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Grande Guerra, la vergogna del Lager dell'Asinara – Di A. Pattini

Furono 15 mila i decessi per colera, tubercolosi, malaria e fame tra i prigionieri austroungarici nella guerra 1914-1918. Ma anche nel 1919 a guerra conclusa

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 Verso il Centenario della Grande Guerra – Di Alberto Pattini
L'ecatombe dell'isola dell'Asinara. L'episodio più triste e penoso della guerra italiana.

Cicerone duemila anni fa ci ha lasciato una significativa frase «Restare nell'ignoranza di ciò che accadde prima che fossimo nati significa rimanere per sempre bambini».
Ecco perché le nuove generazioni devono conoscere anche quanto accadde nel campo di concentramento dell'Asinara durante la prima guerra mondiale.
 
La storia vergognosa del lager dell'Asinara comincia, per i prigionieri austroungarici, nel 1914 a seguito delle tre offensive lanciate contro la Serbia e delle successive controffensive serbe, l'ultima delle quali era culminata con la ripresa di Belgrado che comportò la cattura di 40.000 austroungarici.
In tutto i prigionieri austroungarici dei serbi furono circa 76.000 e di questi fino a ottobre 1915 ne morirono di colera, malattie e congelamento circa 29.000.
 
Tra i reparti dell’esercito austriaco mandati in Serbia nell’agosto 1914 vi furono anche formazioni di soldati tirolesi, tra le quali alcune reparti di Landsturm tirolesi: il reggimento n. 1 (circa 2.000 uomini del gruppo di lingua tedesca e 1.000 uomini del gruppo ladino e italiano) e il reggimento n. 2.
A questi si aggiunsero successivamente tre reparti di mitraglieri del II reggimento dei Landesschützen e nei mesi successivi il battaglione n. 27 del Landsturm oltre a un altro reparto di mitraglieri del I reggimento I dei Landesschützen.
 
Nell'ottobre del 1915, Austria, Germania e Bulgaria attaccarono questa volta la Serbia a tenaglia impedendo ai serbi sconfitti una facile ritirata verso la Grecia.
I serbi, nella ritirata, passata sotto il nome di marcia della morte, portarono con sé, senza averne i mezzi, circa 50.000 prigionieri (di varie nazionalità soggette tedesche, italiane comprese) e attraversarono in fuga il Montenegro e l'Albania giungendo fino a Valona.
Qui arrivarono circa 24.000 prigionieri sopravvissuti (una violenta epidemia, oltre a stenti inenarrabili, aveva colpito gli sventurati nel corso della marcia della morte), che furono consegnati agli italiani, mentre un altro troncone dell'esercito serbo in fuga arrivò a Durazzo e poi fu trasportato a Corfù per essere riorganizzato dai francesi.

I prigionieri austroungarici presi in carico dagli italiani dovevano, una volta ristabiliti, essere consegnati alla Francia, a seguito di accordi intercorsi con la Serbia.
Gli Italiani li trasportarono quindi all'Isola dell’Asinara (Lazzaretto di fine '800) con un ponte navale nel periodo che va da dicembre 1915 a metà gennaio 1916.
Qui giunti morirono altri 5.000 prigionieri (sempre a causa del colera e degli stenti subiti per la lunga marcia). Di molti non si conobbero nemmeno i nomi. Nel corso del solo viaggio di trasferimento da Valona all’Asinara ne furono gettati a mare, morti, circa 1.500.
 
Giunti a terra, i prigionieri si trovarono di fronte a un'isola disabitata, senza acqua e senza nessuna costruzione in pietra. I malati furono ospitati in tende, situate tra i cespugli, mentre gli altri andarono a rifugiarsi sulla montagna.
Data l'assenza di qualsiasi organizzazione ospedaliera, la mancanza di cibo e di ricoveri, il numero delle morti fu nei primi giorni altissimo.
 
Scrive il gen. Giuseppe Carmine Ferrari, comandante militare dell’isola: «Nessuna parola potrà mai descrivere lo spettacolo offerto dallo sbarco di quei disgraziati. (…) Essi più non conservavano l’aspetto dell’uomo civile e il loro sguardo avido fissava i soldati italiani, quasi a implorare soccorso per la più grande delle sofferenze loro, per quella che tutte le altre vinceva: la fame».
Prima del 6 gennaio 1916 erano morti già 1.300 prigionieri (lettera di Salandra a Sonnino del 6 gennaio 1916, in S. Sonnino, Carteggio I9I4-I9I6, a cura di P. Pastorelli, Bari 1974, pp. 661 sg.).
Il 7 gennaio si verificarono 128 morti, 168 l'1l, 181 il 12, e così via per le prime tre settimane di gennaio. La situazione migliorò in seguito, ma ancora a marzo risultava una media di circa 10 morti al giorno, soprattutto per tubercolosi (dal 6 gennaio al 13 luglio si registrarono 1.424 morti): cfr. Ministero della Guerra, Comando del Corpo di Stato Maggiore, Ufficio Storico, G. C. Ferrari, Relazione del campo di prigionieri colerosi all'isola dell'Asinara nel I91'5-I6, Roma 1929, pp. 18 sgg., 26-45, 122 (Ferrari era il generale comandante il presidio dell' Asinara). Cfr. anche Mortara, La salute pubblica in Italia cit., pp. 385 sgg.
 
A luglio del 1916 i prigionieri guariti - circa 16.000 ( perché gli italiani trattennero gli ufficiali, i prigionieri di lingua italiana e tedesca se germanici) furono consegnati alla Francia.
Tra i trattenuti i sud-tirolesi (di lingua tedesca e di lingua italiana) di cui si è trovata una esile traccia nel Bollettino dei Richiamati edito nel periodo della guerra.
Da notizie dell’aprile 1916 tra i sopravvissuti ci furono circa 300 prigionieri di lingua italiana (trentini e dalmati). Di alcuni soldati trentini sono stati rintracciati i nominativi, consentendo una ricostruzione della nostra storia, così come dei soldati austriaci dell’attuale Sud-Tirol Alto-Adige fatti prigionieri dall’esercito italiano successivamente dal luglio 1916 al novembre 1918 e morti all’Asinara per malattia.

Ma la storia dei campi di concentramento dell’Asinara non finisce qui soprattutto per i Trentini.
A guerra conclusa, dal novembre 1918 ai primi mesi del 1919 furono tradotti nei campi di concentramento dell’Asinara circa 300 trentini ex-prigionieri dei russi che, rientrati in Italia per riabbracciare le proprie famiglie, furono bloccati a Innsbruck dall’Esercito italiano in quanto sospettati di propaganda bolscevica e tradotti quindi all’Asinara per un periodo di «osservazione», prima della loro definitiva liberazione a seguito di pressanti richieste del Vescovo di Trento. S.E. Mons. Celestino Endrici.
 
Lo stato italiano ha sempre negato trattamenti inumani all'Asinara e la storiografia ufficiale ha sempre citato la stessa fonte: la relazione del generale Giuseppe Carmine Ferrari, all’epoca comandante del presidio dell’Asinara.
Un volume del 1929, ingiallito e quasi introvabile, «I documenti sulla vicenda custoditi nell’archivio dell’Esercito a Roma sarebbero spariti», afferma il ricercatore cagliaritano Alberto Monteverde esperto della Prima guerra mondiale, cercava gli originali della relazione del generale.
«Ho trovato le cartelle, ma erano vuote. Nessuno ha saputo dirmi dove fossero finiti».
 
Una denuncia del trattamento disumano riservato ai prigionieri austroungarici e del regime disciplinare durissimo imposto dal comandante generale Giuseppe Ferrari fu pubblicata sull'«Avanti!» del 28 settembre 1919 con il titolo «L'ecatombe dell'isola dell'Asinara. L'episodio più triste e pietoso della guerra europea».
L'autore era il capitano italiano Giuseppe Agnelli.
Successivamente nel 1961 il capitano Giuseppe Agnelli di Lodi, ufficiale di commissariato, che fu testimone diretto, ci ha lasciato una copiosa documentazione.
Dalle sue pagine esce un quadro infernale delle condizioni del campo con i soldati che vivevano in condizioni inumane, spesso bastonati e lasciati morire di malattia: quindicimila vittime del colera e di tubercolosi.
 
Rimane uno degli episodi più tristi e penosi dell'intera guerra italiana, per la quale il Governo italiano dovrebbe fare ammenda in occasione del centenario 2014-2018.
Una vicenda che è stata nascosta per la vergogna, ma che a 100 anni di distanza dovrebbe emergere proprio «per non dimenticare».
Come diceva Cicerone, un Paese cresce solo se sa, se ricorda. Se ha il coraggio di guardare in faccia le proprie responsabilità. 
 
Alberto Pattini
(Il Taumaturgo

Le notizie sono state attinte dal libro di Luca Gorgolini: I dannati dell’Asinara. L’odissea dei prigionieri austro-ungarici nella Prima guerra mondiale, Utet, 2001 e  da Giovanni Terranova articolo di Vita Trentina del 2 dicembre 2010 «Quei Trentini all'Asinara per Cecco Beppe».
Nelle foto sotto il titolo, l’Ossario costruito sull’isola dell'Asinara dove riposano oggi le spoglie di circa 7.000 prigionieri austroungarici morti a causa del colera, tubercolosi, malaria e di stenti nel periodo 1915-1919.
Sono solo una parte, all'inizio venivano gettati in mare, rispetto ai 15.000 stimati.
Nelle immagini inserite nel teso, due cartoline dell'epoca di propaganda italiana sullo stato dei ricoveri sanitari sull'isola dell'Asinara, poi smentite il 28 settembre 1919 sulle pagine dell'Avanti dal capitano Giuseppe Agnelli di Lodi, ufficiale di commissariato sull'isola.

 

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