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Perturbazioni dell’eterno – Di Massimo Parolini

Meteo, amore famigliare e Dio nell’ultima raccolta di Pierangela Rossi

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Bollettini meteo, previsioni, meteorine: la dipendenza dalle condizioni del tempo atmosferico ai giorni nostri sta conoscendo un’accelerazione forse senza precedenti.
Esiste anche una scienza interdisciplinare - la biometeorologia umana - che studia le influenze dei fattori meteorologici sugli organismi e sulla salute dell’uomo.
È stato rilevato che il fenomeno della «meteorosensibilità» interessa dal 20 al 30% degli individui. I soggetti meteorosensibili percepiscono in particolare le variazioni climatiche.
 
«Chiara chiede a Paolo/l’esperto in meteo/se pioverà oggi. Vai/tranquilla, oggi no,/fino a domani. E anche/Google, meteo.it, è dello stesso parere.»
Così Pierangela Rossi, nella sua nuova raccolta (Carte del tempo, Campanotto, 2015, pp.112, € 12,00) si avvicina al tema dedicando a tale relazione col meteo e gli eventi naturali in genere l’intera silloge, più di 100 frammenti, lacerti di un discorso sul tempo che si manifesta più che sul filosofico tempo che passa.
Dedicata al marito Paolo («il migliore degli aruspici» che dalle viscere dell’osservazione trae presagi meteo: «Ti confido che sto scrivendo/sul tempo atmosferico/oltrepassando le mie scaramanzie») la raccolta si caratterizza - un po’ come negli haikai - nella prevalenza della carezza sul graffio, lasciando affluire - in versi di istantanee polaroid con data e ora- la contemplazione di un paesaggio di attraversamento del quotidiano - («là in alto qualcosa si prepara/per il tuo primo sguardo./L’ordine di lassù è cosa/quotidiana, ci riguarda/come l’inizio o la fine/prossima all’infinito»).
 
Un ordine, quindi, grazie al quale l’autrice vuole distogliere lo sguardo da quell’ospite inesorabile e invisibile, di cui parlava Heidegger ne «La questione dell’essere»: l’inquietante nichilismo dell’uomo contemporaneo.
Un macrocosmo che sul solco del sacro - dall’antichità ad oggi - viene inteso olisticamente intrecciato col microcosmo ed il suo giardiniere, o dominatore o becchino: l’uomo.
In realtà, la foga del meteo e la sicurezza nelle previsioni nasconde la finzione del secondo errore individuato da Nietzsche ne «La gaia scienza», ossia che l'uomo si attribuisce qualità immaginarie («fanno la serie storica/dice Paolo, per questo sbagliano/i meteorologi»).
Al massimo si prevede il giorno dopo: “esco di nuovo con sole/e sfolgorio. Chiedo: oggi ci sarà/una pazza pioggia d’aprile? Giusto/per escludere l’ombrello dalla borsa./Del meteo ora mi fido poco»; «grandina. Nessun info/l’aveva previsto».
 
C’è una grande levità nello scorrere dei frammenti, nel loro seguire le condizioni atmosferiche e le manifestazioni periodiche di madre natura.
Una natura che può essere matrigna, sulla scia del leopardiano «Dialogo della Natura e di un Islandese» («non sai né dove né quando/questo giorno potrebbe essere l’ultimo/se guardi nei fari delle auto iene/o per altro evenemenziale motivo atmosferico»; «perché il deserto si estende?/Il pianeta non basta più») col rimando ad eventi tristemente attuali («frane, smottamenti, tremebondi terremoti/la terra non sa più permanere/e nemmeno noi del resto»; «il maltempo ha causato un morto/ma non è neanche andato in prima/un albero è caduto e non era malato/la furia della natura/è esondata nella vita»).
Qui si conferma il terzo degli errori citati ne «La gaia scienza»: l'uomo si sente in una falsa condizione gerarchica rispetto alla natura e agli animali. Ma la natura può essere anche benigna, capace di assorbire i conflitti umani («Tra un brutto tempo e l’altro/avremo la sorpresa dell’estate»; «la Terra si gira/stanca d’inverno/brucia ubriaca/la primavera estiva»; «nelle carte del tempo le isobare/segnano l’incerto profilo/dei nostri destini esposti/a calamità naturali/come a un bellissimo giorno di sole»).
 
Ma come si ricava dal frammento 83 tale natura non è, come da materialismo leopardiano o foscoliano, un’entità autonomamente dinamica bensì, spiritualmente, l’espressione di una volontà divina, come tale responsabile - rimandando alla teodicea - degli avvenimenti naturali e dei loro effetti sull’uomo: «con quale criterio/la maestà divina/dispensa lutti/e gioie del tempo»?
Frammento, va detto, senza risposta nei versi successivi. Si cerca di andare avanti, di attaccarsi ai baluginii di luce, al «lucore» che entra nelle stanze incerte dell’uomo.
La primavera diventa per la poetessa, tornando alla visione tradizionale - poi rovesciata da Eliot ne «La terra desolata» - il tempo della rinascita: «Forse è vero/che aprile non è/il più crudele tra i mesi»; «rifulge sulla cuspide/del sole in costruzione/l’aura d’oro dell’aprile./Tu vai per geyser e cascate,/aduso ad altri climi./Ma è così dolce qui, nella pace/della Pasqua, tra un gelsomino/e un melograno: presto/esibiranno le loro tinte nuove»; «di quante coincidenze/ ti ho incontrato/enumerarle non posso/solo ricordare quella bella sera/d’aprile, dove/quando/senza un apparente perché/con un motivo/e custodirle a segno/del tuo passare/non invano qui”. Primavera di Passaggio, Pasqua di morte e resurrezione: e forse, cristianamente, servizio di sacrificio, come in Taskosvkij, unica via d’uscita dall’urlo senza requie della sofferenza così attuale di molti innocenti.
 
La vita, la morte («come non le avessimo mai capite») «e nuovi modi di dire/ti amo»: «Ma non voglio mai dimenticare/che c’è chi sta alla tv/anzi ai telegiornali che non ricorda bene/e vive d’oroscopi e di stragi/salvo poi in clausura rifugiarsi/in discorsi sul tempo. Oggi/è freddo, molto freddo. E lì»?
L’unica via d’uscita da questa logoshima dell’ultimo uomo dipendente dalle pizie del meteo è la certezza del sentimento, come nel frammento 59: «l’amore è rivoluzionario/più del temporale,/scompagina le carte/scompagina le foglie/del tempo andato./Inventa stagioni e fiori/di purissima primavera./Lo vedo oggi, a un sospetto di pioggia/L’aria è più leggera/ e il respiro lieve senz’affanno».
 
L’amore si conferma nelle coincidenze, che montalianamente ancora «occorrono» nel viaggio con gli affetti che ancora dura: «tra una pozza e l’altra/di questo inverno pluviale/ammiro le coincidenze/della nostra vita, tu che mi chiami/proprio mentre io ti chiamo./L’arrivare a casa insieme/E altre piccole cose/(Eventi non casuali/rafforzano l’amore)».
L’amore si conferma nella corrispondenza con i fiori, ciglia della natura benigna, che la poetessa cura: «spiavamo le gemme/e i fiori e le foglie della primavera»; «crescono dovunque/eriche coriandoli ed edere/che colgo tra mattone e mattone/e curo nei vasi di casa».
In tale relazione d’affetto l’autrice scrive grafemi «mentre il cielo sta a guardare» e contemporaneamente è invitata dalla figlia Chiara, che le fa dono di una visione-segno fotografata ad alzare lo sguardo dal monitor al cielo stesso («mi hai donato la foto/di quella scritta sui muri/’guarda il cielo’/in un corsivo pulito e pieno/nero su bianco/messo subito su Facebook») non per scrutare il meteo ma per trovare «tracce/di luce del sacro, dell’eterno».
 
Massimo Parolini

Pierangela Rossi è nata a Gallarate (Va) nel 1956 e vive a Milano, dove svolge attività di critica poetica per il quotidiano Avvenire.
Ha scritto saggi di critica d'arte e organizzato mostre. Ha pubblicato, di poesia, la plaquette Conchiglie (1993) e i volumi Coclea e Kata (Campanotto, 2000), Zabargad (Book editore, 2001), Crisolito (sulla rivista Steve numeri 24, 25, 26, nel 2002-2003), Kairos (Aragno, 2007, finalista nella terzina del Viareggio-Rèpaci), Zenit (Raffaelli editore, 2013), e da Campanotto, nel 2013, Ali di colomba, Punti d'amore e il libro di poetica Intorno alla poesia. Sulla rivista Incroci, è uscito il poema Euridice (secondo semestre del 2013).
Le ultime pubblicazioni sono le plaquette A Paolo (pulcinoelefante, 2014) e A Paolo (M.me Webb, 2015), e il volume di versi Carte del tempo (Campanotto, 2015).
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