzo «Fuoco grande», scritto a quattro mani con Bianca Garufi nel 1946, incompiuto, pubblicato postumo (rispetto alla morte di Pavese) nel 1959.
 
I protagonisti sono Giovanni e Silvia, a Maratea arrivano in treno, dopo un viaggio «lungo la costa bruna e bassa», Silvia ritrova la mamma, il patrigno ed il fratellastro morente.
Dai colloqui di Giovanni con la madre di Silvia emerge una verità terribile, uno stupro subito da Silvia ad opera del patrigno e la nascita del bambino che sarà però riconosciuto come figlio dalla stessa madre di Silvia.
Questa la trama, raccontata ora dal punto di vista maschile, ora femminile.
Di tutto ciò si è parlato a Maratea, nella cornice suggestiva della piazza su cui si erge la Chiesa Madre - Largo Santa Maria Maggiore - un luogo da raggiungere con un po’ di fatica, nella parte alta del centro storico, raggiunto non da gruppi chiassosi di turisti, ma da chi davvero vuole scoprire la Maratea più intima.
 
L’evento, organizzato dal Comune di Maratea, dal Centro culturale «J.M. Cernicchiaro», dal nuovo polo museale «Palazzo De Lieto» e da Alta Marea, ha richiamato un pubblico attento e incuriosito dal tema.
Fino a ieri, in realtà, si sapeva che Maratea aveva ospitato Giorgio Bassani, Indro Montanelli, Helen Barolini… ma di Pavese nessuno aveva mai parlato.
Lo ha fatto la presidente del Centro culturale, la prof. Tina Polisciano, che ha ricordato le testimonianze degli anziani che raccontavano l’arrivo e la permanenza a Maratea di «don» Cesare.
Lo ha suggerito il Sindaco, avv. Daniele Stoppelli, parlando della «bellissima coppia discorde», del romanzo scritto a capitoli alternati, che per Pavese diventa così importante da costringerlo a mettersi in gioco umilmente e senza ritegno.
 
Anche Michele Saponaro, direttore di Palazzo De Lieto, ha manifestato l’interesse per questo evento che in qualche modo coniuga letteratura ed arte, confermando che la città di Maratea è un luogo vocato alla cultura a 360 gradi.
A proposito del romanzo, ha aggiunto che in paese si è parlato anche della «casa del peccato».
Di Pavese e Garufi hanno parlato, con competenza e chiarezza, Luigi Beneduci, Saverio Bafaro, Franco Dionesalvi e Franco Alimena, l’editore della rivista.
 
Beneduci, docente e saggista, ha sottolineato il male di vivere che tormentava Pavese, uomo del nord, e l’ha messo a confronto con la solarità, la curiosità, la passionalità di Bianca Garufi, la siciliana che si occupava con entusiasmo non solo di editoria e letteratura, ma anche di etnoantropologia e psicoanalisi.
E rivendica per «Fuoco grande» l’etichetta di romanzo piccolo in cui le voci degli autori si alternano e sovrappongono. Maratea, luogo dove la protagonista ritorna dopo lunga sofferenza, diventa un luogo letterario, dove un amore finisce e dei ricordi vengono metabolizzati.
 
Dionesalvi, poeta e critico letterario, ricorda il Pavese grande traduttore, cita il «Moby Dick» e i dialoghetti de «La bella estate», atipico racconto lungo, confessa di sentire negli scritti di Pavese il ritmo del jazz.
Bafaro, poeta, critico e psicoterapeuta, conosce e ama Pavese, sottolinea il suo amore per il sud, l’attenzione per il dialetto calabrese che lo spinse a studiare di nuovo il greco antico, così presente nei suoni e nelle espressioni locali.
E quanto a «Fuoco grande», ricorda che il non-finale è una sorta di conclusione che si chiude nel silenzio (della solitudine? del male di vivere? della morte?).
 
Alimena - coraggioso editore - si dichiara felice dell’esperimento monografico, per altro già fatto per Pasolini.
Certamente è difficile scegliere di parlare e pubblicare quanto attiene alla poesia, è ben noto che in Italia - dove si vende comunque poco - la poesia sia un po’ la cenerentola del mercato librario… però, se nessuno si aspetta nulla, forse editore e studiosi sono più liberi di studiare, scrivere e pubblicare ciò che vogliono.
Non a caso, la parola liber non indica solo il libro, ma si avvicina al concetto di libertà.

Luciana Grillo – l.grillo@ladigetto.it

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