Protonterapia: la si farebbe anche oggi in piena crisi?

Il dottor Flor, direttore dell'APSS, risponde così: «La domanda di riserva qual è?»

La domanda gliela abbiamo posta in privato, cioè non in pubblico perché alla fin dei conti non avevamo nessuna intenzione di mettere in imbarazzo il Trentino, e soprattutto volevano una risposta sincera. Dettata dal buonsenso.
E comunque sappiamo che in dieci anni ne cambiano di cose. Basti pensare alla sovrappopolazione degli orsi: a suo tempo erano ben pochi i contrari, anzi.
Nel 2002, la Provincia era alla ricerca di un progetto importante da affidare alla ricerca di illustri scienziati operanti nel campo della medicina, per continuare una tradizione che ha sempre caratterizzato il nostro Trentino.
 
Molte le opzioni sul tavolo, finché qualcuno approvò l’idea di realizzare un centro di Protonterapia. Ovvero un sistema di qualche era glaciale successiva al Cobalto impiegato all’ospedale di Borgo negli anni Cinquanta, ma ugualmente – come oggi – all’avanguardia.
Pochissimi i precedenti, ma lusinghieri. E, con l’esperienza altrui (soprattutto gli errori) messa a capitale, l’ultima generazione del sistema ai protoni sarebbe dovuta diventare un fiore all’occhiello dell’Europa.
In America ce ne sono solo due all’avanguardia come il nostro, uno sulla East Cost, uno sulla West.
Per la fine del 2013 i centri europei completati saranno più di due, insieme a noi anche se sono partiti prima di noi con promesse temporali rigorosamente non mantenute.
 

Tra un anno il centro di Protonterapia sarà terminato. 

Ora tocca a noi, perché alla fine del 2013 dovrebbe entrare in funzione a pieno regime il centro di protonterapia, che consiste in una terapia che permette di focalizzare un fascio di protoni direttamente sulla massa tumorale, consentendo così un trattamento meno invasivo e dannoso per la parte sana del corpo rispetto a qualsiasi altra radioterapia.
La possibilità di colpire solo il DNA delle cellule malate, lasciando intatte le sane, fa di questa cura l’ideale per recuperare bambini, i cui tessuti sono molto ma molto più delicati di quelli degli adulti.
 
L’aspetto che più colpisce di questa cura che sta per sorgere a Trento Sud è la fisionomia del day-hospital.
Al di là dei tempi che richiede la preparazione del paziente, l’applicazione della protonterapia dura all’incirca un minuto e viene accostata al paziente due o tre volta la settimana.
Dopo l’applicazione, proprio perché meno invasiva di altre cure similari, il paziente se ne torna a casa, verosimilmente con una qualità della vita più che accettabile.
A monte di tutto, è bene saperlo, le cellule malate devono appartenere a tessuti od organi non vitali, perché si tratta comunque di distruggere cellule, non di curarle.
 

 
Il centro trentino che sta per essere completato, consta di tre piani da 4.000 metri quadri, per un totale di 36.000 metri cubi.
Al piano terra ci sono le preziosissime macchine, attualmente in fase di avanzato montaggio.
Per accedervi ci sono dei passaggi apparentemente angusti, ma fondamentali per impedire usi distorti o disattenti del sistema.
Il quale è formato da un acceleratore (foto sopra) che svilupperà un range di energia che va dai 140 ai 220 MEV (Mega Elettro Volt), potenza che permetterà di curare anche il melanoma uveale e i tumori della base cranica e della colonna vertebrale, tumori alla prostata, al polmone, al fegato, all’esofago e al distretto cervico-cefalico.
 
Per costruire tutto questo (i tempi sono stati rispettati) sono necessari 200 milioni di euro.
Una cifra fantastica, anche perché il terreno va conteggiato a parte, in quanto frutto di un cambio merce con l’esercito, quantificabile nel carcere di Gardolo e nella cittadella militare che sta sorgendo a Mattarello.
Ovviamente a latere del centro di Protonterapia sorgerà il Nuovo Ospedale del Trentino, col quale va suddiviso il costo del terreno.
Ma resta pur sempre una cifra di poco inferiore alla metà del NOT.
Di qui la nostra domanda al dott. Flor, direttore dell’Azienda sanitaria trentina.
 
 
Il dottor Luciano Flor, direttore dell'APSS e il prof. Renzo Leonardi, padre del progetto. 
 
Dott. Flor, perdoni l’indiscrezione, ma oggi, con la crisi che imperversa ormai da quattro anni, un centro così lo fareste ugualmente?
Flor sorride, dopo aver assistito alla pragmatica difesa ufficiale del progetto sia da parte del padre naturale Renzo Leonardi che del ministro Renato Balduzzi.
E (sottovoce ma in maniera decisa) ci risponde in tutta sincerità:
«La domanda di riserva qual è?»
 
GdM.