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«Il nostro lavoro», mostra a Palazzo Trentini – Di Daniela Larentis

La rappresentazione del lavoro nell’arte trentina da fine Ottocento ai giorni nostri, a cura di Massimo Parolini, resterà aperta al pubblico fino al 25 giugno

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A Palazzo Trentini, in Via Manci 27, nel cuore della città di Trento, è da poco stata inaugurata innanzi a un folto ed entusiasta pubblico la mostra curata da Massimo Parolini dal titolo «Il nostro lavoro – la rappresentazione del lavoro nell’arte trentina dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri», con intervento del Presidente del Consiglio Provinciale Bruno Dorigatti. Resterà aperta al pubblico fino al 25 giugno 2016.
Si tratta di un progetto che si propone di unire una rappresentazione del tema del lavoro nell'arte trentina del Novecento (con qualche incursione di opere del ventunesimo secolo) a una riflessione artistica - di profilo più didattico ma comunque di espressione creativa - degli studenti di tre istituti provinciali legati alla progettazione ed alla produzione grafica, pittorica, scultorea e multimediale.
In mostra opere degli artisti tradizionali, storicizzati, dell'arte provinciale e qualche opera di giovani creativi che stanno realizzando delle serie ricerche artistiche.
Degli artisti storici sono presenti, tra l'altro, opere di Bartolomeo Bezzi, Eugenio Prati, Tullio Garbari, Umberto Moggioli, Fortunato Depero, Gino Pancheri, Luigi Bonazza, Gigiotti Zanini, Iras R. Baldessari, Benvenuto Disertori, Luigi Senesi, Aldo Schmid, Remo Wolf, Othmar Winkler, Eraldo Fozzer, Mauro De Carli.
 

 
Prof. Parolini, come è avvenuta la selezione degli artisti?
«Data l'importanza del tema del lavoro nella rappresentazione artistica del nostro territorio e l'attualità del ruolo del lavoro - nelle sue varie sfaccettature - nella società attuale, abbiamo pensato di proporre un'esposizione di opere d'arte di artisti trentini - con l'accezione di Don Simone Weber «trentini o operanti in Trentino» - che hanno affrontato nella loro carriera tale tematica. Autori compresi in un arco temporale che va dalla fine dell’Ottocento ad oggi.»
 
La mostra affianca opere di grandi artisti professionisti a opere realizzate da studenti, ci potrebbe dare qualche informazione a riguardo?
«All’esposizione tradizionale, di artisti professionisti (defunti o viventi), abbiamo voluto collegare un'attività progettuale e realizzativa di opere d'arte con varie tecniche (pittura, incisione, scultura, installazione, foto, video) da parte di alcuni gruppi di studenti frequentanti tre istituti d'istruzione artistica della Provincia di Trento: il Liceo artistico Alessandro Vittoria di Trento, l’Istituto d'arte Soraperra di Pozza di Fassa e l'istituto Pavoniano Artigianelli per le arti grafiche di Trento.
«Grazie ad un’attiva collaborazione da parte del Presidente Bruno Dorigatti e del dottor Tommaso Iori abbiamo attivato con alcune classi di tali istituti una riflessione sul tema del lavoro la quale, apportando elementi di memoria storica, ha stimolato gli studenti ad un approfondimento prima condiviso e quindi anche personale che si è concretizzato nell'ideazione, progettazione e realizzazione di alcune opere nel processo didattico scolastico tra le quali, una commissione giudicatrice ha prescelto alcuni prodotti da affiancare alle opere tradizionali in mostra.
«Oltre a tali opere artistiche, gli studenti hanno progettato e realizzato l’allestimento della mostra, delle riprese video delle principali opere pubbliche dedicate al tema del lavoro nel nostro territorio (che sono visibili nello spazio espositivo), la grafica del catalogo e del materiale divulgativo dell’evento. Infine, durante l’esposizione, gruppi di giovani si alterneranno nello spazio di Palazzo Trentini, realizzando attività grafiche e artistiche di varia tipologia.
«Tale declinazione scolastica può, a nostro parere, giovare in una doppia direzione: agli studenti in primis, come spunto per riflettere sul significato e la realtà del lavoro per la loro vita personale presente e futura; agli spettatori-fruitori della mostra e alla comunità nel suo insieme, come momento di condivisione con i giovani di un approfondimento intergenerazionale di estrema importanza.»
 

 
A proposito dell’elegante allestimento, molto curato e originale. Chi se ne è occupato?
«Devo ringraziare, per il loro lavoro straordinario, i colleghi della sezione design del legno Gianluca Pasquali e Nikolas Valletta che con le classi di architettura e ambiente (IVB) e design del legno e arredamento (IIIE e IVE) hanno progettato e realizzato l'allestimento della mostra, dando un tocco di grande raffinatezza all'utilizzo degli spazi espositivi e valorizzando al meglio le opere stesse.
«Il loro lavoro è stata una risposta attiva alla paventata chiusura della sezione di architettura e ambiente del Liceo artistico Vittoria da parte dell'assessorato all'istruzione della Provincia di Trento.
«Speriamo che tale previsione di taglio possa riformularsi alla luce della capacità ideativa e realizzativa di un indirizzo - unico nel suo genere in tutta la provincia - che da anni dimostra il proprio valore in progetti di pubblica utilità.
 
Il lavoro è un tema centrale in ogni epoca storica, attuale e molto sentito anche nella nostra società, soprattutto dai giovani. Come è stato considerato nella civiltà occidentale, è stato più condannato o esaltato?
«Il lavoro si cerca, si trova, si perde, non si trova, si inventa, di lavoro si vive, senza lavoro non si vive, di lavoro si muore. Il lavoro è visto come condanna nel mondo greco antico (Prometeo ruba il fuoco- conoscenza tecnica e l’umanità è punita col vaso di Pandora che introduce il sudore, al posto dell’ozio) o perlomeno come attività non principale per l’uomo che mira alla felicità la quale si persegue con lo sviluppo della ragione (Aristotele).
«Il lavoro è indicato come condanna anche nella Genesi ebraica, frutto della cacciata dall’Eden (sempre per aver voluto attingere alla conoscenza) e quindi –anche per la confluenza del pensiero greco- mantiene tale valenza nello sviluppo della società cristiana occidentale dai primi secoli della sua diffusione fino all’alba del Basso medioevo.
«Dopo il Mille, superato il terrore dell’Apocalisse, l’uomo occidentale si dedica con crescente slancio all’attività produttiva nei vari settori: nella vera età del ferro l’introduzione in agricoltura di nuove tecniche (come la rotazione triennale) o strumenti (l’aratro pesante a ruote e a versoio, il giogo, etc.), lo sviluppo dei borghi e delle attività artigianali, commerciali e finanziarie con il proliferare delle corporazioni di arti e mestieri, genera nelle città europee un mutamento di prospettiva radicale.

Mastro 7 - Efesto, 1997.

«Con l’umanesimo e l’uomo fautore della propria fortuna la visione si rafforza sdoganandosi sempre più dal controllo del clero e l’attività lavorativa diviene il mezzo non solo per trasformare la natura bensì per costruire un mondo a propria immagine e somiglianza. La diffusione del protestantesimo (soprattutto con l’etica del lavoro del calvinismo) fungerà nei secoli successivi da volano in tale direzione, creando le premesse - come ha rilevato il sociologo Max Weber - dello sviluppo del capitalismo.
«Per il pensiero forte dell’età post illuminista (a partire da Hegel) il lavoro diventerà essenza dell’uomo dato che gli permette di appropriarsi del prodotto (frutto del lavoro che trasforma l’oggetto).
«Il lavoro sarà quindi inteso come base della civiltà umana che lo differenzia dagli animali dal momento in cui inizia a produrre i propri mezzi di sussistenza (nel primo Marx), oppure, nella sua valenza industriale e capitalistico diverrà ciò che non permette tale appropriazione e che diviene invece alienazione, espropriazione, dell’uomo rispetto al prodotto, all’attività, al prossimo, a se stesso (nel secondo Marx).
«In conclusione: il lavoro, nella civiltà occidentale, è stato condannato ed esaltato: visto come possibilità di superare il vincolo dei legami naturali (costruendo, con esso, il processo della libertà umana) oppure –soprattutto quello fisico, ma non solo- come una necessità strumentale che allontana dai veri fini dell’uomo (ieri la vita contemplativa, da Aristotele alle vie mistiche e filosofiche, che conduce alla felicità, oggi il tempo libero che ci spinge al consumo).»
 

Caterina Stella, Valeria Solesin.
 
Abbiamo avuto occasione di scambiare due parole con alcuni degli artisti presenti in mostra (purtroppo non ci è stato possibile relazionarci con tutti).
Affascinati dalle raffinate opere esposte del grande artista Gino Castelli, classe 1929, abbiamo approfittato della sua disponibilità per chiedergli il significato di quella intitolata «Il cartografo», eseguita a china e pastello nel 2009, un’opera che si potrebbe definire metafisica e che testimonia la sua esperienza giovanile di cartografo maturata prima di diventare pittore (si accostò alla pittura a 36 anni per poi non abbandonarla più).
Il suo, come è stato più volte descritto dalla critica, è un nuovo «realismo magico», la sua pittura è una trasfigurazione della realtà, una «rappresentazione dell’anima fra sogno e poesia».
Fortemente attratto dalla città di Venezia, di cui ha esplorato ogni angolo in occasione di ripetuti e lunghi soggiorni, ne ha saputo cogliere aspetti che spesso sfuggono anche all’occhio del visitatore più attento.
«Ogni sestiere merita di essere visitato – ci ha raccontato – decantando la struggente bellezza di una città che si specchia nell’acqua dei suoi canali, famosa in tutto il mondo per il l’immenso patrimonio artistico di cui dispone.»
Mastro 7, apprezzato scultore trentino presente con l’opera dal titolo Efesto, 1997, ha commentato così.
«Nella creazione di quest’opera, che nasce in seno a una manifestazione, un meeting sulle mongolfiere a cui ero stato invitato a partecipare come artista, ho tratto ispirazione dal passaggio delle Frecce Tricolori.
«La spirale che vediamo rimanda alla turbina, l’opera rappresenta il progresso tecnologico dell’uomo, il suo dinamismo. Ho voluto evidenziare due elementi: la mano, che dà movimento alla materia - il suo lavoro è frutto anche del lavoro del cervello dell’uomo, del suo intelletto - e la turbina, che simboleggia il passaggio dal lavoro di Efesto, il dio del fuoco, il fabbro degli dei, al lavoro informatizzato e tecnologico della società moderna.»
 

Othmar Winkler, particolare ciclo di 6 opere, 1985-1988.
 
Era presente anche Ivo Winkler, figlio del celebre pittore e scultore sudtirolese Othmar Winkler, a cui a Palazzo Trentini è dedicata un’intera sala.
È lui che ha commentato il ciclo delle opere del padre esposte.
«Queste opere sono nate da un progetto dell’Arch. Giorgio Ziosi, il quale voleva rappresentare attraverso un’opera la storia della gente trentina. Per completare l’intero ciclo mio padre ha impiegato 5 anni, si è letto un’enorme quantità di libri sulla storia del Trentino, poi ha iniziato a disegnare, trasformando come era solito fare gli schizzi in opere tridimensionali, sei altorilievi in bronzo a partire dall’Alto Medioevo fino agli anni recenti: il Medioevo, Il principato vescovile, la rivoluzione contadina, Andreas Hofer, L’emigrazione e guerre, la costruzione dell’Autonomia.»
Fra tutte quei capolavori, ci è particolarmente piaciuto per la forza vitale che sprigiona il quadro di un noto artista contemporaneo, il quale ha al suo attivo numerosissime mostre sia in Italia che all’estero; si tratta dell’opera intitolata Efesto di Lome (nome d’arte di Lorenzo Menguzzato), una tempera su cartone eseguita negli anni Novanta.
 

 
La mostra è stata idealmente dedicata a Valeria Solesin, la giovane ricercatrice veneziana uccisa nella strage del Bataclan di Parigi lo scorso novembre, la quale aveva studiato per un certo periodo a Trento alla Facoltà di Sociologia, una ragazza dalla vita esemplare, i cui sogni sono stati strappati per sempre per mano di terroristi (commovente la lettera della sua mamma letta da una studentessa durante l’inaugurazione).
L’esposizione si collega a una serie di eventi in programma dal 31 maggio al 21 giugno prossimo. Sono coinvolti nel progetto:
Liceo artistico A. Vittoria - Classi coinvolte: classe 4 B (sezione architettura e ambiente; sezione multimedia), 4 C (sezione multimedia), 4 E (sezione arti figurative), 5 A (sezione arti figurative) (circa 50 studenti).
Docenti e coordinamento: Floriana Rizzi, Gianluca Pasquali, Nikolas Valletta (sezione architettura e ambiente); Michela Eccli e Ilaria Piazza (sezione multimedia), Giuliano Orsingher, Fabio Seppi e Paolo Tartarotti (sezione arti figurative).
Istituto d’arte Soraperra di Pozza - Classi coinvolte: classi 3ª e 4ª del corso Arti Figurative (circa 40 studenti). Docenti e coordinamento: Claus Soraperra pittura (referente progetto), Davide Deflorian e Maria Pia Desilvestro (scultura), Tiziano Deflorian e Andrea Dorigatti (Discipline plastiche e scultoree).
Istituto Pavoniano Artigianelli per le Arti Grafiche - Classi coinvolte: IV A e IV B - Tecnico Grafico Multimediale (circa 50 studenti)
Docenti e coordinamento: Annalisa Filippi; Gloria Viganò; Daniele Fortarel; Marco Franceschini.
 

Gino Castelli (Il cartografo, 2009) e Remo Wolf (Boscaiolo, 1951).
 
Sono esposte le opere dei seguenti artisti: Ernesto G.Armani, Roberto Iras Baldessari, Marco Berlanda, Bartolomeo Bezzi, Carlo Bonacina, Ermete Bonapace, Luigi Bonazza, Fra Silvio Bottes, Gino Castelli, Bruno Colorio, Osvaldo Cibils, Martina Dal Brollo, Giuseppe Angelico Dallabrida, Mauro De Carli, Paolo De Carli, Bruno Degasperi, Fortunato Depero, Benvenuto Disertori, Mario Disertori, Paolo Dolzan, Aran Dwaranko, Raffaele Fanton, Eraldo Fozzer, Mariano Fracalossi, Tullio Garbari, Cirillo Grott, Lome (Lorenzo Menguzzato), Matro 7 (Settimo Tamanini), Umberto Moggioli, Giuliano Orsingher, Gino Pancheri, Guido Polo, Eugenio Prati, Gianluigi Rocca, Carlo Sartori, Aldo Schmid, Luigi Senesi, Cesarina Seppi, Federico Seppi, Paolo Tartarotti, Alessandro Togni, Simone Turra, Pietro Verdini, Giorgio Wenter Marini, Othmar Winkler, Remo Wolf, Gigiotti Zanini, Stefano Zuech.
 
Segnaliamo infine l’interessante video della studentessa del Liceo artistico A. Vittoria Tatiana Gozzer, realizzato con la farina e intitolato «Qualcosa di buono», il quale mostra vari lavori del quotidiano, evidenziando alcune frasi il cui senso è questo: dobbiamo credere in quello che facciamo e anche i lunedì diventeranno meno pesanti, alla fine resterà certo qualcosa di buono.
Lo si può vedere cliccando l’immagine che segue.
Emblematica la parte finale, in cui vengono riprese le mani dell’anziana nonna impegnata a fare il pane, poi infornato e infine spezzato. Un’immagine meravigliosa che simboleggia il lavoro, un’esortazione a guardare quel «qualcosa di buono» che c’è in tutto ciò che facciamo ogni giorno, traducibile con un’unica parola: speranza.

Daniela Larentis - d.larentis@ladigetto.it
 

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