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Mio figlio costruisce torri da 20 cubi: valgono come 25 parole?

Le incongruenze del web sui metodi educativi dei nostri figli – Di Stefania D’Elia

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Un'amica posta allarmata un articolo che ha trovato su internet: «Le 25 parole che un bambino di 2 anni deve (notare l'imperativo) sapere».
Venticinque? Mio figlio, che i due anni li ha passati da un mese, ne dice la metà e forse anche meno, di sicuro tra le sue 25 parole scarse non troviamo quelle menzionate nel succitato articolo. Samuel dice benissimo mamma ma si rifiuta di dire papà, in compenso chiama continuamente la sorellina Gaia che nell'articolo non figura; non dice gatto ma chiama il nostro per nome, vale uguale?
Amche succo figura tra le parole che un bambino deve assolutamente conoscere; e qui si va in conflitto con il nuturizionista del nido, il quale ti ha fatto sapere che in nessun caso tuo figlio deve conoscere i succhi di frutta industriali, fonte di zuccheri e grassi saturi.
 
L'articolo comunque lo finisco di leggere, e mi sconvolge abbastanza: stando ai risultati della ricerca Language Development Survey, esposti al meeting annuale dell'American Association for the Advancement of Science a Vancouver, i bambini che entro i due anni non comprendono e pronunciano (anche male, per gentile concessione) le famigerate venticinque parole potrebbero essere portatori di problemi di varia origine e natura che vanno dalla sordità all'autismo, passando per futuri problemi comportamentali e di apprendimento più o meno gravi.
 
Bene o meglio: male... Mio figlio ha appena spento la sua seconda candelina ed è già stato pronosticato per lui un futuro da sociopatico. Sono senza parole.
Ma vogliamo ricordarci che i nostri bambini non sono soldatini?
Vogliamo far presente a chi si ostina a scrivere e rilasciare questi articoli allarmistici che i nostri figli non sono prodotti di una catena di montaggio?
 
Ci ricordiamo che sebbene loro siano spugne che assorbono tutto e di tutto, è poi loro diritto utilizzare quanto appreso secondo i loro modi e i loro tempi?
Con Gaia, da brava mamma apprensiva alle prime esperienze, vivevo di tabelle e schemi. Trovavo rassicurante confrontarmi con ciò che dicevano, soprattutto per la loro impossibilità di contraddirmi. Salvo poi preoccuparmi nel caso la mia prole fosse di molto sotto quanto suggerito.
Oggi con il mio secondogenito ho abbandonato tabelle e preconcetti. Quando diventi genitore per la prima volta sei pieno di ansie e paure.
 
Arriva poi il momento in cui nasce il tuo secondo figlio, e pensi Sono pronta! Ho già visto tutto, mio figlio crescerà praticamente da solo
E ti rendi invece conto che tutto quello che pensavi, che davi per scontato perché già vissuto, non esiste. I tuoi figli sono diversi, nonostante siano cresciuti nella stessa famiglia. È li che ti accorgi che le statistiche e le medie non servono.
Controllo per scrupolo le tabelle dell'atlante del bambino, dove una pagina dedicata alle Tappe dello Sviluppo mi istruisce sulle capacità fisiche, emotive, mentali e sociali  che dovrebbe avere un bambino dalla nascita fino ai tre anni.
Scopro che mio figlio dovrebbe costruire torri di sei o sette cubi e iniziare a usare correntemente 50 parole.
Ecco Samuel costruisce torri da venti cubi o più: posso barattarli con le venticinque parole che non dice? Vale?
 
Durante la mia seconda gravidanza sono andata nel pallone. Mi chiedevo se possedevo abbastanza amore per entrambi i miei figli.
Non ero sicura ci fosse spazio nella nostra famiglia per un nuovo bambino, quando la nostra principessa assorbiva già tutte le nostre energie sia fisiche che mentali.
Non ero neanche sicura di come avrei potuto gestire il rapporto tra i due.
L'ombra della gelosia e delle eventuali regressioni della mia primogenita mi terrorizzava e mi chiedevo in che modo sarei mai riuscita a gestire tutto.
 
Ho letto, come ero solita fare, e mi sono informata. Volevo arrivare al parto preparata: non avrei fatto errori!
Non sapevo come sarei riuscita a fare tutto, ma una cosa mi risultava chiara: mai e poi mai avrei fatto paragoni tra i 2 fratelli. I paragoni sono sbagliati, anticamera di un futuro pessimo rapporto con se stessi e con la famiglia di origine.
Ora mi chiedo: Perché se da una parte ci esortano a comprendere e accettare le caratteristiche individuali dei nostri figli ed a non accennare in nessun caso a eventuali differenze comportamentali, dall'altra parte ci incanalano verso dei dogmi preimpostati?
Perché per la società un bambino deve comportarsi in modo stereotipato da catena di montaggio se in famiglia bisogna spingere all’ l'individualità?
 
Credo fermamente che gran parte del mercato letterario per l'infanzia si alimenti delle nostre paure. Basta entrare in una libreria che ci troviamo schiere di manuali che pretendono di insegnarci tutto: dal far dormire i nostri bambini, al farli mangiare (come e cosa), al come lavarli.
Trovi anche manuali che ti insegnano cosa devi sentire e quando. Quello che invece andrebbe insegnata è l'autostima: dobbiamo credere nelle nostre capacità.
Noi siamo a casa, noi vediamo i nostri bambini, noi sappiamo a che punto del cammino sono.
 
Stefania D’Elia
stefania.delia@ladigetto.com

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