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Fisherman’s Friend Strongmanrun trionfa – Di Daniela Larentis

«La gara più pazza del mondo, un successo annunciato. E confermato»

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La gara di corsa più pazza del mondo. Questa è la Fisherman’s Friend Strongmanrun, un successo annunciato.
Nato in Germania nel 2007, il mitico evento si è poi e esteso a macchia d’olio in altri paesi europei, come la Svizzera, il Belgio, L’Olanda, la Francia fino ad arrivare per la prima volta in Italia nel 2012, a Rovereto.
Chi non ricorda la fiumana dei partecipanti (furono 2.600, molti dei quali travestiti in modo buffo), avanzare con caparbietà lungo quei 18 chilometri disseminati di ostacoli, l’anno scorso?
 
Quest’anno i partecipanti sono stati ben 5.000, tutti accalcati di fronte al Museo di Arte Moderna (MART) di Rovereto, in C.so Bettini, molti dei quali vestiti in modo assai bizzarro (abiti da carcerati a strisce bianco-nere, da vichinghi, da scozzesi e chi più ne ha più ne metta hanno fatto bella mostra di sé, impressionando turisti e curiosi).
Una marea di gente alle 14.OO di sabato 21 settembre si è lanciata, fra l’entusiasmo generale, lungo il percorso di 19 chilometri disseminato di tredici nuovi ostacoli naturali e artificiali, speranzosa di raggiungere, dopo aver effettuato due interi giri di 9,5 chilometri ciascuno, l’agognato arrivo e poter così ricevere in premio la maglia commemorativa del Finisher e la medaglia, a ricordo di una giornata per molti indimenticabile (consegnati solo a chi è riuscito a terminare l’intero percorso entro il tempo limite di tre ore e mezza).
 

 
Circa a metà del primo giro, gli eroici corridori a caccia d’emozioni si sono poi gettati, dopo aver superato ben sei ostacoli, nelle fresche acque delle piscine comunali del Centro natatorio, per poi emergere trionfanti e dirigersi lungo il Leno a passo sicuro, prima verso il castello, e poi verso il centro cittadino, non prima di aver affrontato una ripida salita a cui è seguita un’altrettanta incredibile discesa.
L’ultimo ostacolo, il n. 13, denominato «a ruota libera» ha dato la mazzata finale con i suoi 2500 pneumatici intervallati da due container di fieno da scavalcare correndo (il numero 10, il «Brooks hay sierra», un muro di fieno alto cinque metri, aveva già messo a dura prova gli allergici).
Uno dei più inquietanti, a mio avviso, è stato il n.11, il «War but in peace», una serie infinita di tronchi da superare, un vero incubo per molti, mentre il n. 12, il «White blood lagoon», consisteva in una vasca di schiuma da attraversare).
 
Certo è che anche prima, immergersi nel fango, superare un’erta collina di sabbia, guadare il torrente Leno (dopo il bagno in piscina), evitare l’insidia di un terreno a tratti notevolmente accidentato, superare gli ingannevoli ostacoli con il continuo rischio di scivolare e cadere, non è da tutti.
Credetemi. Ci vuole anche coraggio. E loro quel coraggio ce l’avevano davvero!
 

 
Ma quali caratteristiche deve possedere il runner che decide di sfidare un tracciato di gara coinvolgente come quello?
Innanzitutto deve a mio avviso non essere lento, ma agile nel salto, bravo a nuotare (deve almeno potersela cavare), essere tenace e direi allenato e deve anche avere fiato.
Direi che non deve essere imbranato. Deve poi essere amante delle sfide, avere un carattere un po’ goliardico (deve amare il divertimento che questo tipo di gara offre) e al contempo deciso, non deve essere timoroso, ma determinato.
Deve anche essere corretto, leale e deve saper aiutare, se si dovesse presentare l’occasione per poterlo fare.
 
In una parola deve essere sportivo.
Lo è chi pratica uno sport, ma non basta. Esserlo significa anche sapersi mettere in gioco con la consapevolezza che nella vita ora si vince, ora si perde, e l’importante è partecipare e impegnarsi a migliorare.
Essere sportivo vuol anche dire che pur desiderando la vittoria, naturalmente, si è disposti a riconoscere il valore di un avversario, magari migliore, significa imparare a gioire per lui quando taglia il traguardo prima di noi.
Significa acquisire una maggior consapevolezza della natura umana. Perché alla fine è questo che lo sport insegna, a prescindere dai risultati.
 

 
Osservando tutte quelle persone correre non ho potuto che chiedermi cosa le spingesse a farlo, al di là della divertente sfida che un’occasione come questa offre.
Ho riflettuto sul fatto che chi corre lo fa in parte, almeno inizialmente, per sentirsi in forma, ma poi sono giunta alla conclusione che chi lo fa è per il puro piacere di farlo.
La corsa deve attrarre, c’è ben poco da aggiungere. E’ un richiamo che attira e travolge.
Una passione che una volta provata difficilmente si spegne (chi inizia a correre, non smette facilmente, se non per ragioni di salute…).
 
Descrivere all’arrivo quei volti stravolti dalla fatica, arrossati, imbrattati di schiuma, sudati e attraversati tuttavia da sorrisi che definirei beati, è quasi banale.
Eppure, leggere l’emozione sui tratti di quei volti mi ha, mio malgrado, emozionata.
E ancora una volta ho avuto la conferma di un mio convincimento e cioè che tutto ciò che si ottiene attraverso la fatica e l’ impegno (senza escludere per forza di cose il divertimento) offre una profonda gioia e un autentico appagamento.
 
Daniela Larentis
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 
 
  
 
 

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