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Storie di donne, letteratura di genere/ 39 – Di Luciana Grillo

Malala Yousafzai e Christina Lamb: «Io sono Malala» (premio Nobel per la pace 2014)

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Titolo: Io sono Malala
Autrici: Yousafzai Malala, Lamb Christina 
 
Editore: Garzanti Libri, collana Saggi
Pagine: 284, rilegato
 
Traduttore: Cherchi S.
Prezzo di copertina: € 12,90
 
Quando Malala ha ricevuto nel 2011 il Pakistan’s National Youth Peace Prize, anche noi europei l’abbiamo conosciuta, abbiamo ammirato il suo coraggio, letto il suo blog e apprezzato l’impegno di questa ragazzina undicenne nel sostenere il diritto all’istruzione delle bambine.
Ma è stato nell’ottobre 2012 che abbiamo capito davvero quanto fosse incredibilmente incisivo l’intervento di Malala: tornando a casa da scuola, sul vecchio bus dove aveva trovato posto insieme alle sue compagne, un uomo ha tentato di ucciderla colpendola in pieno volto, per farla tacere definitivamente.
Malala non muore, sopravvive, viene curata in Europa, è invitata a parlare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite e candidata al Premio Nobel per la Pace.
E il Premio arriva: le sarà consegnato il prossimo 10 dicembre.
 
Una giornalista inglese, spesso impegnata in Pakistan e Afghanistan, Christina Lamb, aiuta Malala a raccontare la sua vita, e la ragazza lo fa, con la semplicità e la naturalezza che le sono proprie.
Tutto ha inizio in una valle remota del Pakistan, quando il padre di Malala fonda una scuola, un piccolo istituto primario misto.
«Si può dire che io sia cresciuta a scuola», – dice Malala. E ricorda che per i suoi compagni era un vero genio.
Non si ferma però qui, ad autocelebrarsi: descrive la sua famiglia povera, il continuo cambiar casa, le rivalità con le amichette, i piccoli furti che commette, la lettera di Lincoln tradotta in pashtu e incorniciata, gli eventi politici che hanno segnato gli anni della sua infanzia, l’arrivo in casa di un televisore, accolto con immensa gioia!
Intanto la scuola del papà attira sempre più studenti, tanto che vengono occupati tre fabbricati, ma per le ragazze frequentarla diventa sempre più difficile.
 
Un mullah dice: «Le ragazze non dovrebbero andare a scuola» e tutto si complica, mentre nasce una sorta di polizia della moralità, soffiano venti di guerra ed un terremoto di inaudita violenza scuote il Pakistan provocando migliaia di morti. Era il 2005.
Ma il peggio deve ancora arrivare: si comincia con l’impedire le vaccinazioni dei bambini, con l’obbligare le donne a indossare il burqa, con l’etichettare la scuola come occidentale e infedele, con il proibire l’ascolto della musica.
«I talebani ci portarono via prima la musica, poi i Buddha, e poi la nostra storia.»
È proprio un crescendo: privazione di diritti elementari, violenza, posti di blocco e mitragliatrici dovunque, migliaia di persone arrestate, indottrinamento di bambini…
Malala racconta senza esitazioni e fa conoscere a tutti noi, apparentemente sempre informati e connessi, quale sia la storia vera del suo Paese.
 
Ma è il 9 ottobre del 2012 che la sua vita subisce una incredibile sterzata, quando gli spari al volto rischiano di farla morire.
La Gran Bretagna si offre di curarla, va a Birmingham, la raggiungono genitori e fratelli, subisce interventi chirurgici e per mesi e mesi fa esercizi di riabilitazione, riprende a leggere con passione e il primo romanzo è «Il mago di Oz».
Dunque, Malala si riappropria della sua vita e quando ripensa a ciò che è successo o quando altre persone ne parlano, lei dice: «Io penso che sia la storia di Malala, una ragazzina a cui hanno sparato i talebani; non mi sembra che sia la mia storia».
E faticosamente ricomincia a vivere, ma «come mia madre, mi sento sola…Non mi capita spesso di pensare all’attentato, anche se ogni giorno il mio viso allo specchio me lo ricorda…Il mio mondo è molto cambiato…»
 
Malala è stata invitata a New York per parlare alle Nazioni Unite, il giorno del suo sedicesimo compleanno.
Non avevo scritto il mio discorso pensando soltanto ai delegati delle Nazioni Unite.
L’avevo preparato pensando di rivolgermi a chiunque nel mondo possa fare la differenza.
Volevo raggiungere tutte le persone che vivono in povertà, i bambini che sono obbligati a lavorare e quelli che soffrono a causa del terrorismo o per la mancanza di istruzione…speravo di parlare a ogni bambino e bambina che, ascoltandomi, possa trovare il coraggio di alzarsi per far valere i propri diritti.
Portavo uno dei veli bianchi di Benazir Bhutto…
Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne…sono le armi più potenti.
Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo.
 
Luciana Grillo

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