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La postura internazionale dell’Iran nell’era Rouhani/ 1

Un dossier aperto in occasione della visita del presidente iraniano in Italia – Prima parte. Di Gabriele Iacovino e Francesca Manenti

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Il presente lavoro si propone di presentare un punto di situazione sull’attuale politica estera dell’Iran. In particolare, scopo della pubblicazione è analizzare quali siano le priorità di interesse nazionale identificate dal Presidente Hassan Rouhani e quale strategia il leader centrista stia adottando per portare avanti con successo la propria agenda nel rispetto dei tradizionali equilibri interni.
A tal scopo, il report affronterà tre aspetti: in primis, il pragmatismo politico del Governo Rouhani. Si analizzerà la figura dell’attuale Presidente per analizzarne i tratti di rottura e di continuità rispetto al passato e delineare come questi influiscano sull’agenda politica del governo.
La seconda parte del documento sarà invece dedicata ad approfondire i due grandi temi per la politica estera iraniana sotto l’attuale presidenza: il riavvicinamento di Teheran alla Comunità Internazionale e l’espansione della propria capacità di proiezione di potenza in Medio Oriente. Si evidenzierà, in particolare, come i due dossier siano gestiti, seppur in modo sinergico, da Ministero degli Esteri, competente per i rapporti diplomatici, e Guardie della Rivoluzione, espressione del potere tradizionalista e detentore del dossier regionale. Un focus particolare sarà dedicato ai rapporti con l’Italia, all’interno del quale si analizzeranno le opportunità reciproche che un rilancio delle relazioni bilaterali potrebbe generare per i due Paesi, non solo in termini economici ma soprattutto politici.
Infine, il report approfondirà le prospettive future legate al reinserimento dell’Iran e come il termine della marginalizzazione internazionale di Teheran potrà influenzare gli equilibri regionali.
 
Il report trae ispirazione dal viaggio in Iran compiuto dal 7 al 15 giugno 2015 dalla delegazione del Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali, guidata dal Presidente, Prof. Andrea Margelletti, e formata dal Dott. Gabriele Iacovino, Responsabile Analisti dell’Istituto, e dalla Dott.ssa Francesca Manenti, responsabile del desk Asia.
Nel corso della visita, gli analisti dell’Istituto hanno avuto modo di incontrare rappresentanti dei principali Centri Studi, sia politici sia militari, iraniani, per avere proficui e reciproci scambi di idee su temi di attualità e comune interesse, quali la crisi in Sira e in Iraq, l’espansione di Daesh, la politica di Stati Uniti ed Unione Europea in Medio Oreinte, le possibilità di rilanciare le relazioni con l’Europa e, in particolare, con l’Italia.
Gli spunti emersi sono stati rielaborati ed integrati in un quadro organico che mette in luce come il riavvicinamento dell’Iran alla Comunità Internazionale proceda di pari passo con un incremento dell’influenza iraniana nello scacchiere mediorientale e come questi due binari della politica estera sotto la Presidenza Rouhani siano due facce di una medaglia necessaria per mantenere in equilibrio i tradizionali rapporti di potere all’interno delle istituzioni della Repubblica Islamica.
Il Ce.S.I. ringrazia vivamente tutti gli interlocutori che hanno acconsentito ad incontrare la delegazione e hanno reso possibile lo scambio di idee da cui questo report prende spunto. L’Istituto esprime la propria riconoscenza all’Institute for Political and International Studies (IPIS) per aver ospitato la delegazione, organizzato l’agenda e ogni dettaglio della visita. Un ringraziamento particolare va a Sua Eccellenza Jahanbakhsh Mozzafari, Ambasciatore della Repubblica Islamica d’Iran in Italia, e al Primo Segretario Mohammad Hassan Asef, per il prezioso supporto nell’organizzazione del viaggio.

 1. Introduzione  
Il 2015 sembra poter essere considerato un anno di importante svolta per le relazioni tra Iran e la Comunità Internazionale. La conclusione dello storico accordo sul programma nucleare tra Teheran e il gruppo dei così detti P5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania), avvenuta con successo a Vienna lo scorso luglio, ha segnato un momento di storica apertura da parte del governo iraniano, dopo quasi quarant’anni di isolamento e di diffidenza verso l’esterno.
L’intesa di Vienna, tuttavia, è stata il momento culminante di un processo di riavvicinamento alla Comunità Internazionale promosso e fortemente incentivato dall’attuale Presidente Hassan Rouhani che, ormai da due anni, ha fatto del dialogo con gli interlocutori internazionali una priorità strategica della propria agenda.
Fin dalla sua elezione nel maggio 2013, infatti, Rouhani ha guardato al termine del pluriennale isolamento dell’Iran come ad un’opportunità non solo per accrescerne lo status regionale, ma, soprattutto, per portare il Paese fuori dalla morsa delle sanzioni che avevano ormai stremato le già compromesse condizioni economiche interne.
L’attivismo diplomatico del Presidente, tuttavia, si è dovuto inevitabilmente modulare sulla tradizionale rigidità del sistema iraniano.
 
In un Paese in cui le priorità strategiche per lo Stato vengono formulate secondo un attento bilanciamento tra la sfera politica e l’establishment militare, espressione delle istanze più conservatrici, il nuovo governo ha dovuto agire con grande cautela per mantenere i delicati equilibri interni.
In Iran, infatti, i dossier sensibili per gli interessi nazionali, quali la politica estera e di sicurezza, non sono prerogativa dell’esecutivo ma della Guida Suprema, massima autorità politica e religiosa della Repubblica Islamica, che può delegare il governo alla gestione delle voci in agenda, ma a cui spetta, in ogni caso, l’ultima parola sulle decisioni in materia.
Per scongiurare che l’atteggiamento promosso dal proprio esecutivo potesse spingere gli ambienti più tradizionalisti, sia religiosi sia militari, da sempre più vicini alla Guida Suprema, a cercare di ridurre la libertà di manovra del governo, Rouhani, di fatto, si è trovato a dover fare un passo indietro nei confronti di alcune questioni considerate di interesse primario soprattutto per l’establishment militare.
Da ciò è derivato che, ora, la politica estera iraniana, sebben formulata in modo sinergico dalle istituzioni, si presenti sostanzialmente gestita su un doppio binario. Da una parte, il Ministero degli Esteri porta avanti le relazioni diplomatiche, l’affermazione del ruolo internazionale dell’Iran e il processo di normalizzazione delle relazioni verso l’esterno.
Dall’altro, l’apparato militare, in particolar modo le Guardie Rivoluzionarie (Pasdaran), gestisce le questioni di prioritario interesse per la sicurezza nazionale, quali il deterioramento delle crisi in Medio Oriente e la proiezione della potenza iraniana nella regione.

Hassan Rouhani - Wikipedia.

Tale divisione è diventata sempre più netta nel corso degli ultimi dodici mesi, nei quali il verificarsi di alcune contingenze internazionali ha portato l’Iran ad adottare una politica estera sempre più attiva: da un lato, lo sviluppo, lento, ma positivo, dei colloqui sul nucleare, dall’altro, il consolidamento di Daesh e la rapida avanzata della minaccia jihadista in Iraq e in Siria. In un momento in cui, per la prima volta in quasi quarant’anni, Iran e Comunità Internazionale si trovano a condividere alcuni punti nelle rispettive agende (in primis la lotta all’estremismo e al terrorismo), il procedere in parallelo delle due questioni non solo ha istituzionalizzato i due binari, ma ha soprattutto dimostrato come questa gestione sinergica, di fatto, stia risultando vincente per il perseguimento degli interessi nazionali e l’accrescimento dello status internazionale del Paese.
Rispetto ai rapporti con la Comunità Internazionale, il successo del tavolo di Vienna sembra aver inaugurato una stagione di prima, seppur ancora timida, ripresa delle relazioni tra il governo iraniano e diversi Stati occidentali, in particolare europei.
Se, infatti, i rapporti con gli Stati Uniti continuano a scontare la diffidenza costruita in quarant’anni di narrativa antagonistica, al contrario il governo iraniano sembra particolarmente solerte nel voler incrementare il proprio rapporto con l’Europa, sia in modo bilaterale con i diversi Paesi europei sia attraverso un dialogo diretto con Bruxelles.
La creazione di un iniziale rapporto di fiducia, inoltre, ha permesso all’Iran di veder riconosciuto il proprio ruolo di interlocutore affidabile e indispensabile per i precari assetti della regione mediorientale. Tale consapevolezza ha inevitabilmente portato quei Paesi particolarmente interessati agli sviluppi dell’attuale crisi in Medio Oriente a guardare con minor apprensione alla politica dell’Iran nei confronti dei propri vicini, poiché comunque orientata all’eradicazione del fenomeno jihadista dai territori siriani e iracheni.
 
In questo contesto, dunque, il rilancio dei rapporti diplomatici, portato avanti dal Ministero degli Esteri di Teheran, ha favorito l’implementazione dell’agenda regionale formulata dalle Guardie della Rivoluzione, alle quali il governo Rouhani ha ormai lasciato carta bianca per la gestione operativa del dossier siriano ed iracheno.
Questo impegno, finanziario e operativo, con cui le Forze iraniane hanno fino ad ora sostenuto i propri alleati a Baghdad e Damasco ha, di fatto, permesso a Teheran di rafforzare la propria influenza nell’area.
Il termine dell’isolamento internazionale, da un lato, e il rafforzamento dell’influenza iraniana nell’area, dall’altro, sembrano dunque destinate ad essere due importanti costanti nella politica di Teheran per gli anni a venire.
Ciò, tuttavia, potrebbe generare forti tensioni con altri Stati della regione, in primis con le Monarchie sunnite del Golfo, che guardano al rafforzamento del vicino sciita come ad un pericoloso fattore di destabilizzazione degli attuali equilibri di potere. Tra queste soprattutto l’Arabia Saudita, per la quale da sempre Teheran rappresenta il grande rivale sulla soglia di casa.
Nel prossimo futuro, dunque, la vera partita all’interno nel Medio Oriente potrebbe giocarsi proprio sulla contrapposizione tra Teheran e Riad per l’affermazione del proprio primato all’interno dello scacchiere mediorientale.
Benché questa rivalità sembra destinata ad essere giocata in mondo indiretto in teatri terzi, piuttosto che in uno scontro diretto e convenzionale tra i due Paesi, l’innesco di una vera e propria competizione militare potrebbe spingere Arabia Saudita e Iran a voler continuamente alzare la posta in gioco e sfruttare la rete delle rispettive alleanze regionali per cercare di indebolire il proprio rivale.
Questa scommessa al rilancio, tuttavia, potrebbe tradursi in un inasprimento della già controversa dialettica sunniti/sciiti, da sempre una delle principali fragilità all’interno della regione, e innescare così ulteriori pericolosi focolai di instabilità in un’area tanto complicata come quella mediorientale.
 
Ce.S.I.
(Continua)

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