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Back from Kenya/ 4 – Due giorni nella comunità di St Martin

Dove il recupero esiste. Dove c’è speranza per tutti. E non solo speranza

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Dopo aver lasciato Tabaka e il prezioso ospedale di Padre Avi, siamo andati a St Martin, che si trova a Nyahururu.
Una giornata di viaggio, parte su strada asfaltata, parte sterrata. Molti tratti di strada sono in costruzione, il che fa pensare alla volontà dello stato nella modernizzazione del Paese. E tanto lavoro per i Kenioti.
Verso sera siamo arrivati in una delle dependance della Missione. Siamo stati accomodati in una bellissima casa costruita anni prima da un locale campione olimpico di maratona, poi caduto in disgrazia. L’associazione Saint Martin, che si occupa di recuperare bambini in difficoltà, ha acquistato alcuni immobili che erano stati di sua proprietà. Il suo nome sarà ricordato ancora, nel bene.
Accolti come sempre con grande ospitalità, abbiamo passato la notte in quella villa-ostello, per poi dedicare le giornate successive alla visita delle loro istituzioni.
Il loro consiglio di amministrazione ci ha illustrato le attività principali e le problematiche di tutti i giorni.
Le attività sono sostanzialmente tre.
Il recupero dei ragazzi di strada, il programma comunitario dei ragazzi disabili e l’accoglienza delle ragazzine oggetto di violenza da parte dei propri familiari.
 
 
 

 
Il recupero dei «ragazzi di strada».
In Kenia sono tanti, perché in sostanza sono quelli che non possono contare su una propria famiglia e non sono stati avviati a un percorso scolastico. Vivono di micro violenze, di espedienti e senza una fissa dimora.
Come si può capire, l’attività principale del centro consiste nel convincere i ragazzi a lasciare la strada, garantendo loro sempre la possibilità – qualora lo volessero – di… tornare sulla strada.
Il programma è rivolto anzitutto alla formazione dei volontari che devono occuparsi dei ragazzi. Ma ha anche tre centri direttamente dedicati al recupero e al soccorso di bambini bisognosi di cure e protezione.
Dopo la riabilitazione questi ragazzi vengono reintegrati nella comunità di origine, con i genitori o con i parenti, con genitori adottivi o famiglie in affido.
Al St Martin si presta molta attenzione e cura ai bambini che hanno vissuto nella violenza, attraverso l'inserimento in centri di recupero e il sostegno nel superamento del trauma. Sono delle strutture dove trovano servizi igienici dignitosi, cucine ben funzionanti, comodi posti per dormire, possibilità di giocare e di praticare sport. E un centro scolastico, che rimane alla base del loro recupero effettivo.
È sempre attivo un servizio di consulenza legale e di assistenza per la reintegrazione nella comunità, ma i responsabili del St Martin cercano anche di migliorare le condizioni economiche dei genitori, magari attraverso lo sviluppo di piccole attività economiche e l'accesso al microcredito.
  
 
 

 
Il Programma comunitario per disabili.
Anche questo programma punta anzitutto a formare volontari capaci di occuparsi dei disabili. Si tratta di operatori volontari che aiutano a ridurre il peso della disabilità e a migliorare le condizioni di vita delle persone che con la disabilità devono passare tutta la vita.
I volontari così formati riconoscono, guidano e offrono consulenza alle famiglie di appartenenza e le sostengono nell'assistenza dei loro figli con disabilità. Ne curano la riabilitazione medica grazie alla fisioterapia e ad altri interventi medici. Quindi cercano di inserirli a scuola, di reintegrarli nelle loro famiglie e nella comunità, e – cosa non da poco – di convincerli ad avere fiducia in sé.
A monte di tutto, c’è un’importante attività di carattere sociale, morale e culturale, perché la popolazione locale è portata a considerare «maledetti» i bimbi che nascono con disabilità. Per questo viene fatta formazione a gruppi di genitori cui dare supporto emotivo e, anche in questo caso, favorire il miglioramento economico delle famiglie.
A noi sono state mostrate le scuole per disabili del Centro, le attività economiche nelle quali sono stati inseriti e i centri di socializzazione dove cercano di vivere come se non fossero portatori di handicap.
Un lavoro fantastico, davvero sostenuto da una grande volontà di far del bene, perché – diciamolo pure – se la vita per i ragazzi disabili è dura anche nel mondo Occidentale, ci si può immaginare quanto possa esserlo in un paese come il Kenia.
Il nostro approccio è stato diretto. I ragazzi portatori di handicap ci sono stati presentati come ragazzi normalissimi, tutti inseriti nel ciclo produttivo che la missione ha messo in piedi appositamente per loro.
Li abbiamo visti all’opera e ci sono sembrati tutti perfettamente inseriti. Chapeau!
La sera, invitati dalla direzione del centro, siamo andati a far baracca con loro.
 
Una grande cena a base delle solite verdure keniote arricchite con carne di capra, conclusa con un dolce tipicamente europeo, ci ha consentito di condividere la serata con quei ragazzi che alla fin dei conti han bisogno solo di essere considerati uguali.
Una grande cantata dopo cena e un ballo scatenato ci hanno dimostrato che tutto il mondo è uguale, ma soprattutto che tutti gli esseri viventi sono uguali, anche quelli che la natura ha voluto «meno uguali» degli altri. Tutti noi abbiamo adottato un giovane e ce lo siamo seguito fino alla fine della serata.
Quello che più mi ha commosso è stato un giovane che non ha l’uso delle gambe, la cui passione – neanche dirlo – è il ballo… Beh, effettivamente riesce a ballare tenendosi con le braccia sul tavolo e scuotendo il corpo esattamente come si fa con le gambe. Il ritmo è dentro di noi e lo si segue con quello che la natura ci ha concesso di usare...
Questa esperienza è stata forse la più dura perché la più vicina alla sofferenza vera.

 
 
 
 
Programma per la non violenza attiva e i diritti umani.
Detto brutalmente, questo programma si preoccupa di recuperare le bambine che hanno subito violenza in casa propria. Da parte del papà o degli zii.
Un argomento squallido in Italia, terribile in Africa.
Il contatto con le bambine che sono state oggetto di violenza avviene solitamente per il tramite della magistratura. Quando cioè un genitore o un parente viene condannato o semplicemente accusato di aver abusato della bimba. Il giudice cerca di solito una comunità in grado di ridare serenità alle piccole, e quella di St Martin è una delle più cercate.
Il programma delle volontarie (tutte professionalmente dotate e moralmente attrezzate) è quello di far crescere le bambine nel modo più normale possibile.
Noi siamo andati a visitare un centro di accoglienza e abbiamo mangiato con le piccole. Sembravano affiatate e felici, ma abbiamo voluto lo stesso chiedere loro se erano felici di stare nella comunità o se avrebbero preferito tornare a casa.
Tutte, in coro, ci hanno gridato che preferivano stare lì…
Tuttavia il lavoro delle assistenti è quello di non far dimenticare le proprie origini, perché prima o poi dovranno pur tornare alla loro casa. Le bimbe non dimenticano mai la loro famiglia e hanno difficoltà a comprendere che il padre o il parente che ha abusato di loro lo abbia fatto per far loro del male…
Un concetto che sta nella natura delle cose, ma terribile da accettare, perché ci si deve augurare che prima o poi vogliano tornare a casa e che vi trovino l’affetto che tutte hanno il diritto di trovare tra le mura domestiche.

Guido de Mozzi 
g.demozzi@ladigetto.it

(Continua)

(Precedenti)

Tramite questo link l'album fotografico di St Martin.
 
 
 
 
 
 

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