Home | Interno | Forze Armate | Come Folgore dal cielo!

Come Folgore dal cielo!

Una giornata passata con la «Folgore», il nostro corpo militare di élite di massa

image

Nelle corrispondenze dall’Afghanistan (dove – lo ricordiamo – siamo stati anche noi nel novembre 2010), hanno suscitato maggiormente il nostro interesse giornalistico quelle inviate dal PIO (Public information office) della Folgore, la brigata di paracadutisti che ha preso il posto della Julia nel teatro Nord occidentale assegnato all’Italia, quello della provincia di Herat.
I contenuti degli articoli giunti alla nostra redazione sono sempre stati chiari e, per quanto stringati, esaurienti.
Il materiale iconico, statico e dinamico, poi, è stato sempre di qualità decisamente superiore.
Per questi motivi, una volta rimpatriati anche i ragazzi della Folgore, abbiamo deciso di andare a visitarli alla loro base di Livorno. Insomma, volevamo vedere come si diventa paracadutisti e come funziona l’arma conosciuta da tutti con il loro inno come folgore dal cielo.
 
La Folgore ha il suo quartier generale a Livorno ed è dislocata con la maggior parte dei suoi reparti in Toscana, mentre ha un reggimento genio nel Veneto.
Al suo interno ha tutte le specialità militari che la rendono autonoma e una scuola di addestramento che non ospita solo i propri allievi ma anche tutti coloro che vogliono avvicinarsi al mondo del paracadutismo, come altri corpi militari ad alta specializzazione, forze dell’ordine e altre organizzazioni civili. 
Per questo la chiamiamo Corpo di élite di massa. Non è ossimoro, ma pura verità, perché è composta da 5.000 specialisti.

La brigata Folgore è una Grande unità dell'Esercito Italiano che ha origine nel 1938, cioè poco prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, quando venne istituito un primo battaglione di fanti dell’aria, poi rinforzato fino a divenire l’unità paracadutista del Regio Esercito. Dopo i grandi successi della fascistissima arma aerea, il nascere di unità paracadutabili è stata una naturale evoluzione presso tutti gli eserciti di allora.
 
Queste prime foto che seguono sono state scattate in Afghanistan lo scorso anno.

 
 
 
 
 
 

 
Utilizzata in varie operazioni militari a target fortemente mirato, la Folgore si ricoprì di gloria nella battaglia di El Alamein, dove ebbe modo di presentarsi al mondo come unità dotata di grande preparazione e animata da grande eroismo. Purtroppo, in quella battaglia perdemmo 5.200 soldati italiani e 232 ascari libici, la cui memoria è rappresentata dal grande Sacrario Militare di El Alamein, a Quota 33 sulla litoranea per Alessandria.
I parà della Folgore combatterono ancora in Italia a fianco dei colleghi tedeschi Grünenteufel (Diavoli Verdi) per difendere la patria dall’invasione alleata, coprendosi sempre di gloria, come accadde nella Piana di Catania, ultima vera e propria battaglia campale del nostro paese.
Poi venne l’armistizio e per tutto l’esercito italiano iniziò un calvario senza fine. Non è questa la sede per parlare di quel doloroso capitolo, ma segnaliamo comunque come la Folgore avesse adottato in tempi non sospetti un grido di battaglia tutto suo al momento dell’assalto: mentre gli altri soldati andavano all’attacco gridando «Savoia!», i nostri parà gridavano «Palla!», come se stessero facendo una partita di pallacanestro…
 
Alla fine del conflitto la sola unità paracadutisti a rimanere in vita fu il Reggimento Paracadutisti Nembo già inquadrato nel Gruppo di Combattimento Folgore, che dopo anni di guerra come unità di fanteria convenzionale non disponeva più di effettive capacità di aviolancio.
Né queste qualifiche erano più ricostruibili, in quanto le condizioni di pace precludevano alle Forze Armate di disporre di unità di paracadutisti. Il Reggimento venne infatti convertito di lì a poco in una unità di fanteria convenzionale.
 


Tuttavia già nel 1946 venne formato a Roma il «Centro di Esperienze per il Paracadutismo Militare», rinominato l’anno successivo «Centro Militare di Paracadutismo», che con mezzi di recupero e nonostante mille difficoltà riuscì a riprendere una limitata attività addestrativa di paracadutismo militare.
Nel corso del 1948, con il progressivo rilassarsi delle condizioni di pace, il Centro si trasferì a Viterbo e attivò una Compagnia Sperimentale Paracadutisti, seguita da una seconda, che nel 1952 diede vita al Battaglione Paracadutisti.
Gli anni successivi videro una progressiva espansione del Centro, con l’attivazione di un Reparto Carabinieri Paracadutisti, di un Reparto Sabotatori Paracadutisti e di altre unità di supporto, e nel 1957 il Battaglione Paracadutisti diede vita al 1º Gruppo Tattico Paracadutisti.
Ricominciò così la lenta ma inarrestabile ricostruzione del nostro corpo di paracadutisti, fino ad assumere le dimensioni di brigata.
 
Il 10 giugno 1967, alla Brigata venne concesso il nome di «Folgore», e pochi giorni dopo il colore del basco divenne amaranto, per analogia a quello in origine dei paracadutisti britannici e successivamente adottato dalla maggior parte dei reparti militari paracadutisti in tutto il mondo.
Attualmente la Folgore ha reparti basati a Livorno, Pistoia, Siena, Pisa e Legnago, strutturati come segue:
Reparto comando e supporti tattici Folgore di Pisa, l’8º Reggimento genio guastatori paracadutisti Folgore di Legnago (VR), il 1° e il 9º Reggimento paracadutisti d'assalto (l’eroico Col Moschin) di Livorno, con tre compagnie di incursori paracadutisti (portano il nome Diavoli, come i tedeschi di un tempo), un reparto addestramento forze per operazioni speciali, una base di addestramento incursori (lo storico reggimento Nembo), il 185º Reggimento paracadutisti ricognizione acquisizione obiettivi, il 186º Reggimento paracadutisti Folgore di Siena, il 187º Reggimento paracadutisti Folgore di Livorno, il 2º Battaglione fanteria paracadutisti Tarquinia.
Il 23 ottobre la Folgore festeggia l'anniversario della battaglia di El Alamein (1942). Il Patrono è san Michele Arcangelo (29 settembre). 
 
 
 
 
 
 
Quando siamo entrati al comando di brigata, il capitano Marco Amoriello (PIO) ci ha presentati al generale comandante, Massimo Mingiardi, al quale abbiamo dedicato la foto d’apertura sotto il titolo e le foto qui sopra, compresa quella scattata nel suo ufficio.
Il generale, come si puà immaginare, si trova molto più a suo agio a scendere come folgore dal cielo che a stare dietro una scrivania a dirigere una unità che sa perfettamente da dove viene, che cosa è e dove sta andando.
La Folgore ha peraltro rischiato alcune volte lo scioglimento nella recente storia repubblicana, in seguito a dei piccoli fatti di cronaca (anche se localizzati) ma con forte impatto sull’opinione pubblica. Una volta qualcuno al Ministero della Difesa aveva addirittura preparato la minuta di un decreto di scioglimento. Nella mentalità dei finti pacifisti la demagogia è sempre in agguato.
Mpoi, anche nel caso della Folgore, il buonsenso è riuscito ad avere il sopravvendo.
Indubbiamente la presenza femminile nelle fila della Brigata ha notevolmente ammorbidito gli aspetti più, diciamo, goliardici del corpo di élite. E se vi capitasse di chiedere a dei parà della Folgore quante sono le donne paracadutiste in forza, vi sentirete rispondere «Troppo poche!».
 
La nostra visita si è portata sui campi di addestramento preliminari degli allievi, che costituiscono una delle soglie da superare per diventare a tutti gli effetti un parà.
Un ragazzo deve superare un breve ma intenso periodo di addestramento in una base inaccessibile della provincia di Livorno, dove gli istruttori insegnano i comportamenti da adottare e le regole tattiche da seguire. Ci sono dei percorsi di guerra da seguire senza commettere errori e senza lasciarsi sconfiggere dalle fatiche che certe operazioni richiedono.
La differenza tra il servizio militare obbligatorio e quello volontario sta nel fatto che chi entra nell’esercito sa che non è una passeggiata e ha tutta la volontà di superare le difficoltà che gli vengono messe sulla strada.
Quando sarà il momento si ricorderanno quello che hanno imparato. E dato che periodicamente i Paracadutisti vengono portati in un teatro di guerra, più sono selettivi e più sono sicuri di riportarli a casa.
E' duro l'addestramento tattico e chi non passa alla fase successiva, non diventa un parà. Tutti ci tengono e ce la mettono tutta e i veterani gli sanno raccontare perché è necessario tutto questo.
«Sono ragazzi che a casa venivano serviti e riveriti, – dice un istruttore, – il cui mondo era legato alla playstation. È un tuffo un po’ brusco nella realtà, ma vediamo che dopo lo shock iniziale scoprono che la vita reale è molto più gratificante di quella virtuale.»
 
Nell'addestramento cui assistiamo noi, gli istruttori danno gli obbiettivi agli allievi, poi li caricano sui camion e li scarichiamo come se venissero paracadutati. 
Anche i comandanti di squadra e di plotone devono seguire le istruzioni in tutto e per tutto. Si mimetizzano e si dispongono sempre secondo una fondamentale meccanica di difesa.
Nel percorso di guerra ci sono fili spinati, corsi d’acqua, cunicoli da passare, ma soprattutto boscaglie dove è facile perdersi se non si sanno usare strumenti e sensazioni.
Nelle foto vediamo, come si dispone un plotone mentre viene deciso il da farsi.
 
 
 
 
 
 

 
Lasciata la base di addestramento preliminare, siamo stati portati alla scuola di paracadutismo. E questa la parte più bella e suggestiva della Folgore.
Alla base di tutto c’è la forma ginnica, per cui i ragazzi si allenano in palestra quotidianamente, eseguendo in tutta sicurezza esercizi volti a imparare a conoscere gli effetti del vuoto e della caduta.
L’addestramento di base consiste nel seguire precise istruzioni e ripeterle fino all’automatismo. C’è un modo di camminare a bordo del velivolo per non cadere ai sobbalzi, c’è un modo di seguire le prassi, c’è un modo per lanciarsi con il paracadute. Tutto questo porta i ragazzi a gettarsi dalla porta del velivolo senza porsi alcun problema.
Ma prima di parlare dei tuffi, è bene spendere due parole sui paracaduti, perché sono una scienza vera e propria che meriterebbe da sola un capitolo nel nostro giornale.
 
Ci sono due tipi di paracadute, quelli per lanciare oggetti e quello per lanciare le persone.
I primi vengono utilizzati quortidianamente in Afghanistan, dove i rifornimenti degli avamposti avvengono quasi esclusivamente dal cielo, in zone dove i C130 non possono atterrare e dove gli elicotteri non possono essere utilizzati.
I paracaduti per lanciare rifornimenti possono raggiungere dimensioni fantastiche, basti pensare al lancio di un blindato Lince che pesa più di sei tonnellate. Richiede almeno tre paracaduti da oltre 700 metri quadri l’uno.
 
Sì, avete capito benissimo, 700 metri quadri. Se si pensa che un appartamento medio è sui 100 mq…
Ma si fa presto a fare i conti. Il raggio dei paracaduti più grandi è di 15 metri (ne vediamo in foto mentre vengono stesi per essere ripiegati). Raggio per raggio per 3.14 (15x315x3,14) porta a 706,40 metri quadrati. Moltiplicati per i tre paracaduti utilizzati insieme, siamo a 2.100 metri quadrati.
I paracaduti vengono poi disegnati in modo che aprendosi insieme le forme siano tali da far combaciare benissimo le tre superfici.
Gli oggetti lanciati vengono caricati su delle palette di legno, che a loro volta hanno una intercapedine di cartone deformabile per attutire il colpo.
 
Ovviamente ci sono anche paracaduti più piccoli, che di solito sono quelli usati dai paracadutisti che hanno esaurito il loro tempo tecnicamente stabilito come massimo.
E ci sono paracaduti molto piccoli che servono per innescare l'apertura di quelli grandi. Ne vediamo alcuni nelle foto che seguono.
Passano da Pisa anche i paracaduti che servono per frenare la corsa degli aerei che devono atterrare in spazi troppo corti. 
 
 
 
 

 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 

E così passiamo a parlare dei paracaduti dei nostri ragazzi.
 
Ci sono due tipi di lancio, quello automatico e quello libero.
Il primo è quello dei paracaduti la cui apertura è attivata dalla cordicella che rimane attaccata al corrimano dell’aereo. Dopo pochi metri di caduta il paracadute si apre e il parà deve solo guardare in alto per vedere se il telo è perfettamente rotondo. Se non lo è, il parà deve aprire il paracadute di emergenza, che va azionato a mano. Non accade quasi mai, ma dovesse accadere, i due teli aperti non si intralciano.
Questi lanci vengono fatti da un’altezza di 400 metri e la zona di atterraggio è abbastanza ristretta, perché gli spostamenti che i parà possono darsi sono minimali. L’aereo infatti, dopo un primo lancio torna sul posto e lancia la seconda squadra sulla stessa area.
L’atterraggio è morbido e comunque i ragazzi si sono addestrati in palestra sul come saltare a terra senza problemi.
 
Il paracadute a caduta libera è quello la cui apertura è azionata manualmente dall’uomo. Consente il lancio anche da altezze impossibili (hanno l’eventuale respiratore a ossigeno) che consente loro di arrivare del tutto inosservati sull’obbiettivo, ma soprattutto consentono di pilotare la caduta e il volo fino a raggiungere l’obbiettivo con una precisione millimetrica.
 
 

Ci sono vere e proprie competizioni sportive in tal senso, anche gestite dalla Folgore.
La caduta libera vuole che il paracadute sia dotato di una strumentazione elettronica indispensabile, consistente in un sensore rapporta la velocità di caduta all’aumento della pressione atmosferica. Qualora i parametri andassero oltre alla soglia consentita, il dispositivo apre da solo il paracadute.
Questo servirebbe, ad esempio, nel caso in cui il paracadutista dovesse perdere i sensi.
Il lancio libero è una delle pratiche più amate sia dai militari di professione che dai civili.
Ad addestrarsi presso la Folgore ci sono anche gli incursori di tutte le armi, perché quello che abbiamo visitato è l’unico vero centro di addestramento del nostro Paese.
 
Così come c’è una compagnia che ripiega i paracaduti ad uso industriale, c’è n'è un'altra che ripiega i paracaduti usati dalle persone.
Nelle foto che vediamo, vediamo la catena di montaggio di esperti che controllano e piegano i paracaduti sino alla confezione finale.
I dettagli che non si vedono sono tanti, come ad esempio i legacci che tengono insieme i cordini dei paracaduti: a frattura prestabilita in modo che si aprano secondo una precisa sequenza.
Anche l’impatto iniziale, quello dell’apertura del telo, ha una serie di accorgimenti che ammortizzano al massimo lo strappo.
 
 
 

Qui sopra, il paracadute di emergenza 
Sotto, un paracadute ad uso sportivo 
 

 
 
 
 
 
 

Per quanto riguarda i lanci, ovviamente il primo tuffo è il momento più atteso dagli allievi, perché solo da quel momento saranno dei parà a tutti gli effetti.
Se l'addestramento completo è costituito da una serie di step findamentali, quello del primo tuffo è certamente il più carico di significati.
Sarà anche solo un inizio, come dicono gli istruttori, ma è il più importante nella vita dei nostri ragazzi. Come il primo amore, non lo scordano più.
Perché i lanci avvengano sempre nel momento e nel luogo programmato, sono necessari (come sempre nelle esercitazioni militari) disciplina e procedure da rispettare. Il modo di stare a bordo, di spostarsi in volo, di camminare verso il portellone, di lanciarsi nel vuoto, sono operazioni che vengono fatte e rifatte finché non diventano parte dell'essere paracatudista. 
In una parola, addestramento senza tregua.   

Per farlo, la Folgore conta su alcuni C130 dell’Aeronautica militare che fanno base all'aeroporto di Pisa.
I rapporti fra Folgore e Aeronautica sono ottimi, ma risulta sempre più evidente che la brigata avrebbe bisogno di aerei propri. Non tanto per le missioni militari, in cui la cooperazione è al di sopra di ogni critica, ma nell’addestramento le prassi burocratiche sono lente e farraginose.
Tradotto in termini pratici, la visione operativa dell’Aeronautica è molto meno elastica di quella della Folgore. Ci sono dei momenti in cui l’Aeronautica non può prendere il volo, mentre i parà a volte dovrebbero andare in missione anche in condizioni proibitive.
A quanto ci è dato di sapere, comunque, è allo studio del Ministero della Difesa l’acquisto di un paio di Dornier. Noi ce lo auguriamo.
 
Nelle foto che seguono, le immagini della nostra visita alla Folgore.
Ripetiamo che si tratta di una delle unità più complete e autonome del nostro ordinamento militare.
Nel corso dei sei mesi trascorsi in Afghanistan, hanno inviato al nostro giornale una grande quantità di foto, una più bella dell’altra. Qualcuna la riprendiamo anche in questa sede, ma invitiamo i nostri lettori a visitare i 200 articoli della Pagina Afghanistan.
Anche la Folgore ha avuto i suoi caduti nella missione in Afghanistan. Il nostro rispetto e il nostro dolore va a tutti i militari caduti, che anzitutto sono dei ragazzi, i nostri ragazzi.
Ma ogni volta che muore un paracadutista della Folgore, se ne va un italiano ad altissima specializzazione, non solo militare.
Come abbiamo promesso al dirigente dell’Ufficio per la pubblica informazione, torneremo a Pisa, perché la Folgore è una unità che non finisce mai di stupire.
 
Guido de Mozzi
g.demozzi@ladigetto.it   
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
Infine, il filmato di un lancio visibile tramite questo link.

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande