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Vincenzo Lamanna, «A domani» – Di Luciana Grillo

Un romanzo con parecchi spunti autobiografici: la storia di un fotografo con la passione per le storie – L'intervista all'autore

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Titolo: A domani
Autore: Vincenzo Lamanna
 
Editore: Les Flâneurs Edizioni, 2021
Collana: Bohemien
 
Pagine: 170, Brossura
Prezzo di copertina: € 14
 
Vincenzo Lamanna è un fotografo cittadino del mondo, un grande viaggiatore dall’acuta sensibilità, pronto a cogliere con la sua inseparabile Leica avvenimenti particolari, sguardi sorpresi, sorrisi smaglianti… e non solo.
Attraverso le foto, Lamanna coglie speranze e dolori, individua luoghi affascinanti o ruderi di epoche lontane.
Con questo suo primo romanzo ci prende per mano e ci accompagna in Bulgaria, una terra lontana da noi, poco visitata per turismo, diversa da altri Paesi dell’Est che con intuito si sono aperti al turismo subito dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell’URSS, come l’Ungheria o la Cechia.
 
Il protagonista è Lorenzo, meta del suo viaggio è la città di Plovdiv, che nel 2019 sarebbe stata capitale europea della cultura insieme a Matera.
È il 2017, Lorenzo parte con trolley e macchina fotografica per scoprire gli angoli nascosti della città che – come Roma – si adagia su sette colli. Il suo scopo è fotografare e poi «usare i social per mostrare la realtà nascosta».
Fin dall’arrivo in aeroporto, Lorenzo si rende conto che il percorso verso la città si snoda tra «campi di girasoli, cartelli stradali incomprensibili, strutture abbandonate, discariche di eternit».
 
Una volta arrivato, è pronto a farsi stupire da una città che è stata patria dei Traci, che i macedoni hanno chiamato Filippopoli e i romani Trimontium, che conserva tracce bizantine e ottomane, che ha fatto parte dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, che è un crogiuolo di etnie perché vi convivono turchi e rom, armeni, greci ed ebrei.
Lorenzo cammina, osserva, riflette, vede i garofani rossi su un monumento in memoria dei soldati sovietici, constata con dolore la povertà diffusa.
Perciò decide di visitare il quartiere di Trakia, «ultima frontiera della città di Plovdiv, nata nel 1973… si dice sia stata costruita per mostrare alla popolazione bulgara la potenza del regime Comunista» dove può vedere «gli ultimi residui… un vero e proprio modello di città socialista… enormi e freddi blocchi di cemento alti fino a dieci o dodici piani mai ristrutturati, cupi, grigi, umidi, scrostati».
 
È qui che vivono gli immigrati interni che arrivarono in città per lavorare nelle fabbriche, molti ormai pensionati; qui non arrivano turisti, gli ex giardini sono diventati orti… non c’è nulla, né un negozio, né una scuola, né una chiesa.
I casermoni sono tutti uguali, Lorenzo teme di perdersi, di non poter dare indicazioni precise al tassista che tornerà a prenderlo, ma è qui che incontra Yordanka, una signora gentile, vedova, che gli apre la casa, che gli racconta storie di ordinaria povertà e rassegnazione, con cui Lorenzo parla, mangia, cammina… Comprende la malinconia di questa donna e la sua nostalgia per quel vecchio regime che permetteva a tutti di avere un lavoro, di guadagnare il necessario, di andare in vacanza, di sentirsi protetti in un luogo dove non c’era criminalità.
 
«Trent’anni dopo la caduta del Comunismo, la nostalgia del passato cresce… oggi è tutto più difficile, molte volte la gente di campagna non ha neanche i mezzi per lavorare la terra. E la colpa di chi è? Non sicuramente la nostra. Dov’è l’Europa? Dove sono gli Stati Uniti che hanno tanto spinto per sovvertire il sistema?».
Lorenzo ascolta, intanto incontra altre persone, parla a lungo con il proprietario del B&B dove alloggia, scopre un rullino dimenticato e fa sviluppare vecchie foto, torna in Italia, ma il suo pensiero è fermo lì, in quel luogo dove ha trovato un’umanità dolente, bambini chiusi in orfanotrofio, felici per il dono di un pallone. E fotografa, sempre.
Poi, collegando notizie diverse, si rende conto di inaudite complicità che hanno avuto come vittime anche tante bambine.
 
Quest’uomo arrivato dall’Italia per una breve vacanza non sa più staccarsi da una città complessa, da persone gentili e generose, dai bambini e dalle suore, a cui arriva a promettere anche un bel pranzo di Natale, tutti insieme.
«Ero fiero di me stesso: per la prima volta nella mia vita avevo fatto qualcosa per gli altri e lo sguardo di quei ragazzi che ci osservavano da dietro ai vetri difficilmente lo avrei dimenticato.»
 
Ma il caso decide diversamente, Lorenzo subisce minacce e intimidazioni, Yordanka viene stroncata dal male, la Bulgaria diventa il paese di Lorenzo che mette da parte le ragazze belle di una volta, le sue inquietudini, le sue ambizioni…
«Cambierò il mio destino, le mancanze, le attese. Berrò rakja al tramonto. Parlerò tutte le sere alla luna. Mi comprerò un cappello, un Panama. Una penna. Scriverò un libro e lo nasconderò in una biblioteca sperando che un giorno qualcuno per sbaglio lo legga».
Lo ha fatto, Vincenzo Lamanna, e il libro si può leggere - non per sbaglio.
 
Ho avuto la possibilità di intervistare Lamanna; le sue risposte sono spontanee e genuine
 
Quando è nata la sua passione per la fotografia?
«Non so spiegare perché la fotografia mi piaccia tanto. Ricordo solo che da piccolo mi piaceva sfogliare gli album di famiglia e rivedermi. Forse la fotografia ha sempre fatto parte di me. O forse no.»
 
A parte il gemellaggio Matera - Plovdiv, cosa l’ha spinto al viaggio in Bulgaria?
«Mi hanno convinto ad affrontare questo viaggio la curiosità di visitare un Paese su cui si è scritto e detto il peggio di tutto e la necessità di verificare se quello che i media ci hanno propinato per decenni fosse vero.
«E come spesso accade, è stato davvero l’opposto. Ho verificato che la Bulgaria è una nazione meravigliosa e che il popolo è accogliente, umile e con un grande cuore.»
 
Che cosa pensava di trovare?
«Quando viaggio non so mai cosa troverò, evito di costruire aspettative che poi potrebbero essere disattese.
«Per me, ogni viaggio è come l’inizio di una nuova vita.»
 
Giustifica la diffusa nostalgia per il regime comunista?
«Purtroppo sì. E non solo in Bulgaria, ma nell’intero ex blocco sovietico. Gli Stati Uniti hanno voluto sovvertire un sistema partendo da Chernobyl, ma non si sono preoccupati di creare una equità sociale.
«E purtroppo, come è noto, la storia la scrive a proprio piacimento chi vince e a farne le spese sono sempre gli ultimi.»
 
Cosa pensa che possa fare l’Europa (e l’Italia) per aiutare la Bulgaria, senza snaturarla, senza correre il rischio di farla diventare come altri Paesi, senza farle perdere l’identità?
«Credo che l’Italia possa fare ben poco, visto che non riesce a far nulla neanche per se stessa. Si eviti piuttosto di creare danni maggiori. La Bulgaria sta rinascendo grazie alla forza del suo popolo.»
 
Quali sono le caratteristiche dei bulgari con cui è entrato in contatto?
«In loro ho trovato una grande dignità, la solidarietà verso i più deboli, l’umanità, l’ospitalità, la generosità.»
 
Il romanzo ha certamente spunti autobiografici. Perché ha sentito l’esigenza di raccontare questa storia?
«Come in ogni cosa che faccio, nel romanzo c’è tanto di me. Ci sono i sogni, le emozioni, i silenzi, le paure, gli abbracci, ma soprattutto c’è il cuore.
C’è un uomo trasformato da questo viaggio, dalle varie esperienze vissute, dallo stare ogni giorno a stretto contatto con gli ultimi. Tra questi, ho avuto la fortuna di incontrare Yordanka, esempio concreto di come si affrontano le difficoltà e di come non ci si arrende mai, nonostante si abbia tutto contro.
«È una storia che dovevo raccontare.
«La vita di questa donna è stata vissuta sempre con il cuore rivolto agli ultimi, ai più bisognosi.
«E poi, c’è la storia di un popolo che merita la sua rivincita, che grida vendetta ogni giorno per come viene descritto dai media sempre meno imparziali.
«Oggi più che mai abbiamo bisogno di verità e imparzialità.»

Grazie, Vincenzo, buona fortuna a lei, alle sue foto, al suo romanzo!


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