Il libro della settimana – Di Guido de Mozzi

Titolo: Le parole degli Ultimi Autrice: Brunella Canobbio «Meglio essere se stessi che copie artefatte della massa» Editore: Edizioni Girali 2007 (Altre recensioni in Pagina della Cultura)

IL CONTENUTO
È il racconto dell'evoluzione di una donna che, attraverso l' emarginazione del mondo, comprende il suo valore, la sua verità.
È la storia di una bimba che diventa donna con l'idea di essere una «diversa».
La presa di coscienza di se stessa si compierà in un viaggio in Sardegna d'inverno in completa solitudine, che la protagonista vivrà in un perenne e scalpitante confronto fra passato e presente.
Un viaggio che la condurrà al suo valore di «Ultima».
Donna vera, fatta d'istinto e coerenza, di consapevolezza di se, d'accettazione della sua vera natura, ma scomoda, provvisoria, emarginata.
Fino al raggiungimento di un'unica verità: essere ciò che si è.
«Meglio essere se stessi - confessa l'autrice - che copie artefatte della massa. La vita me l'hanno data i miei genitori, ma io in quella casa mi sono partorita un'altra volta. Ho partorito la vera me stessa.
Si è guardata allo specchio, ha smesso di combattere la sua diversità dal mondo e si è amata e accettata per quella che è.
«Ultimo è colui che accetta d'essere se stesso, - scopre l'autrice - dentro e fuori, sempre.»
Che accetta la sua sensibilità come valore non come maledizione. Anche se nel corso degli anni la vita può apparire come un ingannarsi reciprocamente.
Ultimo è colui che accetta anche d'essere scomodo in questo mondo fatto d'ipocrisia e falsità. Il mondo non cambierà. L'importante è aver preso coscienza di quello che si è.
L'autrice si è sempre sentita una «diversa». Ma alla fine scopre che la mia diversità è un dono.
«Ora ho consapevolezza di essere Un'Ultima, - conclude infatti - ma fiera di esserla.»

IL COMMENTO
«Le parole degli Ultimi» di Brunella Canobbio è un'opera che cammina nel sentiero dei romanzi epistolari o dei libri-confessione che rappresenta un'analisi profonda della solitudine.
Solitudine non fisica o materiale, perché la protagonista vive in mezzo agli altri, ma solitudine intesa in senso psicologico e filosofico, tanto è vero che, per curarla, per guarirne, l'autrice si reca, da sola, in «vacanza» in una Sardegna invernale silenziosa e meravigliosa, che anziché essere dipinta nella sua evidente esteriorità viene accennata con lievi, ma precisi tocchi interiori.
Ed è in una casetta solitaria dell'isola che la protagonista inizia, o meglio continua l'autoanalisi, scoprendo lentamente che le cause del suo malessere non sono né l'abbandono e la morte di un padre mai conosciuto in senso profondo, o l'interruzione di un rapporto amoroso che non sarebbe riuscito a diventare un progetto di vita. La protagonista comprende che la solitudine della sua vita è una maledizione ma contemporaneamente un privilegio, perché dipende dal fatto di essere stata dotata dalla natura di una sensibilità maggiore della media degli altri esseri umani; ed è questa sensibilità che fa apparire la vita comune non solo come superficiale, ma come un ingannarsi reciprocamente.
Nel suo romanzo, la nostra protagonista vuole comunicare ciò che ha scoperto su di sé e sugli uomini al mondo: «ora sono pronta».
Ed è questa espressione che rappresenta, inconsciamente forse, non la fine dell'opera, ma l'inizio di un nuovo libro.