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I Campestrini tra pittura e poesia – Di Alberto Pattini

Prestigiosa mostra a Castel Ivano e allo Spazio Klien di Borgo Valsugana dal 12 luglio al 1 settembre – Catalogo a cura di Elvio Mich ed Elisabetta Staudacher

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Nel centocinquantesimo anno della nascita di Alcide Davide Campestrini, l'Associazione Castel Ivano Incontri e il Comune di Borgo Valsugana impegnati dal 2009 nel progetto «Artisti trentini in Valsugana» vogliono rendere omaggio all'artista trentino, ai suoi due figli, Alcide Ernesto e Gianfranco, anch’essi pittori, e alla moglie, la poetessa Emma Toller Campestrini, con una retrospettiva allestita negli spazi espositivi di Castel Ivano e di Spazio Klien in Valsugana.
La rassegna è una preziosa occasione per ricostruire la fiorente attività dei tre pittori vissuti a Milano e molto legati al Trentino.
Numerose sono infatti le testimonianze, nei ritratti, nelle nature morte e soprattutto nei paesaggi, delle bellezze naturalistiche della loro terra d'origine, dove hanno soggiornato a lungo in villeggiatura e durante i drammatici eventi bellici.
Molta strada è stata compiuta in passato nello studio di Alcide Davide Campestrini, meno nelle ricerche sui figli e quasi nulla sulla moglie Emma Toller.
Tanti erano quindi gli aspetti della storia di questa famiglia che risultavano oscuri o da approfondire.
In ogni caso era doveroso iniziare il cammino che potrà arricchirsi di nuove scoperte grazie all’aiuto di coloro che vorranno fornire nuovi elementi agli studiosi di questi artisti.
 

 
 Presentazione della mostra
In mostra si possono ammirare più di sessanta opere, tra cui molti inediti provenienti da collezioni pubbliche e private italiane, come il Mart - Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, il Museo Civico di Rovereto, i Comuni di Trento, di Villa Lagarina, di Civezzano e Comune di Magré, nonché la Fondazione Museo Storico del Trentino.
I dipinti sono divisi in varie sezioni che permettono al pubblico di conoscere alcuni temi affrontati dai pittori Campestrini osservando le loro opere per la prima volta messe a confronto.
Si parte dalla sezione dedicata alla famiglia con ritratti, autoritratti e una parte su Emma Toller, si passa ad alcuni temi toccati da Alcide Davide Campestrini tra cui Trento, l’irredentismo e il simbolismo, per arrivare ai temi sulla Valsugana, la Paganella, Milano, i viaggi, i mestieri indagati dai tre pittori.
 
 Catalogo
Edito da Litodelta (Scurelle) a cura di Elvio Mich ed Elisabetta Staudacher con saggi dei curatori e di Carla Gubert, Laura Galassi, Vittorio Fabris
Il saggio di Elvio Mich, funzionario della Soprintendenza per i beni Beni Storico-artistici, librari e archivistici della Provincia di Trento, autore dell'unica monografia esistente su Alcide Davide Campestrini (Mori, 2013) riguarda la figura del pittore e la committenza.
Il saggio di Elisabetta Staudacher, responsabile delle attività espositive dell’Associazione Castel Ivano Incontri e curatrice dell’archivio della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano, approfondisce per la prima volta la vita e l’attività dei figli di Campestrini con attenzione al loro rapporto con Milano.
Il saggio di Carla Gubert, docente di italianistica presso l’università di Trento, riguarda la figura mai studiata della poetessa Emma Toller Campestrini.
Il saggio di Laura Galassi, giornalista dell’Adige indaga il rapporto tra Alcide Ernesto Campestrini e gli albergatori Mottes di Levico Terme.
Negli apparati, oltre alle schede bio-bibliografiche ed espositive dei tre pittori, trova ampio spazio il lavoro di Vittorio Fabris, storico dell’arte di Telve e attento studioso della cultura locale, sull’attività trentina di Alcide Davide Campestrini in qualità di frescante e di decoratore.
 
 Le sezioni della mostra
La famiglia Campestrini, ritratti e autoritratti
Il 7 febbraio 1897 Alcide Davide Campestrini (1863-1940), affermato pittore trentino, e Emma Toller (1874-?), giovane poetessa, si sposano a Trento. Lui ha 34 anni, lei 23.
Il loro amore è molto forte, lo si percepisce dalla dolcezza con cui Alcide Davide ritrae la moglie in vari momenti della sua vita, così come dalle poesie in dialetto trentino che Emma dedica al marito anche dopo la sua scomparsa.
Partono per Milano dove Alcide Davide risiede da più di 15 anni e lì costruiscono la loro famiglia: Alcide Ernesto (1897-1983), Luigi (1899-1914), Gianfranco (1901-1979).
Tre figli maschi che ricevono dalla madre la cultura e l’amore per la poesia e dal padre, insegnante da tempo all’Accademia di Brera, l’iniziazione all’arte e alla pittura.
Il più portato sembra essere Luigi, ma la sua morte avvenuta nel 1914 a soli 15 anni, sconvolge le aspettative paterne.
Proprio in quell’anno il primogenito Alcide Ernesto entra a Brera seguito, cinque anni più tardi, dal fratello Gianfranco.
Nei primi anni Venti entrambi assistono e aiutano il padre in importanti cicli decorativi in Trentino quali il Teatro Sociale di Trento e il Grand Hotel di Levico (si veda l’intervento in catalogo di Vittorio Fabris), poi ognuno trova la sua strada lontano dalla figura genitoriale senza che la stima e l’ammirazione verso il loro primo maestro venga mai meno.
 

 
 Ritratti di famiglia
Lo sguardo amorevole con cui Alcide Davide ritrae in vari disegni il piccolo Luigi mentre dorme o gioca con Emma, lasciano intendere il forte legame che unisce i coniugi Campestrini al secondogenito.
Un amore di cui Alcide Ernesto, chiamato affettuosamente Alcidino in un ritratto pubblicato sulla Strenna dell’Alto Adige del 1900, sembra non beneficiare più dopo la scomparsa di Luigi.
Una decina d’anni dopo questo pesante lutto, nella famiglia Campestrini arriva un nuovo bambino, Gianfranco, figlio di Alcide Ernesto e della moglie Cesarina Demicheli, ma nonni e zio non vivono questo ruolo con gioia e naturalezza.
Il destino vuole che la tragedia vissuta da Alcide Davide e da Emma, si ripeta con Alcide Ernesto e Cesarina, che si trovano a far fronte al loro dolore e a serie difficoltà economiche senza avere l’appoggio del resto della famiglia. Uniti da un amore autentico e coraggioso, nei ritratti che Alcide Ernesto dedica alla moglie e a se stesso, appaiono sereni nonostante le difficili prove che la vita li chiama a superare giorno per giorno.
 
Gianfranco, il figlio più giovane di Alcide Davide e di Emma Campestrini, diventa il prediletto dei genitori. Sceglie di continuare a vivere con loro anche dopo essersi affermato come insegnante e pittore.
Ed è proprio lui a premurarsi che un’istituzione importante come l’Accademia degli Agiati, nata a Rovereto nel 1750, abbia nella sua collezione d’arte un ritratto di Alcide Davide Campestrini che egli stesso realizza poco dopo la scomparsa del padre in pendant al suo autoritratto del 1942 scegliendo una corrispondenza di vari elementi – dimensione della tela, ambientazione, abbigliamento, arredamento – quasi a sottolineare una continuità tra l’attività del padre e quella del figlio. 

 Emma Toller Campestrini (Spazio Klien)
Emma, sradicata dall’ambiente trentino, fatica a vivere a Milano per quel clima umido e nebbioso, per la lontananza dalle sue montagne e dalla sua gente.
Le giornate milanesi sono scandite non solo dalle attività domestiche, ma anche da quelle sociali, segue il marito nel suo lavoro, frequenta con lui il «Circolo Trentino di Milano», luogo di incontro degli irredentisti trentini, e scrive le sue poesie in vernacolo.
Prende spunto dai temi politici, dalle fatiche lavorative, dalle bellezze naturali della sua terra d’origine, dai suoi dolori legati alla scomparsa di persone care. E’ una persona riservata, poche le notizie sulla sua vita (si veda il saggio in catalogo di Carla Gubert), e solo nel 1955, dopo il successo ottenuto ai concorsi de «La Nuova Italia Letteraria» dell’anno precedente, pubblica la prima e unica raccolta di poesie dal titolo El cor che parla dedicata all’amore di tutta una vita, il marito scomparso da 15 anni.
 

  
 Autoritratto nello studio (Castel Ivano)
A metà degli anni Novanta dell’Ottocento Alcide Davide Campestrini è un giovane scapolo. Il suo nucleo familiare non si è ancora formato. Vive a Milano, in via Fiori Chiari, a due passi dall’Accademia di Brera.
Il suo studio è in un’ampia sala con un grande specchio verticale dalla cornice dorata appeso a una parete e sul pavimento stoffe variopinte sapientemente accostate.
Alcide Davide, seduto su un mobile durante un momento di pausa, sorride alla modella che legge, in un momento di pausa, tenendo sulle gambe un telo bianco. Il pittore indossa un fez rosso, il tipico copricapo diffuso a fine Ottocento nella Turchia ottomana e a quell’epoca fabbricato in grandi quantità in Austria.
L’ambiente è caldo e piacevole, oltre alla spalla e al profilo della modella, lo specchio ci mostra la parete di fronte costellata da tanti piccoli schizzi e da quadretti colorati.
 
Lo stesso calore lo ritroviamo nello studio del figlio Gianfranco, più di trent’anni più tardi. Nello specchio questa volta si notano le sembianze del giovane pittore elegantemente vestito, con in testa con un cappello rosso senza forma.
Questo angolo di Milano è ben identificabile, grazie alla vista dalla finestra, nello studio di via Ancona, il palazzo che si affaccia su via San Marco e dove Gianfranco vive da tempo con i genitori.
A differenza del padre, il figlio cede a un certo virtuosismo nel voler raffigurare alcuni dei suoi capolavori tra cui il bozzetto di Excelsior del 1929, presente in mostra nella sede di Borgo Valsugana.
 
Anche Alcide Ernesto, nel 1926, si raffigura nel suo studio giocando con le sue sembianze allo specchio. In questo caso però siamo di fronte a un’ambientazione e a un’atmosfera ben differenti rispetto agli altri due autoritratti. Ci troviamo infatti in una mansarda spoglia e buia nonostante la presenza di un lucernario.
Tutto sembra abbozzato con una pittura monocromatica tendente a tonalità fredde e poco brillanti. A poco a poco però emergono una serie di particolari che arricchiscono il dipinto.
Sembra che i nostri occhi si debbano abituare all’oscurità e allora ecco che notiamo i libri accatastati sulle mensole assieme ai quadri, gli alberi spogli dipinti sulla tavoletta appesa alla colonna, il ritratto di Alcide Ernesto nel quadro appoggiato al cavalletto.
Il suo viso aperto e sorridente parla della sua gioia, dell’orgoglio con cui ci rende partecipi del suo mondo. Il dipinto testimonia come il pittore sappia andare oltre la semplice pittura figurativa di narrazione di fine Ottocento che si ritrova anche nel quadro di Gianfranco.
  


 Ritratti di Alcide Davide Campestrini (Spazio Klien)
L’attività ritrattistica di Campestrini occupa una posizione di assoluto rilievo nel contesto della sua produzione. L’impegno in questo campo è documentato a partire dal 1887 nel taccuino di lavoro Lavori Eseguiti e Venduti, (collezione privata) in cui sono registrati oltre 130 ritratti di personaggi dell’aristocrazia e della borghesia milanese e trentina, ma anche delle classi più umili, ai quali vanno aggiunti gli autoritratti e le numerose effigi di familiari a amici.
L’iniziale debito verso Giuseppe Bertini, del quale Campestrini fu allievo prediletto all’Accademia di Brera, è ben avvertibile nella opere degli anni Novanta.
In seguito lo stile dell’artista si evolve verso una maggiore libertà pittorica, come evidenziano gli esempi qui esposti: il «Ritratto di Francesco Ambrosi» (1903), il primo biografo dell’artista (Trento, Biblioteca comunale), il «Ritratto di Basilio Tononi» (1911) di una modernità capesarina (Civezzano, Municipio), l’espressivo «Ritratto dello scultore Andrea Malfatti» (MART), eseguito di getto nel 1912, vincendo la nota ritrosia dell’anziano amico a posare davanti al cavalletto, e il «Ritratto della moglie Emma Toller», poetessa in dialetto trentino, alla quale è dedicata una sezione della mostra.
  
Ma la grande novità della mostra è certo costituita dal grande «Ritratto delle baronessine Salvadori», conservato presso la Scuola elementare di Magré (BZ), che testimonia il grado di maturità raggiunto da Campestrini in questa disciplina, nella quale egli occupa una posizione preminente sia in ambito locale, sia nel contesto della ritrattistica lombarda tra Otto e Novecento (si veda il saggio di Elvio Mich in catalogo).
Il ritratto, eseguito nel 1900 per commissione del barone Isidoro Salvadori, raffigura le figlie Violante, Camilla e Adele, nate dal matrimonio con la contessa Livia Padulli di Vighignolo, del patriziato milanese.
Come in molti ritratti del nostro pittore, il pavimento è interamente ricoperto da un tappeto; ma ciò che più sorprende è l’abilità con cui egli ha saputo restituire l’effetto del velluto liso del divano, nelle diverse gradazioni di verde, e l’abbigliamento delle bambine, caratterizzato da ampi colletti e polsini di pizzo, nonché la felice resa espressiva dei loro visi graziosissimi.
 
 Alcide Davide Campestrini. Il patriottismo (Spazio Klien)
Fervido patriota, discendente da una famiglia di fede liberale, Campestrini trattò con frequenza soggetti ispirati alle vicende risorgimentali e alla più recente storia unitaria, condividendo con gli amici del Circolo Trentino di Milano l’impegno per la causa nazionale.
«Durante i frequenti soggiorni a Trento – riferisce una testimone – godette la fraterna amicizia dei più ferventi nazionalisti» (Carola De Agostini, 1918).
L’opera alla quale Campestrini ha maggiormente legato la fama di artista-patriota è sicuramente la grande tela «Avanti Savoia!», presentata con successo nel 1906 a Milano, all’Esposizione internazionale del Sempione, e più volte riprodotta in pubblicazioni e in cartoline.
 
Per celebrare l’unificazione delle terre irredente al Regno d’Italia, l’artista realizza nel 1926 il grande Dittico dell’annessione, acquistato nel 1933 dal Museo del Risorgimento (oggi Fondazione Museo Storico del Trentino).
Nella prima tela è raffigurata, a volo d’uccello, l’affollatissima piazza del duomo il giorno stesso della cerimonia; nella seconda, viene ripreso invece il palco delle autorità con la tribuna d’onore, dove sono riuniti ben cinquanta personaggi di primo piano, dal senatore Luigi Credaro al generale Guglielmo Pecori Giraldi, dal vescovo Celestino Endrici alla vedova Ernesta Bittanti Battisti.
  
 Alcide Davide Campestrini. Temi letterari e allegorico-mitologici (Spazio Klien)
Con I neghittosi Campestrini si aggiudicava a Milano, all’esposizione triennale di Brera del 1894 - ex aequo con Achille Beltrame, - il prestigioso Premio Antonio Gavazzi per la pittura di storia.
Della tela, acquistata lo stesso anno da Imre Kiralfy, famoso e ricchissimo produttore inglese di grandiosi spettacoli storici, quindi dispersa sul mercato antiquario, è presente in mostra il bozzetto preparatorio.
La composizione illustra, con aderenza letterale, il canto IV del Purgatorio (Antipurgatorio, secondo ripiano), dove Dante e Virgilio incontrano i neghittosi. Per ambientare la scena, Campestrini ha preso spunto dallo scenario roccioso dei Lavini di Marco, la nota «Ruina» del canto XII dell’Inferno.
 
Tra i dipinti di soggetto allegorico-mitologico, un posto di rilievo va assegnato a «Primi suoni» (MART), opera di controllato equilibrio compositivo che a partire dal 1898 ha figurato in importanti esposizioni a Torino, Milano e Monaco di Baviera.
A questo felice momento creativo appartengono anche due grandi tele eseguite tra il 1899 e il 1900 e originariamente collocate in Palazzo Libera a Villa Lagarina: «Danza bacchica attorno alla statua di Cerere (Villa Lagarina, Municipio) e Allegoria della vita primitiva» (ubicazione ignota).
In questo gruppo di opere, oltre a manifestare la profonda conoscenza del nudo, maturata dalla lunga esperienza di insegnante di disegno di figura all’Accademia di Brera, Campestrini sembra condividere l’interpretazione simbolista del mondo classico, offerta dai pittori tedeschi attivi a Roma, i cosiddetti Deutsch-Römer, probabilmente conosciuti all’epoca della sua prima esposizione al Glaspalast di Monaco.
 
 Speranza e disperazione (Spazio Klien)
Le condizioni di vita della classe operaia della Milano modernista, avevano offerto vari spunti di riflessione ad artisti come Emilio Longoni, Attilio Pusterla, Giovanni Sottocornola, Angelo Morbelli, Giovanni Mentessi.
Con La morte del figlio dell’operaio (1902) anche Campestrini offre il suo contributo (per ora unico) alla pittura di impegno sociale, mettendo efficacemente in scena il tema del lutto materno.
Alla sfera degli affetti familiari e delle amicizie, tutti e tre i Campestrini hanno dedicato largo spazio. In una delle opere più ammirate di Alcide Davide, «Punita o Convalescente» (1898 ca.), è stata recentemente riconosciuta Alice Toller, sorella della moglie del pittore.
La consorte stessa e i figli diventano, a volte, protagonisti di opere nelle quali l’artista riesce a trasfondere il profondo legame affettivo verso la sua famiglia, come nel grande disegno del 1899 - esposto a Castel Ivano - che ritrae il figlioletto Luigi, destinato a morire prematuramente all’età di quindici anni.
Questi stessi sentimenti si ritrovano in varie composizione dei figli Alcide Ernesto e Gianfranco, come nella tela qui esposta di quest’ultimo, «Mamma con bambino», del 1940, nel quale si può intravedere un legame con un noto dipinto del padre, Amor materno (ritratto di Emma e del figlio Luigi), che nel 1900 vinse a Firenze il premio Alinari.
Di Gianfranco è anche una singolare natura morta intitolata 21 gennaio 1935: un omaggio a una coppia di amici suoi collezionisti, in occasione del loro matrimonio.
 
 La Valsugana (Castel Ivano)
Una delle valli trentine più amate e frequentate dalla famiglia Campestrini è proprio la Valsugana.
La vediamo in un quadro di Alcide Davide degli anni ’30, tanti paesi immersi nel verde, un gruppo di case con il tetto rosso in primo piano, una strada delimitata dai pali della corrente, tutto è tornato in ordine dopo le gravissime devastazioni della prima guerra mondiale.
Il primo lavoro documentato di Alcide Davide in Valsugana risale al 1892. Il pittore risiede a Milano da una decina d’anni, ma mantiene i contatti con la sua terra d’origine e riceve numerose committenze.
In questo caso ha l’incarico di decorare la lunetta del portale maggiore della chiesa di Santa Maria a Pergine dove raffigura il Buon Pastore. Trent’anni più tardi il pittore torna nella valle assieme ai figli Alcide Ernesto e Gianfranco per occuparsi delle decorazioni del Grand Hotel di Levico Terme, distrutto nella seconda guerra mondiale, mentre nel 1928 si dedica con Gianfranco all’affresco di San Giorgio per l’omonima chiesa di Castel Tesino.
 
Più volte la famiglia Campestrini trascorre le sue vacanze in Valsugana, a volte ospite dei parenti di Emma Campestrini.
Giovanni Toller, cugino di Alcide Ernesto e di Gianfranco, è un medico affermato e dagli anni Cinquanta ricopre l’incarico di direttore sanitario dell’ospedale San Lorenzo a Borgo Valsugana. Qualche anno prima, mentre la guerra imperversa, accoglie Alcide Ernesto e Cesarina che sono sfollati da Milano.
Il pittore si innamora del lago di Caldonazzo più volte raffigurato nelle sue tele, come nel dipinto del 1949.
Poche costruzioni, molta quiete, un gioco di colori tra i verdi e l’ocra della vegetazione e della terra, i viola e gli azzurri dei monti e del cielo che si rispecchiano nell’acqua tranquilla del lago. Lì vicino, a Levico, c’è l’hotel La Pace dove, dal 1969, Alcide Ernesto passa gran parte delle sue vacanze estive in compagnia della moglie e degli albergatori Alberto e Bruna Mottes (si veda il saggio in catalogo di Laura Galassi).
Durante quei soggiorni dipinge numerosi quadri prendendo spunto dallo stesso albergo, dai suoi ospiti, dai giardini e dai monti intorno lasciandoci così numerose e preziose testimonianze dei passaggi trentini.
 

 
 Milano (Castel Ivano)
«Quando mi guardo indietro, un sentimento di profondo affetto e di riconoscenza mi fa ripetere: grande e benedetta Milano!»
Così dichiara Alcide Davide Campestrini in un’intervista del 1918. Milano è molto amata dai pittori Campestrini e si è rivelata non solo un luogo da vivere ricco di opportunità lavorative, ma anche un soggetto da ritrarre nei loro quadri.
I pittori ci hanno così regalato una testimonianza dell’evoluzione che ha subito la città nell’arco di pochi decenni, complici le due guerre mondiali, il fascismo e prima ancora le celebrazioni del Regno d’Italia (si veda il saggio di Elisabetta Staudacher in catalogo).
Quando Alcide Davide arriva nel capoluogo lombardo, piazza del Duomo sta cambiando completamente. Si abbattono i palazzi davanti al Duomo, via Dante si fa strada verso il Castello Sforzesco, sorge la Galleria Vittorio Emanuele II.
 
Il pittore ama rifugiarsi in un luogo dove il tempo si è fermato ai tempi del manierismo controriformista cinquecentesco, la chiesa di Sant’Antonio, nell’omonima via vicino alla Ca’ Granda, quello che era l’Ospedale Maggiore di Milano.
Con estrema precisione e dovizia di particolari Alcide Davide riproduce sulla tela la struttura architettonica e la ricchezza decorativa delle pareti e dell’abside.
Racconta l’atmosfera, con le sue luci, gli odori, i suoni. Un uomo, visto di spalle, siede su una panca di legno. È solo, intorno il silenzio. Un silenzio simile a quello che scende sulla città quando la neve rende ovattato ogni rumore.
Dalle finestre di casa Campestrini, in via Ancona, le stesse dell’autoritratto di Gianfranco, si intravede la facciata della chiesa di San Marco, vicino a Brera, e dal terrazzo sul tetto di quello stabile, in un giorno di primavera, troviamo Cesarina, la moglie di Alcide Ernesto, che osserva la città in una giornata dal cielo terso.
Davanti ai suoi occhi, le guglie del Duomo, che Gianfranco riprende viste dall’attuale corso Europa descrivendo alcuni palazzi non più esistenti.
 
 Mestieri di ieri e di oggi (Castel Ivano)
La «parona» è la signora Enrichetta Riva presso la quale il giovane Alcide Davide trova alloggio a Milano. Dal suo sguardo, serio e sospettoso, si passa a quello attento e curioso del «Piccolo vendemmiatore», a quello meravigliato dei «Frati in biblioteca», a quello assorto delle ricamatrici giovani e meno giovani di «Nell’ora del riposo e di Una volta».
Sono tutti quadri di Alcide Davide realizzati nel corso della sua attività pittorica. Anche i figli lo seguono nella raffigurazione dei mestieri, dal «Contadino» affaticato ma sorridente di Gianfranco, al «Falciatore» di Alcide Ernesto dipinto in mezzo ai prati dell’alpeggio e che fa parte, assieme a «Le favole del nonno», «Vecchia guida e Mammina», di alcuni tra i dipinti più significativi e di impatto che il pittore ha realizzato negli anni Trenta nella zona di Fai della Paganella.
 
 I viaggi. L’acqua e i monti (Castel Ivano)
I pittori italiani, si sa, sono fortunati. Ovunque posino il loro sguardo trovano panorami, scorci, vedute da cui trarre ispirazione per i loro quadri di paesaggio urbano e rurale, marittimo e montano.
Anche i Campestrini hanno lasciato numerose testimonianze: Milano, Trento (in mostra a Borgo), la Valsugana, la Paganella (sempre a Borgo), Malcesine e il lago di Garda, le colline intorno a Sanremo.
Dall’amicizia di Gianfranco Campestrini con Sandro Prada, poeta e autore di numerosi libri di montagna, è nato un connubio di quadri e di poesie ispirati ad alcuni paesaggi.
 

 
 La Paganella (Spazio Klien)
La Paganella è costantemente presente nella produzione pittorica dei fratelli Campestrini, entrambi sono molto legati a quei paesaggi e sono debitori del fascino che traspare dagli scorci delle case di Fai e di Cortalta, dalla vecchia segheria di Molveno e dai panorami mozzafiato verso la Valle dell’Adige, come nel capolavoro di Gianfranco Campestrini, Excelsior, dipinto nel 1929.
Il pittore osserva dall’alto di Fai il Palon del Monte Fausior che si innalza sopra al paese e più giù, sotto i suoi piedi, la valle dell’Adige verso la stretta di Salorno.
Un bellissimo sfondo con in primo piano la gioia di quattro ragazzini alla vista degli aerei Caproni che sfrecciano nel cielo.
Anche il gioco del quadro nel quadro, spesso presente nelle nature morte di Alcide Ernesto, come anche nel mio tavolo dove regnano ordine, pulizia, silenzio, immobilità e attenzione ai minimi particolari, rimanda alla vitalità della natura, ai panorami dei monti trentini fatti di vento, nuvole, pietre e polvere, luci e ombre, sentieri che non si sa dove portino e che, per scoprirlo, sono solo da percorrere.
 
Una mostra senza ombra di dubbio da vedere e da ammirare sia per valorizzare gli artisti trentini sia per conoscere il nostro passato e le nostre tradizioni in un ambiente unico e irripetibile.
Un particolare ringraziamento è indirizzato alla dott.ssa Elisabetta Staudacher che ci ha permesso di conoscere in anteprima la bellezza di questa mostra.
 
Alberto Pattini
a.pattini@ladigetto.it

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