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Una exit strategy per la Crisi Ucraina/ 2 – Di Marco Di Liddo

Seconda parte: le quattro possibili evoluzioni della crisi

Le incertezze economiche e politiche, unite alla pressione russa, hanno fortemente influenzato le dinamiche di integrazione di Kiev in Europa.
Infatti, benché l’Accordo di Associazione sia stato ratificato dalla Rada lo scorso 16 settembre, la sua piena entrata in vigore è stata posticipata all’inizio del 2016.
Tale rinvio rappresenta un segnale evidente di come sia l’Ucraina sia l’UE, pur volendo lanciare un segnale politico congiunto, temano gli effetti negativi di un frettoloso ingresso ucraino nelle dinamiche e nelle strutture del mercato europeo.
Incertezze e incognite che gravano sul fronte governativo non possono che favorire la posizione dei ribelli del Donbass, ai quali il cessate-il-fuoco ha offerto significativi vantaggi militari e politici.
Per quanto riguarda il primo aspetto, l’interruzione delle ostilità ha permesso alle milizie di consolidare il controllo sui territori orientali e completare l’opera di convenzionalizzazione dei propri reparti militari.
Infatti, a partire da metà agosto, i ribelli hanno modificato la propria tattica militare, creando una macchina bellica del tutto simile ad un Esercito regolare.
Tale trasformazione, alla base dei recenti successi sul campo di battaglia, è stata possibile grazie all’afflusso di un crescente numero di volontari e mercenari stranieri, compreso un altissimo numero di russi, la maggior parte dei quali in possesso di addestramento militare.
Inoltre, appare ormai evidente, dall’incremento e dalla tipologia di mezzi e sistemi d’arma in dotazione alla RFN, del massiccio contributo russo. Secondo la NATO ed il governo Kiev, oltre ad equipaggiamento e sostegno logistico, il Cremlino ha inviato circa 4.000 uomini, seguendo lo schema dei «Little Green Men» visti in Crimea e realizzando una sorta di invasione soft.
 
La posizione di vantaggio ottenuta nelle ultime settimane e l’avvicendamento alla guida del movimento indipendentista lasciano presagire che i ribelli, nelle trattative future, potrebbero optare per una posizione negoziale dura, ossia per nulla disposta a rinunciare alla separazione da Kiev.
Tuttavia, lo spettro della secessione potrebbe essere semplicemente agitato per ottenere condizioni di grandi autonomia economica e politica in un eventuale riassestamento costituzionale del Paese.
Tale impressione è stata confermata dalla reazione che le RNF ha avuto all’indomani della legge sull’autonomia per le regioni orientali approvata dal governo di Kiev lo scorso 16 settembre.
Infatti, la nuova legislazione, che comunque garantiva alle autorità locali poteri ristretti, è stata accolta con freddezza dai ribelli.
Un elemento appare certo: la RFN è perfettamente cosciente di non poter essere battuta militarmente dal governo centrale e di poter approfittare e strumentalizzare, attraverso la sua potente macchina propagandistica alleata di Mosca, il risentimento della popolazione orientale nei confronti di un governo che, pur di sconfiggere e neutralizzare l’insurrezione, non ha esitato a sacrificare la vita di molti suoi cittadini con tattiche militari caratterizzate da un alto tasso di danni collaterali e di morti civili, spesso causate dal bombardamento indiscriminato di ampie aree urbane.
Tale riflessione obbliga a ricordare come, per quanto abilmente guidata e manovrata dall’alto e, parzialmente, dall’esterno, la rivolta anti-Euromaidan e contro il nuovo corso di Kiev attinge a sentimenti, simbologie, visioni del mondo e necessità socio-economiche fortemente radicate.
Tuttavia, in questo senso, appare preoccupante la diffusione, nelle regioni orientali, dell’estremismo pan-russo e pan-slavista collegato a movimenti moscoviti di estrema destra nonché dell’eurasismo e del radicalismo Nazional-Bolscevico.
Da questo punto di vista, le esperienze delle Repubbliche Popolari rappresentano l’incubatrice per una nuova ideologia anti-atlantica ed anti-europea che potrebbe strizzare l’occhio a movimenti e partiti anti-sistemici occidentali.
 
Il tentativo di sottolineare la dimensione autoctona dell’insurrezione e di limitare, almeno a livello politico e mediatico, il ruolo russo è reso evidente dal recente avvicendamento ai vertici della RFN.
Infatti, anche se la Presidenza della Repubblica e dell’Assemblea Parlamentare, funzioni prettamente cerimoniali e di coordinamento con Mosca, sono state affidate rispettivamente a Valery Kaurov e Oleg Tsarov, le massime istituzioni politiche e militari della Repubblica Popolare di Donetsk (RPD), la più potente delle due autoproclamate repubbliche indipendenti del Donbass, sotto diretti da personalità ucraine, quali Aleksandr Zakharchenko e Vladimir Kononov.
Anche i separatisti, al pari del governo di Kiev, hanno incontrato diverse difficoltà nella gestione delle proprie milizie.
Infatti, al contrario dei «volontari» russi, serbi e ceceni o dei combattenti russofoni precedentemente inquadrati nelle FA di Kiev o nei Berkut, molti combattenti reclutati tra la popolazione locale ha dimostrato di avere gravi problemi di indisciplina e di rispetto degli ordini, elemento che minaccia il rispetto delle tregue e degli accordi di cessate-il-fuoco.
Inoltre, anche i miliziani si sono macchiati di crimini ai danni della cittadinanza inerme.
Ne consegue che, al di là del sostegno e del presunto invio di personale russo al fianco dei separatisti, il Cremlino non sia in totale controllo della situazione sul campo.


 
In base alle variabili sinora analizzate e nell’incertezza sulla tenuta del cessate-il-fuoco e delle trattative tra governo e insorti, si possono individuare quattro possibili evoluzioni della crisi: 
 
1) Scenario «Conflitto Congelato».
In questo caso, le trattative tra RFN e governo ucraino non decollano, il cessate-il-fuoco viene pesantemente violato e riprendono gli scontri tra Esercito regolare e milizie separatiste.
La situazione di tensione e di guerra a bassa\media intensità potrebbe proseguire per mesi o addirittura anni, trasformando il Donbass in una «regione irredenta» sul modello della Transinistria, dell’Abkhazia o dell’Ossezia del Sud.
Tuttavia, a differenza dei casi citati, dove la forza militare e gli obbiettivi dell’insurrezione sono limitati e circoscritti, la guerra in Donbass potrebbe espandere ulteriormente il proprio fronte rispetto alle regioni attuali, spingendosi fino alle porte della Crimea a sud, e fino a Kharkhiv a nord.
Tale avanzata sarebbe eventualmente possibile solo grazie al massiccio sostegno russo sia in termini di uomini, equipaggiamento e mezzi, sia in termini di una contemporanea e massiccia psyop (information warfare, operazioni di influenza) da parte del GRU.
Appare evidente come una tali situazione di perdurante conflittualità sarebbe in grado di rallentare sostanzialmente o addirittura impedire qualsiasi incisiva azione di politica estera da parte del governo di Kiev, in quanto, al di là del problema di sicurezza in sé, non permetterebbe il raggiungimento di condizioni ottimali per procedere con l’integrazione NATO e europea. 
 
2) Scenario «Federalizzazione».
In questo caso, la cessazione delle ostilità potrebbe condurre ad un negoziato politico il cui fine ultimo sarebbe la modifica della Costituzione in senso fortemente federalista.
A quel punto, le singole regioni avrebbero ampi poteri e discrezionalità, riducendo le funzioni del governo centrale al minimo. In quest’ottica, i soggetti federati avrebbero poteri legislativi ed esecutivi concorrenti rispetto a Kiev in materia culturale, fiscale, economica ed amministrativa.
Le decisioni dal forte impatto sistemico e strategico come l’eventuale adesione alla NATO o la scelta tra integrazione europea ed integrazione nell’Unione Eurasiatica, dovrebbero essere approvate anche dagli organi locali.
Questo modello, che potrebbe essere ispirato alla Repubblica di Bosnia ed Erzegovina, garantirebbe quella rappresentatività politica ed economica tale da tutelare e promuovere i diritti delle anime occidentale\ucraina e orientale\russa del Paese, nonché di quelle cospicue minoranze, quali rumeni, ungheresi e ruteni.
Tuttavia, senza gli adeguati check and balance, anche questo scenario presenterebbe alcuni pesanti rischi nel medio lungo periodo, quali la ripresa delle istanze secessioniste delle regioni orientali oppure la presenza, all’interno dell’Ucraina, di un soggetto federale profondamente influenzato da Mosca. 
 
3) Scenario «Secessione».
Nonostante rappresentino il cuore industriale del Paese, il governo di Kiev potrebbe accettare, per scelta o per necessità, di accordare l’indipendenza alle due regioni del Donbass.
In quel caso il Paese, dopo una fase iniziale di smarrimento, potrebbe realizzare un ampio piano di modernizzazione economica e di riforma politica culminante con l’ingresso nella NATO e nella UE.
Tuttavia, i costi iniziali di questo processo sarebbero altissimi e non potrebbero essere affrontati senza un sostanzioso prestito del FMI o dell’UE.
Nel primo caso, la restituzione del denaro costringerebbe Kiev ad una prolungata politica di austerity e, dunque, azzopperebbe sul nascere le prospettive di crescita.
Il malcontento che ne deriverebbe potrebbe sfociare nella crescita del populismo nazionalista o nella nostalgia filo-russa\vetero-sovietica.
Nel secondo caso, in virtù della crisi economica, l’UE non sembra in grado di offrire un pacchetto di aiuti in linea con le necessità di Kiev. 
 
4) Scenario «Guerriglia».
Qualora le forze armate di Kiev prevalessero in modo netto ed inequivocabile sulle forze separatiste, queste potrebbero abbandonare le velleità del controllo del territorio per adottare una strategia basata sulla guerriglia, su attacchi «mordi e fuggi» e su atti di sabotaggio ai danni delle infrastrutture, delle istituzioni e dei simboli del governo ucraino.
Anche in questo caso, la macchina bellica, economica e propagandistica russa sosterebbe gli sforzi di queste fazioni «irredente».
Pur nell’imprevedibilità che caratterizza le dinamiche politiche e militari, appare possibile indicare, con cautela, quali scenari sono più realistici di altri. Al momento, lo scenario «Secessione» e «Guerriglia» sono quelli di più difficile realizzazione.
Il primo perché il governo ucraino, dopo aver perso la Crimea, non intende accettare una nuova decurtazione del proprio territorio, e perché gli oligarchi sono perfettamente consapevoli che, qualora il Donbass fosse annesso alla Russia, essi potrebbero perdere il proprio peso politico o, nel peggiore dei casi, le proprie fortune. Infatti, non è da escludere che le ricchezze del Donbass possano essere nazionalizzate dalla Russia oppure essere ri-distribuite tra i fedelissimi che hanno guidato l’insurrezione anti-Kiev.
Anche il secondo scenario ha pesanti esternalità, soprattutto per quanto riguarda il rapporto costi-benefici. Infatti, una campagna di guerriglia non avrebbe un ritorno politico adeguato alle necessità dell’agenda russa.
Di contro, alla luce della scarsa propensione al compromesso e l’assertività da parte delle due fazioni, lo scenario «Conflitto Congelato» appare quello più possibile nel breve-medio periodo.
Per quanto riguarda lo scenario «Federalizzazione», questo potrebbe rappresentare il punto di equilibrio tra governo e separatisti, tra tutela dell’integrità territoriale e diritto all’autodeterminazione dei popoli.
Naturalmente, per la sua realizzazione, quest’ultima ipotesi deve necessariamente confrontarsi con la variabile rappresentata dalla Russia e, soprattutto, trovare formule che consentano all’Ucraina di trovare una sovranità condivisa, cooperativa e non limitata. 
 
Marco Di Liddo - Cesi
Fine seconda parte
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