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Vecchio e nuovo. Suggestioni in versi – Di Alessandro Ramberti

«Riscoprirsi conchiglia»: l’autore continua con coerenza nel canzoniere «Vecchio e nuovo» il viaggio della precedente silloge «Al largo» – Di Massimo Parolini

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Titolo: Vecchio e nuovo - Suggestioni in versi
Autore: Alessandro Ramberti
 
Editore: FaraEditore 2019
Genere: poesie
 
Pagine: 96
Prezzo di copertina: € 10
 
Alessandro Ramberti (foto a pié di pagina) continua con coerenza, nel canzoniere «Vecchio e nuovo», il viaggio della precedente silloge «Al largo».
Le tematiche sono affini, la trama e l’ordito della tessitura sorelle: l’io, la sua libertà, l’altro, il noi, il Padre, il desiderio di amore, di assoluto, di eternità.
La miseria e l’elevazione. La caduta e la salvezza: il viandante ripercorre il suo cammino, per terra e per mare, nello spazio e nel profondo.
«Siamo il genitivo del cielo (apparteniamo a Dio), punti luminosi di vita», immersi in un universo che inspira e respira con noi, che si fa diaframma se doniamo e siamo empatici o apnea se frodiamo e siamo avidi.
Centrale quindi, anche in questa silloge, la dimensione empatica, legata alla profondità (che approfondisce la libertà proiettandola verso una verità pregna di umanità), e al tempo (nella dimensione della misericordia) laddove essa si fa empatia pratica e vissuta.
 
Un io spesso fragile (zizzania) ma potenzialmente fertile di bene (grano), tendente all’assoluto e alla sofferenza, trama aperta di una storia che scriviamo in rete grazie ad una connessione superveloce di tutte le fibre dell’universo.
Telemachi alla ricerca di «un padre che sia roccia generatrice», vacillanti nel nostro insicuro andare. Trasformati dal viaggio -ben prima che dalla meta raggiunta.
Vita come romanzo di formazione: «siamo tutti magi», tra luce e buio, transiti di sofferenza. I nostri confini sono disegnati dai tu e dal Tu superiore.
La domanda illumina il viaggio. Riempie la solitudine, cura la malattia mortale. Introduce al mistero e gli fa spazio.
Lasciare entrare il mistero nel nostro vuoto è però una scelta: l’angelo (aiutante del Dio di Misericordia) accede all’anima e mostra il bene: ma siamo liberi di negarlo, ricorda Ramberti.
 
Siamo un mare al buio ma in noi c’è un soffio incontenibile: ci chiama a uscire, a fare luce, per guardare il padre.
Non serve aprire gli occhi: nell’obbedienza possiamo prendere la forma del Padre, diventare strumenti della sua melodia, procedendo pazienti e con la gioia ai piedi, verso la cima, lungo sentieri mal segnati, tagliando ponti preconfezionati oltre i quali vedevamo il nostro futuro.
Consci di essere un quanto indeterminato. Consci di poter avere più spazio, se ci decentriamo. Consci di essere incroci e nodi di una rete che ci lega ai padri e alla storia (e al loro mosaico sotto i piedi) e al Padre della storia.
In noi c’è un tu da sempre attivo (che tal vuol rimanere, più antico dell’io, con buona pace di Zarathustra).
Siamo un nodo vivo che vibra, una mappa aperta verso l’alto, lontano ma vicino, in sinergia con tu sconosciuti. Siamo dita disposte a intrecciarsi e irradiarsi in un comune sentire.
 
Anche la struttura di questa silloge è simile (pur nella più complessa struttura strofica) alla precedente: il titolo in cinese, che traduce l’incipit della poesia, il «titolo di coda», un motto che sentenzia e soffia sullo spirito lirico preparando i versi successivi.
La metrica, nella sua pulizia formale circolare, funge da alisei, venti costanti dell’ispirazione poetica e del suo messaggio sicuro: nel nostro viaggio puntiamo a un «oltre tutto», fuori dal tempo, che sia padrone del tempo.
«Abbiamo bisogno d’altro, di una presenza che non sfugga»: la voce che chiama «è altrove», ci ricorda come impasto nobile.
L’Amore è il fiato della creazione e noi ci riscopriamo conchiglia in cui sibila l’eco di quel mare di Vita su cui aleggia ancora lo spirito divino.

Massimo Parolini


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