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«I due presidenti» – Sesto capitolo

Spy story di Guido de Mozzi

IL PERIODO DEI DUE PRESIDENTI



PERSONAGGI

MARCO BARBINI
IMPRENDITORE ITALIANO

GINA BARBINI
MOGLIE DI MARCO

SAOUL GROWE
AGENTE SPECIALE DELL'FBI

JILL MOORE
AGENTE NSA

JEFF FLIT
CAPO OPERAZIONI NSA

A. CHITTUM E P. VINERY
AGENTI NSA

ROLAND GARCIA
VICEDIRETTORE AIR & SPACE SMITHSONIAN ISTITUTION

GREGORY LEVITAN
DIRETTORE DEL MUSEO DI DAYTON

MANNY LARSEN
CAPO DELL'UFFICIO STORICO DELL'USAF

COLONNELO KENNETT, MRS DOLAN, MR JACOBS
DELL'ARCHIVIO STORICO DEL PENTAGONO

GEORGE BUSH
PRESIDENTE USA USCENTE

BILL CLINTON
NUOVO PRESIDENTE USA

A mia Madre
che mi ha insegnato ad amare,
a mio Padre
che mi ha insegnato a scrivere.





Capitolo 6.


Stavamo andando all'Outback ed erano le 7 di sera. Non avevo prenotato anche se era alta stagione (in Florida va da Natale a Pasqua) perché lei mi aveva detto che prenotare era contrario alla sicurezza personale.
"Qui siamo soli." - Aveva spiegato, e non certo per creare l'atmosfera dell'intimità. Eravamo usciti con la mia macchina, una Mustang convertibile; bella, ma praticamente priva di bagagliaio il che, per un famiglia di golfisti, la rendeva inutile.
Giungemmo all'incrocio tra la US1 e la 17th, dove generalmente stazionano i barboni più fortunati di Fort Lauderdale. Il semaforo era rosso e il mio barbone venne a prendersi un paio di dollari.
"Beviteli, amico. Ti bastano?"
"Certo, capo."
"Lo conosci?" - Mi chiese Jill.
"No. Sono i barboni che conoscono me. Mi stanno aspettando."
Rise.
Giunti al ristorante, ci trovarono un maglifico posto vicino alla finestra, ma era nella sala elegante e io avevo i pantaloni bermuda.
"Mr. Barbini." - Disse una squisita signorina di origini orientali guardando il posto che ci aveva trovato e il mio abbigliamento. - "Non si può entrare con i pantaloni corti."
"Non ci sono problemi." - Dissi.
E me li tolsi.
La povera Jill aveva già sperimentato personalmente quanto mi piace giocare contro le formalità e con i doppi sensi, ed era rimasta ad osservare la scena come se fosse la cosa più normale di questo mondo.
Corse il Direttore che mi conosceva bene.
"Tutto a posto, tutto a posto." - Disse alla dipendente. - "Ci penso io."
"Marco." - Disse il capo rivolto a me e tenendomi le braccia da vecchio amico. - "Non puoi stare in mutande."
E stavolta intervenne Jill.
"Marco, ti prego!"
"Va bene," - dissi. E anziché togliermi anche le mutande mi rimisi i bermuda.
Il Direttore ci fece accomodare nella sala elegante. Con le buone si ottiene sempre tutto.
Jill non gradiva molto stare vicino alla finestra. Non l'avevo ancora vista così attenta nel suo lavoro, ma la lasciai fare. Ordinammo entrambi alette di pollo fritte piccanti. Colesterolo allo stato puro, eccezionali.
Jill non volle bere alcolici e mi consigliò di bere solo birra perché dovevo guidare per tornare a casa.
"Il vino lo berremo a casa." - Mi disse per convincermi.
"Cosa ti fa pensare che ne abbia?"
"Fammi ridere." - Ma non era la Jill della mattina, quella.
"Sei stanca? Come vanno le ammaccature?"
"OK. Tutto a posto." - Non mi aveva guardato negli occhi.
Era così tesa che non mi aveva neanche lasciato prendere un caffè, il che non era poi un problema visto come lo fanno, ma la sua tensione iniziava a pesare.
Uscì dal ristorante quasi coprendomi con il suo corpo da eventuali attentatori.
"Stai esagerando, Jill. Nessuno sa di noi qui." - Feci due passi mentre il ragazzo andava a prendermi la Mustang, fino a vedere da vicino un topless-bar che confina con l'Outback.
"Ecco." - Ironizzò Jill. - "Ti manca solo di portarmi là a vederti fare il vecchio bavoso e pomicione."
"Anche questo te l'ha insegnato tua cugina, vero?" - Non rispose. - "E poi, sarò bavoso e pomicione, ma quanto a vecchio..."
"Andiamo giovanotto. Portami a casa."
"Me lo fai tu un balletto sul tavolo, nuda, per 6 dollari?"
"Incomincia col darmi i 6 dollari di ieri."
"Mica hai ballato."
Ripassammo per l'incrocio dei miei barboni, ma proseguii diritto per andare a comperare il Corriere della Sera in un'edicola vicino all'Ospedale della Contea di Broward.
Posteggiai, presi il giornale e tornai alla macchina. Accesi il motore e girai l'auto per tornare a casa.
"Siamo seguiti." - Disse quasi sottovoce.
"Ne sei certa?" - Chiesi scettico.
"Da quando abbiamo preso la US1. Prima di cena. Fa' come ti dico. Va' avanti così."
Andai avanti adagio. Giungemmo all'incrocio dei barboni.
"E' rosso." - Dissi per chiedere istruzioni e non convinto. - "Devo fermarmi."
"Chiama i tuoi barboni."
Feci uno dei miei gesti con la testa e subito si fece avanti il più vicino. Gli altri, rispettosi dei ruoli, restarono dov'erano.
"C'è una macchina che mi segue." - Gli diedi cinque biglietti da un dollaro che, piegati in due e presentati bene, potevano sembrare molti di più. Per i miei barboni, erano più che sufficienti. - "Posso essere generoso finché son vivo, ti pare?"
Fece sparire i dollari. - "Chi è?"
"Quattro macchine più in dietro." - Gli disse Jill. - "Una Mercury grigia col tettuccio nero."
I barboni si fecero un cenno di intesa e si portarono pian piano alla Mercury. Divenne verde. Partii sgommando. Partirono tutti ma non la Mercury. Le sue ruote posteriori erano sollevate da terra e le ruote giravano a vuoto col motore che s'imballava.
L'avevano poi mollata d'improvviso e la macchina era schizzata avanti come una scheggia piegando un palo della luce in ferro. Riuscii a vedere dallo specchietto che gli occupanti se l'erano data a gambe.
Cinque dollari spesi bene.
Anche noi eravamo schizzati a casa, e Jill aveva comunicato una serie di numeri a degli ascoltatori invisibili.
"Abbiamo dovuto ripristinare la sicurezza attorno a noi. Il tuo Country Club è al sicuro stasera."
"Guarda che lo è sempre!"
Nessuna risposta.
"Cos'hai saputo di quelli che ci seguivano? I tuoi ti hanno detto qualcosa?"
Mi confermò quello che avevo visto fare ai barboni. Risi di nuovo, soddisfatto.
"Chi erano?"
"Sono riusciti a scappare."
"E la macchina?"
"Non lo sappiamo ancora."
Non le chiesi se avevano pagato con carta di credito.
"Quindi, nessun passo avanti per noi, vero?"
"Così pare."
Silenzio.
"Ci sono troppe cose che non quadrano. Jill." - Dissi dopo un po'.
"Già." - Disse fissando qualcosa.
"Non ci hanno perso di vista neanche con i voli organizzati da Voi. Io non telefono a casa da ieri. E' evidente quindi che le informazioni seguono Voi."
Silenzio.
"A cosa pensi?" - Le chiesi.
"Che non ne so molto più di te. Non voglio certo preoccuparti, ma non sono tranquilla."
"Chi hai detto che veglia su di noi, stasera?"
"La polizia di Fort Lauderdale."
"Meglio così."
"Non dire stronzate."
"D'accordo, ma domani voglio parlare con te."
"Ti dirò solo quello che posso."
"Allora io non ti dirò niente di quello che mi avevi chiesto."
"O.K. Ne parliamo domani. Se riusciamo a stare in pace."
"Ci penso io."
"Vieni con me."
La feci uscire di casa e la portai alcune villette più in là. Suonai alla porta. Uscì brontolando un uomo sulla settantina. Vedendomi gli si illuminò il viso.
"Marco! Bentornato!" - Poi, mettendo a fuoco, mi rimproverò.
"Perché non ti sei fatto venire a prendere da me all'aeroporto?"
"Perché mi hanno accompagnato i suoi amici." - Indicai Jill. Si accorse di non averla salutata.
"Signorina, il mio nome è Luigi."
"Jill. Lei è italiano?" - Avevamo parlato inglese.
"Sì, ma sono cittadino americano da tempo, ormai. E' bella l'Italia, sa?"
"Lo so." - Sorrise Jill.
"Ho il telefono che non funziona. Mi fai usare il tuo? Telefono qui in città."
"Certo." - Disse indicandomelo.
Feci un numero di Fort.
"Pronto Fish Buster."
"Barbini."
"Hallo, Marco! Come va? Quando sei arrivato?"
"Da poco. Sei occupato domani?"
"Sì, grazie a Dio. E' alta stagione..."
"Liberati."
"Non posso. Ho quattro clienti."
"Passali ad un tuo amico meno fortunato. Quanto vuoi?"
"In quanti siete, dove volete andare, cosa volete fare."
"Due, al largo, a fare il bagno e pescare."
"Mi avrebbero dato 400 dollari."
"Te ne avrebbero dati 200. Te ne do 250. Ci prepari da mangiare tu a mezzogiorno, io ti lascio il pesce che peschiamo, a parte un kingfish, se lo prendiamo."
"300. A che ora?"
"280. Alle sette, O.K.?"
"Alle sette sulla banchina."
"Ah, Phil?"
"Sì, Marco?"
"Acqua in bocca con tutti, eh?"
"Non sei con Gina?"
"No."
Chiusi la linea. Jill mi era stata a sentire.
"Non so se è una buona idea. Potremmo non avere soccorsi in tempo in caso di necessità..."
"Tu ti puoi portare la radiolina, se vuoi, ma guai a te se dici dove andiamo."
"Sei fuori se pensi che noi..." - Si interruppe perché Luigi si stava avvicinando a noi.
"Ho bisogno di un altro favore per domani mattina. Alle 6 e mezza dovresti portarmi al molo del Fish Buster."
"Alle sei e mezza? D'accordo. Volentieri. Con la tua o la mia macchina?"
"La tua. Non vogliono che mi riconoscano." - Indicai semplicemmente Jill.
"Ma certo!" - Disse il complice. - "Non vi vedrà nessuno, parola di Luigi!"

Tornati in casa, aprii una bottiglia di Spumante Ferrari. Me lo porto dall'Italia perché qui non ne trovo. Costerebbe più di uno champagne francese, e fin qui mi pare giusto. Ma in America l'eventuale alternativa allo Champagne è lo spumantino che costa poco o niente; e di questo ne trovano fin che ne vogliono dalla California.
Stavolta lo bevve anche lei. Un po' alla volta si rilassava. Anzi, dopo una mezz'oretta le girava la testa. Mi venne un'idea per approfittarne.
"Lo stampo della coppa di champagne" - le dissi - "è stato preso da un seno di madame Pompadour."
"Lo sapevo." - Rispose. - "E' una scusa per parlare di sesso?"
Colpito. Mi venne lì per lì un'altra idea per recuperare la palla.
"Quello che non sai è che lo stampo del flûte dello spumante italiano è stato preso dal pene di Luigi Ferrari. In posizione di lavoro, presumibilmente."
Guardò il flûte e disse: "Ne ho visti di migliori".
"Beh, l'uccello è a geometria variabile..."
"Parlavo del flûte ."
"Andiamo a letto?" - Chiesi.
"Non è necessario che dormiamo insieme, però. Hai più di una camera da letto qui."
Non che mi fossi aspettato chissà cosa, ma mi stavo abituando alla situazione, che era stata di un'intimità davvero eccezionale.
"Ho paura a dormire da solo."
"Se vuoi, sto in camera tua finché non ti addormenti."
Nulla da fare. Serata triste.
"Come stanno le ferite?"
"Bene, grazie a te." - Vidi uno spiraglio.
"Posso vedere?"
Un attimo di esitazione. Me lo doveva. - "Aspetta che vado in bagno." - Rispose.
Ne uscì vestita di un accappatoio di casa. Si mise sul divano e si lasciò visitare, ma con meno concessioni della sera prima. Probabilmente anche lei aveva un bel ricordo di quella intimità, ma avvertiva anche un persistente senso di pericolo. Le baciai un ginocchio e lei si irrigidì un pochino. Così, quando mi avvicinai con le labbra al fianco, cercò di fermarmi il volto con la mano, trovandosi invece ad accarezzarmelo più o meno volontariamente. Segnali che incoraggiavano le mie iniziative. Provai ad accarezzarla anch'io, sotto l'accappatoio.
"Ssst." - Bisbigliò. - "Non possiamo. Lo spumante non gioca dalla parte della ragione."
Mia madre diceva inutilmente mai mettere la paglia vicino al fuoco.
"Aspetta." - Dissi. La lasciai per andare in camera mia a mettermi anch'io un accappatoio. poi tornai da lei.
"Prendi il secchiello dello spumante e vieni fuori." - Le dissi. Io presi i due flutes e la precedetti in giardino. Poggiai i bicchieri a portata della Jacuzzi, accesi l'idromassaggio, sfilai l'accappatoio ed entrai nell'acqua bollente.
"Vieni, Jill. Dopo ti sentirai meglio."
Poggiò il secchiello e tornò in casa ahimè a mettersi anche lei un costume da bagno. Quando tornò, mi disse che non aveva il seno di mia moglie e che tanto valeva che entrasse col solo pezzo sotto.
"Comunque non guardarmi."
Entrò in vasca dopo aver sistemato vicino ai bicchieri la sua piccola automatica.
Accesi la luce subacquea della vasca e ci godemmo con un po' di silenzio il fragile sciacquìo delle bollicine che ci giravano intorno.
"Vieni qui adesso." - Le dissi alzandomi a prendere i due bicchieri. - "Non bere molto, però. La vasca sarà almeno 110 gradi Fahrenheit." - Che corrispondono all'incirca a 50 gradi centigradi. - "Lo traspiri prima che ti giunga nello stomaco, ma non è certo il posto migliore per bere spumante."
Si dispose vicino a me ed io cercai il contatto fisico. Non mi respinse. Mi tolsi gli slip con discrezione e li misi sul bordo della vasca per far vedere che me li ero tolti.
"Toglili anche tu. Siamo a casa."
Dopo qualche minuto se li tolse. Mi avvicinai di più e lei si lasciò portare dalle bollicine verso le mie braccia. Sembrava che il nostro avvicinarsi fosse parte naturale dell'evolversi delle cose. Eravamo senza peso e ci piaceva giocare. Diavolo d'un Ferrari.
Fuori, oltre la piccola piscina e il giardino, la zanzariera che avvolgeva di buio casa e giardino pareva delimitare un mondo tutto per noi.
Non c'era molto da dire; l'aver condiviso dei rischi ci aveva fatti conoscere da vicino. Due giorni che valevano due mesi.
Ora stavamo semplicemente cercandoci le mani.
Dopo forse un quarto d'ora le chiesi se voleva venire a letto.
"Non sono una donna adatta a te."
"E chi sei tu per dirlo?"
"Una che si conosce bene."
"Ma non conosci me..."
"Magari... Invece, più ti conosco e più trovo scorretto scopare con te."
"Sento che la mia presenza ti eccita."
"Eccita i miei desideri. E non lo voglio."
"Dovresti essere felice quando senti battere il cuore. Penso che non capiti spesso neanche a te."
"Eccome ne sento il bisogno! Sono sempre sola, col mio lavoro."
"Ora sei con me."
"Ma domani non ci sarai più."
"E' vero. Ma ci sono oggi. Adesso." - La baciai dolcemente e si lasciò un po' andare.
"E' una donna fortunata tua moglie."
"Dovresti dirlo a mia moglie."
Sorrise. Alzò la testa, attenta a guardarmi negli occhi per farmi un'altra domanda.
"Perché hai detto che ti eccitano le donne in carriera?"
"Perché sono donne sopra." - Rimase ad ascoltarmi. - "Sono donne che quando scopano prendono l'iniziativa, dirigono il gioco, sono loro che ti fanno, tu stai sotto e loro ti scopano da sopra."
"Ti piace essere scopato?"
"A metà. Mi piace alternare. Anch'io sono un uomo in carriera." - Sorrise. - "Quando è la donna che ti prende, ti senti desiderato. E questo non piace solo alle donne, sai?"
Colsi l'attimo.
"Siamo nell'idromassaggio da quasi mezz'ora. Dobbiamo uscire. E' come se avessimo preso un sonnifero."
"Io mi sento eccitata, non addormentata."
"Dobbiamo alzarci presto."
Uscii per primo a prendere il suo accappatoio e consentirle di coprirsi mentre usciva. Poi mi coprii anch'io. Cercammo di asciugarci un po' prima di gocciolare in casa. Una scusa per toccarci.
La presi in braccio e la portai nella mia camera. Lasciò fare e la posai sul letto. Iniziai ad abbassarle sulle spalle l'accappatoio, ma a metà mi fermò.
"No. Tu ami tua moglie."
"E' vero, ma anche tu non mi ami. Però ci desideriamo al punto da essere emozionati."
Come al suo solito, non rispose. Si alzò e si diede una mossa.
"Aiutami a preparare il mio letto."
Obbedii con amarezza. In silenzio la guidai alla camera degli ospiti e insieme preparammo un altro letto matrimoniale. L'operazione sembrava destinata a spegnere la serata.
Ma quando finimmo, io provai a non andarmene.
E lei non mi cacciò.

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