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«Gli incontri del giovedì»: 23 marzo 2017 – Di Daniela Larentis

Con Mauro Nequirito, a Mezzolombardo si parlerà di identità locali e lotte nazionali in Trentino

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Cartina germanofona del Trentino.
 
Prosegue con successo il ciclo di serate predisposte dall’Associazione Castelli del Trentino denominato «Gli incontri del giovedì», organizzato dal presidente Bruno Kaisermann e dal vicepresidente, il giornalista, storico e critico d’arte Pietro Marsilli.
Il prossimo appuntamento è fissato per il 23 marzo 2017 alle ore 20.30 presso la Sala Civica di Mezzolombardo, Corso del Popolo 17.
Durante l’incontro Mauro Nequirito, storico già funzionario del Settore Librario e Archivistico della Provincia autonoma di Trento, parlerà di identità locali e lotte nazionali in Trentino.

Mauro Nequirito.

Laureato in Sociologia con una tesi di storia regionale, membro della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche, dell’Accademia roveretana degli Agiati, di Geschichte und Region/Storia e Regione, Mauro Nequirito per l’Ufficio per i Beni archivistici, librari e Archivio provinciale ha curato la stampa di parecchi numeri della collana «Beni librari e archivistici del Trentino».
I temi principali oggetto della sua ricerca sono stati le istituzioni e le vicende del principato vescovile di Trento e del territorio trentino-tirolese verso la fine dell’antico regime e nell’età napoleonica; la questione dell’identità trentina tra Otto e Novecento; le comunità rurali del Trentino e i beni silvo-pastorali in Trentino tra Otto e Novecento.

 Bibliografia essenziale (citati solo alcuni titoli) 
- Il tramonto del principato vescovile di Trento. Vicende politiche e conflitti istituzionali, Trento, Società di studi trentini di scienze storiche, 1996.
Nascita ed evoluzione di un’identità in L’Identità fra Tradizione e Progetto. Nazioni, Luoghi, Culture, Atti del Convegno 28-30 novembre 1996, Trento, Provincia Autonoma di Trento, [1997], pp. 131-143.
- Dar nome a un volgo. L'identità culturale del Trentino nella letteratura delle tradizioni popolari (1796-1939), S. Michele all'Adige (TN), Museo degli usi e costumi della gente trentina, 1999.
Territorio e identità in un’area di frontiera fra Otto e Novecento: il dibattito sul nome “Trentino”, in Tirol - Trentino eine Begriffsgeschichte/semantica di un concetto, “Geschichte und Region/Storia e Regione”, 9. Jahrgang, 2000 - anno 9, 2000, pp. 49-84.
- La questione dell’autonomia trentina entro la Monarchia asburgica: aspirazioni inattuabili e occasioni mancate, in Storia del Trentino. V. L’età contemporanea 1803-1918, a cura di Maria Garbari, Andrea Leonardi, Bologna, Il mulino, 2003.
- 1809 europäisch = europeo, heraugeber dieses Heftes = curatori di questo numero Hans Heiss e Mauro Nequirito, Innsbruck [etc.], Studien Verlag, 2007, “Geschichte und Region” = “Storia e Regione”.
- 1809. Il Tirolo in armi contro l'ordine napoleonico. Materiali a stampa dal fondo antico della Biblioteca civica "Bruno Emmert" di Arco, [Trento], Provincia autonoma di Trento. Soprintendenza per i beni librari archivistici e archeologici, 2009 (Beni librari e archivistici del Trentino. Quaderni/10).
- “Combattere con la penna contro il dominio straniero”: l’impegno politico negli scritti di un liberale borghese, in Trentino in posa. Fotografie di Giovanni Pedrotti alla vigilia della Grande Guerra, a cura di L. Dal Prà, K. Malatesta, [Trento], Provincia autonoma di Trento. Soprintendenza per i beni storico-artistici, librari e archivistici, 2014.
- Grigno. Carta di Regola, istituzioni e vicende storiche di una comunità trentina di confine, a cura di M. Nequirito, U. Pistoia, Grigno (TN)], Comune di Grigno [Trento], Provincia autonoma di Trento, Soprintendenza per i beni storico-artistici, librari e archivistici, 2013 (Beni librari e archivistici del Trentino. Quaderni/13).
- “Combattere con la penna contro il dominio straniero”: l’impegno politico negli scritti di un liberale borghese, in Trentino in posa. Fotografie di Giovanni Pedrotti alla vigilia della Grande Guerra, a cura di L. Dal Prà, K. Malatesta, [Trento], Provincia autonoma di Trento. Soprintendenza per i beni storico-artistici, librari e archivistici, 2014.
- Grigno. Carta di Regola, istituzioni e vicende storiche di una comunità trentina di confine, a cura di M. Nequirito, U. Pistoia, Grigno (TN)], Comune di Grigno [Trento], Provincia autonoma di Trento, Soprintendenza per i beni storico-artistici, librari e archivistici, 2013 (Beni librari e archivistici del Trentino. Quaderni/13).
- Diritti contesi ai margini dell'Impero. Un contrasto secentesco per il governo delle selve nel Tesino (Trentino Orientale), [Trento], Provincia autonoma di Trento. Soprintendenza per i Beni culturali, 2015 (Archivi del trentino. Fonti, strumenti di ricerca e studi; 17).
- Visitando il Tirolo: libri di viaggiatori d’oltralpe diretti a sud negli anni del Vormärz (di prossima uscita in un volume collettaneo dedicato al Vormärz).

In attesa dell’incontro di giovedì prossimo, abbiamo avuto il piacere di porgergli alcune domande.
 
Uno dei suoi ambiti di studi riguarda la questione dell’identità trentina tra Otto e Novecento. Potrebbe ricordare quando nacque il Principato vescovile di Trento e da che vicissitudini trasse origine? Quali territori comprendeva originariamente?
«Furono i sacri romani imperatori a concedere agli inizi dell’XI secolo il potere temporale ai vescovi di Trento e Bressanone, i quali in tal modo assunsero il titolo di vescovi conti.
«Il documento di fondazione del principato vescovile di Trento risale al 1027 ed è ancor oggi conservato presso l’Archivio di Stato di Trento. Con esso l’imperatore Corrado II di Franconia, appartenente alla dinastia salica, conferiva o, più probabilmente, confermava a Udalrico II (vescovo di Trento dal 1022 al 1055) l’esercizio della piena autorità sulle contee di Venosta, Bolzano e Trento.
«L’avvenimento va inquadrato nel più generale atteggiamento politico assunto dagli imperatori tedeschi, i quali intendevano garantirsi l’appoggio dei poteri ecclesiastici per controbilanciare quelli laici. Elevare un vescovo (o un abate o un preposito) alla dignità principesca, conferirgli a titolo feudale un territorio e porlo sotto la propria diretta potestà rappresentava da parte dell’imperatore una scelta vantaggiosa.
«Infatti, con l’insediamento di un prelato – evidentemente privo di discendenza – al governo di un organismo politico la nomina del successore era controllabile; al contrario, le stesse concessioni fatte a nobili laici videro poi prevalere la trasmissione del feudo su base ereditaria.
«La preferenza di un ecclesiastico rispetto a un laico era tanto più utile, quanto più cruciale era l’importanza del territorio conferito tramite investitura; un dato questo particolarmente evidente nell’area alpina, la quale svolgeva un ruolo fondamentale dal punto di vista militare e strategico, poiché costituiva la via privilegiata di comunicazione tra il mondo italiano e quello germanico.»
 
«Il Sacro Romano Impero, dizione completata a partire dal XV secolo con la specificazione della Nazione Tedesca (essendo ormai ridotto rispetto all’estensione dell’antico impero carolingio del quale intendeva raccogliere l’eredità) e che pertanto viene anche definito Impero romano germanico, annoverò al suo interno parecchi territori ecclesiastici e molte città che, come Trento e Bressanone, erano i luoghi di residenza di un principe vescovo. Il numero dei principati vescovili fu poi soggetto a una drastica diminuzione a causa della Riforma protestante, in seguito alla quale molte terre ecclesiastiche furono secolarizzate.
«Come molti sapranno, le vicende successive alla fondazione dei principati di Trento e Bressanone furono segnate dal progressivo ridimensionamento dell’autorità vescovile e dall’imporsi sulla scena politica dei conti di Tirolo (il ceppo originario e poi i suoi eredi, gli Asburgo), in origine feudatari dei vescovi stessi e, in quanto tali, tenuti a prestare atto di vassallaggio, benché ormai solo formale, anche nei secoli a venire.
«Con Mainardo II del casato di Tirolo-Gorizia (1238-1295) la contea tirolese assunse le forme di una potente signoria di passo con la quale i due vescovi, i cui domini originari erano stati fortemente ridotti quanto a estensione, dovettero in futuro sempre accordarsi.»
 
«Dal punto di vista territoriale la situazione si stabilizzò solo nella prima metà del Cinquecento. In quell’epoca il principato di Trento aveva perduto molti dei suoi possedimenti originari e si estendeva solamente su una superficie corrispondente all’incirca ai due terzi dell’attuale provincia: ne erano esclusi la val di Fassa, la bassa Valsugana, una parte della Vallagarina (compresa Rovereto), il contado d’Arco e altri territori sparsi un po’ ovunque a macchia di leopardo, come ad esempio in val di Non e nella val d’Adige a nord di Trento.
«Dopo le conquiste tirolesi del periodo medievale, maggiormente mutilato appariva il principato di Bressanone. I confini delle diocesi di Trento e Bressanone e quelli dei rispettivi principati non coincidevano, un dato quest’ultimo che era riscontrabile anche in altre terre appartenenti alla Chiesa dell’Impero. Tra la fine del medioevo e la prima età moderna fu istituzionalizzata la partecipazione dei due vescovi di Trento e Bressanone e dei rispettivi capitoli alla Dieta tirolese.»
 
«Le Diete regionali erano, se così ci si può esprimere, antichi parlamenti diffusi in tutta l’area imperiale e la Dieta generale dell’Impero, presso la quale godevano del diritto di seggio e voto anche i principi di Trento e Bressanone, ne costituiva il modello.
«Si trattava di organismi fondati sulla rappresentanza dei ceti (Stände), che in Tirolo erano quattro: nobiltà, clero, città e contadini. I vescovi tridentini e brissinesi partecipavano alle Diete del Tirolo come membri aggiunti e, pur legati indissolubilmente alla contea, riuscirono a mantenere tra fortune alterne una loro individualità, che si esprimeva nel concetto di Unmittelbarkeit (alla lettera, immediatezza), ossia il legame diretto e senza intermediari con l’imperatore. Il fatto che ad ascendere a quest’ultima carica – elettiva, va ricordato – dal Quattrocento fosse sempre un Asburgo, costituì il nodo gordiano della storia trentino-tirolese d’antico regime: formalmente loro vassalli come conti del Tirolo, in quanto imperatori gli Asburgo erano invece superiori ai vescovi di Trento e Bressanone.
«Tale incongruenza fu più marcata nei periodi in cui la carica di conte del Tirolo e quella di imperatore coincideva (Massimiliano I, Carlo V, Ferdinando I), una situazione divenuta stabile dal 1665, quando si estinsero gli ultimi Asburgo tirolesi e il territorio non fu più assegnato a rami cadetti della famiglia.»
 
Cosa accadde dopo l’invasione delle truppe napoleoniche del settembre 1796?
«Alla prima invasione delle truppe della Francia rivoluzionaria ne seguirono altre due, nel 1797 e nel 1801. In tali occasioni, tutte e tre della durata di appena qualche mese, gli occupanti eressero dei governi provvisori.
«Negli intermezzi, estromessi i francesi dal territorio trentino, si instaurò nel principato un’amministrazione provvisoria istituita dall’imperatore Francesco II, che non restituì più il potere al vescovo di Trento Pietro Vigilio Thun, allontanatosi nella primavera del 1796 presagendo l’ormai imminente arrivo dei francesi e poi rientrato in patria.
«Il successore, Emanuele Maria Thun, non ottenne mai la conferma imperiale ed esercitò dunque solo i compiti pastorali.
«Per Trento si trattò di una secolarizzazione di fatto, sperimentata in anticipo su quella effettivamente realizzata tra la fine del 1802 e la primavera del 1803.»
 

 
Quali furono le cause che determinarono la fine, dopo 800 anni, del principato vescovile?
«Le soppressioni dei principati di Trento e Bressanone non vanno considerate solo come eventi regionali ed è necessario inoltre fare qualche passo indietro.
«Già nel periodo delle riforme settecentesche gli organismi politici territorialmente più importanti dell’Impero (come i cosiddetti Erblande, cioè i numerosi territori ereditari della casa d’Austria, ma anche la Baviera, la Sassonia, la Prussia-Brandeburgo e così via) tendevano nettamente ad anteporre i propri singoli interessi a quelli della compagine imperiale nel suo insieme.
«Fu però la politica di Napoleone, giunto all’apice della sua potenza, a sferrare il colpo di grazia al Sacro Romano Impero. Innanzi tutto, nel 1803 si portò a compimento un progetto cui la diplomazia europea lavorava da qualche anno, ossia la secolarizzazione, vale a dire la liquidazione, degli organismi costituenti la Chiesa dell’Impero per assegnarli a potentati laici (Trento e Bressanone, come è noto, finirono all’Austria).
«A dire il vero, in origine solo alcuni principati ecclesiastici sarebbero dovuti pervenire ai principi tedeschi spodestati dei loro territori sulla sponda sinistra del Reno dalla Francia negli anni 1793-1794, ma le terre della Chiesa dell’Impero suscitavano desiderio in molti. Minate le basi della sua antica costituzione, il Sacro Romano Impero resistette poco oltre la fine della sua componente ecclesiastica e nel 1806, dopo un millennio di vita (includendo nel computo l’impero carolingio), fu dichiarato disciolto. In sua vece Napoleone creò un organismo posto sotto il suo controllo, la Confederazione del Reno.
«Con la fine dell’antico Impero (das Alte Reich), cessò di esistere anche la carica di sacro romano imperatore e gli Asburgo assunsero il titolo di imperatori d’Austria.»
 
Quali furono le cause dell’insurrezione antinapoleonica capeggiata da Andreas Hofer?
«Dopo i governi francesi provvisori degli anni 1796-97 e 1801, alla fine del 1805, in seguito alla sconfitta dell’Austria nella Guerra della III coalizione, il Tirolo fu assegnato alla Baviera, da poco elevata a regno per volere di Napoleone in quanto sua alleata.
«Il malessere delle popolazioni trentino-tirolesi nei confronti del nuovo governo ebbe motivazioni molteplici e complesse e non si manifestò in tutto il territorio tirolese in maniera uniforme. Ad esempio, i ceti cittadini non si mostrarono pregiudizialmente ostili e spesso collaborarono con l’amministrazione bavarese.
«In Trentino inoltre l’adesione all’insorgenza non fu unanime, anche se certe valli in particolare vi diedero un significativo apporto, al contrario di quanto affermava la storiografia risorgimentale che ignorò le evidenze documentarie e qualificò i rivoltosi del Tirolo italiano come semplici briganti.
«Possiamo elencare alcuni problemi cui attribuire le origini della rivolta: la coscrizione militare obbligatoria (in Tirolo vigeva il sistema plurisecolare dell’autodifesa territoriale e gli uomini abili alle armi non intendevano essere arruolati per condurre guerre offensive all’esterno), le norme contro la sensibilità religiosa popolare, la severa politica fiscale, la svalutazione monetaria e il peggioramento delle condizioni economiche, la soppressione di fatto di alcune antiche istituzioni locali, come, da noi, la Magnifica Comunità di Fiemme (non per nulla i fiemmesi furono tra i più attivi nel prendere le armi contro il governo straniero).
«In molti casi, impiegati bavaresi assai preparati professionalmente, ma inflessibili contribuirono ad aumentare l’insofferenza verso il nuovo assetto istituzionale e la nuova organizzazione amministrativa, che la Baviera aveva mutuato dalla Francia napoleonica.»
 
Cosa accadde poi?
«Dopo il fallimento della rivolta tirolese del 1809 Napoleone staccò dalla Baviera l’odierno Trentino e il distretto di Bolzano, che andarono a costituire uno dei dipartimenti del regno d’Italia napoleonico (o Regno Italico), il Dipartimento dell’Alto Adige; il Tirolo orientale fu invece aggregato alle Province Illiriche, dipendenti dalla Francia.
«Con il fallimento della campagna di Russia la potenza napoleonica incominciò a vacillare. Nel 1813 ebbero inizio in Germania le cosiddette Guerre di liberazione (Befreiungskriege).
«Gli stati tedeschi che componevano la Confederazione del Reno si volsero contro Napoleone, che nell’ottobre del 1813 subì la determinante sconfitta di Lipsia nella cosiddetta Battaglia delle Nazioni.
«Ancor prima di questo evento il Tirolo orientale e il Dipartimento dell’Alto Adige erano stati riconquistati dalle truppe austriache.
«Affinché il Tirolo del nord tornasse all’Austria si dovette invece attendere la stipulazione nel 1814 di una convenzione con il regno di Baviera.
«Come si sa, il Congresso di Vienna ristabilì l’antico ordine in Europa e da allora fino al termine del primo conflitto mondiale il Tirolo costituì uno dei territori della corona all’interno dell’impero d’Austria, che nel 1867, in seguito all’Ausgleich, il compromesso ungherese, assunse la denominazione di Impero austro-ungarico.»
 

 
Quando ebbero inizio le richieste trentine di autonomia da Innsbruck? Che cosa ci può raccontare a riguardo?
«Qualche iniziativa fu abbozzata nei primissimi anni dell’Ottocento, quando il principato di Trento stava per essere secolarizzato ed era sostanzialmente ancora viva la realtà d’antico regime.
«Le vere e proprie richieste di autonomia del Trentino/Tirolo italiano dal Tirolo di lingua tedesca ebbero inizio però nel 1848, sulla scia dei moti di rivolta che sconquassarono l’Europa durante la cosiddetta primavera dei popoli, moti alimentati dalle forze liberali in cerca di un proprio spazio politico.
«Furono proposte che gli esponenti del primo liberalismo trentino, all’interno del quale spiccava per carisma la figura dell’abate Giovanni Battista a Prato, inoltrarono contemporaneamente presso le assemblee costituenti di Francoforte (per la Confederazione Germanica, della quale faceva parte anche il Tirolo) e di Vienna (per l’impero d’Austria), ma che non furono accolte.
«Progetti di autonomia per il Trentino furono elaborati tra vicende alterne per tutto il secolo; gli ultimi videro la luce all’inizio del Novecento e furono supportati anche da eminenti personalità del Tirolo. Ciò nonostante, una separazione di ambiti politico-economici, nelle diverse forme in cui di volta in volta fu prospettata nel corso degli anni, tra la parte di lingua italiana e quella di lingua tedesca del Land non fu mai raggiunta.
«L’obiettivo tra la fine dell’Otto e l’inizio del Novecento sembrò abbastanza vicino, ma gli estremismi di alcuni settori politici da entrambe la parti, austro-tirolese e trentina, insieme con i problemi interni di un Impero asburgico sempre più in crisi, ne impedirono il conseguimento.»
 
Quale fu il ruolo di Trento sotto la sovranità asburgica, nell’Ottocento?
«A Trento nella seconda metà dell’Ottocento spettarono i compiti di legittimare se stessa come città-guida della parte italiana della provincia tirolese e di coagulare le vallate intorno agli ideali nazionali.
«Per raggiungere questi obiettivi si mobilitarono all’inizio quasi esclusivamente le classi colte e la borghesia urbana, componenti sociali, peraltro, minoritarie in una realtà di montagna come quella del Tirolo italiano.
«E fu la medesima città, la più popolosa dell’intero Tirolo (anche se di poco rispetto a Innsbruck) e quella situata in posizione centrale, a conferire al territorio una denominazione, quella di Trentino, che nei secoli precedenti si poteva individuare in alcune opere a stampa e nella cartografia in maniera assai sporadica e imprecisa e in un’accezione non politica.
«La lotta per l’affermazione del nome Trentino su quello di Tirolo italiano (o Welschtirol) diede luogo a una quantità di pubblicazioni e di articoli comparsi nelle riviste trentine edite tra Otto e Novecento, autentiche fucine culturali impegnate nel risvegliare i sentimenti identitari presso le popolazioni locali.
«Emblematica fu la risposta degli ambienti pangermanisti attraverso il noto pamphlet dal titolo Es gibt kein Trentino, (Non esiste nessun Trentino).
«Agli ambienti urbani si contrappose la realtà delle valli, dove prevaleva il ceto rurale, che rimase in gran parte fedele alla casa d’Austria.
«Questi per lo meno sono i dati accolti dalla maggioranza degli storici in questi ultimi decenni, dopo che l’influenza della pubblicistica irredentista, secondo la quale l’intera popolazione trentina aveva combattuto per sciogliere il nesso asburgico, si era protratta all’incirca fino ai primi anni Sessanta del secolo scorso.»
 

 
Rovereto con l’Accademia Roveretana degli Agiati, fondata ad opera di allievi di Girolamo Tartarotti nel 1750, rivestì nell’Ottocento sul piano culturale un importante ruolo. Potrebbe spiegarci in che modo?
«La vocazione cosmopolita dell’Accademia, cui tanto spesso oggi ci si richiama, è in realtà legata soprattutto alla stagione settecentesca, in virtù degli ideali culturali che intendevano mettere in contatto senza frontiere gli intellettuali europei e che caratterizzarono quell’epoca ancora priva di sentimenti di appartenenza nazionale.
«Questi ultimi successivamente si andarono affermando sempre di più anche all’interno del consesso roveretano, finché in prossimità del Quarantotto la componente liberale prese il sopravvento sui membri conservatori pedissequamente osservanti la linea approvata dal governo asburgico.
«Un certo cosmopolitismo continuò a caratterizzare gli Agiati anche nell’Ottocento, nel senso che del sodalizio continuarono a far parte anche studiosi stranieri, ma la vicinanza geografica con l’Italia dopo il 1866 e l’afflusso di nuovi membri provenienti da quell’area e sensibili ai valori patriottici (della patria italiana, ovviamente) determinò un sempre più marcato abbandono da parte dell’Accademia delle concezioni che ne avevano accompagnato la nascita e i primi successi nella seconda metà del secolo precedente.»
 
Un’ultima domanda: come immagina il futuro della nostra regione?
«Immagino che anche questa domanda sia solo apparentemente avulsa da quelle precedenti e chiami in causa in qualche modo il rapporto con il passato. Gli eventi che stanno cambiando anno per anno (o mese per mese?) il volto dell’Europa e non solo di questo continente impediscono, perlomeno a me, di formulare qualsiasi pronostico, anche nel breve periodo, in merito agli scenari che si apriranno per il nostro territorio.
«Chi si occupa di storia, inoltre, solitamente si astiene, se non altro nell’ambito di tale disciplina, dall’esprimersi riguardo a quanto accadrà in futuro. La prudenza d’altronde è massima anche rispetto a quanto è già accaduto.
«Si noti infatti che gli avvenimenti della seconda metà del Novecento, secondo una concezione che magari può anche essere ritenuta troppo tradizionalista e prudente, ma che è ancora condivisa da una parte degli studiosi, non sono considerati del tutto storia, ma in gran parte ancora cronaca, proprio per non essersi sufficientemente depositati nelle coscienze e per non essere state ancora portate alla luce e analizzate tutte le fonti documentarie disponibili.»
 
«Tuttavia, per non lasciare del tutto inevasa la domanda qui posta, scelta che potrebbe essere interpretata come il desiderio di non sbilanciarsi, vorrei almeno richiamare l’attenzione sul rapporto tra storia e presente, se non proprio su quello tra storia e futuro. Benché la revisione (e non quello che è indicato come revisionismo) negli studi storici costituisca un processo costante e necessario, sempre più si ravvisa una tendenza abbastanza marcata in Trentino da parte di un pubblico piuttosto vasto – stando almeno all’intensità del dibattito presente nelle apposite rubriche dei quotidiani – a richiedere o in qualche caso a proporre interpretazioni alternative rispetto a quella che è talora definita la storia ufficiale del territorio trentino-tirolese.
«Ciò che sconcerta è constatare da un lato che le posizioni assunte da chi desidera far risaltare la necessità di riscrivere quella storia sono a volte altrettanto estreme di quelle marcatamente ideologiche predominanti nell’età dei nazionalismi; dall’altro, sul versante opposto, che la maggioranza degli studiosi i quali si occupano di storia a livello accademico o in altre sedi accreditate mostrano di essere così infastiditi da queste nuove interpretazioni delle passate vicende regionali, il cui obiettivo è lo spostamento del baricentro identitario del Trentino a nord, da essere indotti a recuperare almeno in parte le vecchie interpretazioni otto-novecentesche.
«Altrettanto frequenti oggi, in questo caso però soprattutto da parte di esponenti del mondo della politica, oltre che di quello genericamente culturale e non specialistico, sono le incursioni nella storia ai fini di una sua attualizzazione. Si assiste in tal modo, ad esempio, ad accostamenti solo apparentemente plausibili (magari perché gli eventi chiamati in causa rientrano in una medesima categoria o perché suscitano analoghe emozioni, positive o negative che siano), ma in realtà non del tutto appropriati.
«Se il cosiddetto uso pubblico della storia è un vezzo al quale difficilmente ci si sottrae, dispiace però che di tale uso ci si scandalizzi solo a proposito di certi temi, primo fra tutti ovviamente quello del fascismo revisionato, e non di altri.»
 
«Al di là di queste considerazioni, mi rendo conto che il desiderio di rendere attuale ciò che è accaduto in tempi più o meno lontani costituisce probabilmente lo stimolo maggiore nell’accostarsi alla storia – spesso infatti si parla efficacemente di consumo di storia – da parte di un pubblico più vasto rispetto a quello dei cultori di tale materia. Anzi, per chi non è del mestiere è forse proprio la convinzione di poter trovare risposte ai problemi del presente grazie alla conoscenza del passato a legittimare il fatto che esistano ancora persone disposte ad impiegare il loro tempo in indagini di tipo archivistico e bibliografico.
«È necessario però che ciò avvenga non lanciando facili slogan secondo le necessità del momento, bensì all’interno di un percorso di conoscenza. Rimane peraltro come punto fermo un dato ormai acquisito e – crediamo – trapelato anche presso l’opinione pubblica, ossia il fatto che la storia non è una scienza esatta e che nel raccontarla mai si potrà arrivare a conclusioni del tutto oggettive e unanimemente condivise, ma, in diversa misura e più o meno esplicitamente, si finirà sempre per esprimere anche il proprio punto di vista.»
_________________________________________________________________________
 
E a proposito di futuro, non tanto della nostra regione ma dell’umanità intera, ci piace concludere dicendo che a noi – certamente non siamo storici – viene in mente la teoria di Gianbattista Vico, nota come «teoria dei corsi e dei ricorsi storici», osservando come da sempre nella storia dell’uomo si siano verificati eventi e situazioni che possono ricordare in qualche modo precedenti epoche e che sembrano ripetersi, sebbene in forme diverse.
Secondo il filosofo vissuto fra il XVII e il XVIII secolo la storia sarebbe caratterizzata dal continuo ripetersi di tre cicli distinti non affatto casuali, l’età primitiva e divina, l’età poetica ed eroica e l’età civile e veramente umana.
Così, pensando all’uomo e al suo cammino, con sguardo proteso al futuro, non ci resterebbe a questo punto che confidare nella «Divina provvidenza».
 
Daniela Larentis - d.larentis@ladigetto.it

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