Home | Rubriche | Centenario della Grande Guerra | Cent’anni fa Caporetto imponeva la destituzione di Cadorna

Cent’anni fa Caporetto imponeva la destituzione di Cadorna

Ci volle una settimana perché il Governo riuscisse a sostituirlo con il generale Diaz

image

Profughi attraversano la Livenza.
 
(Link alla puntata precedente)

 
Come abbiamo visto, il 30 ottobre era stato varato a Roma il nuovo governo. Orlando ne era divenuto Presidente del Consiglio mantenendo l’Interno, Sonnino ministro degli Esteri, Bissolati all’assistenza militare e alle pensioni, Nitti al tesoro e il generale Alfieri alla Guerra.
La nuova compagine non era certamente favorevole a Cadorna, soprattutto il generale Alfieri, al quale il Comandante Supremo aveva fermato la carriera in quanto troppo… grasso.
«Non può nemmeno passare per i camminamenti», aveva detto per giustificare la sua decisione.
Ma non è che Orlando fosse amico migliore di Alfieri. Già quando aveva ricevuto l’incarico dal Re, Orlando era stato franco. «O il sottoscritto o Cadorna», aveva detto al Re. E il Re non aveva avuto dubbi: «Togliamo Cadorna».
Anche Nitti era stato chiaro: «O io o lui.»
La sorte di Cadorna era dunque segnata, ma la decisione non poteva essere presa alla leggera. In un momento così delicato per il nostro esercito, un cambio della guardia repentino poteva rappresentare il colpo di grazia. Il Governo dunque affidò a Orlando di scegliere il come e il quando.
 
Anzitutto, prima di silurare Cadorna bisognava trovare il sostituto. La scelta naturale sarebbe stato il Duca D’Aosta. Era stato il comandante che più aveva mantenuto i nervi saldi a Caporetto e aveva saputo condurre la ritirata in ordine. Inoltre piaceva ai comandanti alleati, in particolare al francese Foch che non aveva nascosto la sua ammirazione per il cugino del Re.
Ma la controindicazione per il Duca D’Aosta stava proprio nell’essere della famiglia reale. Una disfatta avrebbe potuto essere fatale per la dinastia, così come un successo finale avrebbe potuto dare troppo lustro al cadetto dei Savoia. Purtroppo dunque, ragioni che poco avevano a che fare con le capacità militari avevano imposto una scelta diversa.
Il nome di Armando Diaz era venuto fuori per caso già mentre Orlando conduceva le consultazioni per la formazione del suo governo. Forse alla base di tutto stava il fatto che una scelta diversa dal Duca D’Aosta avrebbe potuto ingenerare invidie tra i generali, ma Diaz aveva fatto una buona impressione ai vertici della politica italiana per le sue doti di umanità, soprattutto nei confronti dei suoi dipendenti. E in quel momento era necessario cambiare registro sotto tutti gli aspetti.
 
Armando Diaz allora aveva 57 anni ed era un napoletano discendente da un’antica famiglia spagnola.
Era divenuto colonnello nel 1911 e in Africa era stato ferito nel corso di una battaglia. Nel 1914 era entrato nello Stato Maggiore ed era lì che Orlando lo aveva incontrato per la prima volta nutrendo una buona impressione.
Naturalmente per il resto degli alti comandi dell’Esercito Diaz rappresentava una sorta di «Carneade», uno sconosciuto che passava avanti a tutti senza alcuna garanzia nelle sue capacità di comando.
Per questo il Governo decise di affiancare Diaz con due sottocapi di Stato maggiore. Il primo era il generale Gaetano Giardino, che era stato anche Ministro della Difesa, perché conosceva il fronte ed era un abile organizzatore.

Re Vittorio Emanuele III.

La scelta del secondo sottocapo invece rappresenta anche oggi un mistero, perché venne designato il generale Pietro Badoglio. Era stato scelto proprio il generale del Corpo d’Armata che aveva ceduto sul fronte di Caporetto. L’inchiesta parlamentare si sarebbe conclusa più tardi rispetto alla nomina, quando ormai i giochi erano fatti.
Giardino non si troverà in accordo né con Badoglio, che riteneva poco esperto, né con Diaz, del quale non condivideva le scelte strategiche. Dopo un periodo in cui fu distaccato a Versailles al comando interalleato, rientrò in Italia per assumere il comando della IV Armata, quella eroica del Monte Grappa.
 
Con l’esercito in piena ritirata, Orlando si trovò costretto anche a esprimere apprezzamento a Cadorna per spronarlo a concludere il suo lavoro.
Cadorna, per la verità, non aveva mai pensato di poter essere sostituito. La sicurezza che aveva di sé e l’assoluta mancanza di autocritica lo metteva a riparo da crisi depressive. Confidandosi con gli stretti collaboratori, amava rilevare come avesse rilevato un esercito inesistente e di averlo portato ai livelli europei.
«Io ho fatto quel che potevo», soleva dire.
Il 2 novembre Cadorna forniva al governo le cifre ufficiali della disfatta: 400mila sbandati, 180mila prigionieri e 2.000 cannoni perduti dalla sola II Armata. Conclude la nota informativa con un commento che lascerà sgomenti gli storici: «Ho voluto esporre la dolorosa realtà in modo che il Governo sappia prendere decisioni che esorbitano la competenza militare.»
Le interpretazioni di questa frase sibillina sono due. Da una parte Cadorna sembrava suggerire al Governo di trattare un armistizio, dall’altra lo incitava a fare sforzi sia a livello finanziario che nelle trattative con gli alleati. I detrattori sostengono la prima ipotesi, in quanto la presunzione del Comandante Supremo gli faceva pensare che nessuno fosse in grado di fare meglio di lui. I sostenitori ovviamente ritengono che nel messaggio ci fossero le dritte da portare alla conferenza interalleata di Rapallo che sarebbe avvenuta il 6 novembre.
 
Il suo quartier generale di Treviso era divenuto meta dei comandanti militari alleati, i quali non ebbero una buona impressione del comando supremo. Per loro era tutto da cambiare e lo fecero sapere a Orlando. D’altronde, Cadorna non aveva ancora un’idea chiara sulla linea di difesa da scegliere come ultimo baluardo. A tutti sembrava inevitabile il Piave, ma Cadorna temeva che Conrad attaccasse anche dal Trentino. Pensò seriamente all’ipotesi di un ripiegamento sull’Adige, con la conseguente inaccettabile perdita di Vicenza, Treviso, Padova e Venezia. Al Museo della Guerra di Rovereto sono conservati i ritratti dei comandanti militari austro tedeschi che avrebbero dovuto governato queste città…
 

L'Hotel Kursaal di Rapallo.

Il 3 novembre Cadorna decide finalmente di ripiegare sul Piave, ma ancora una volta ha aspettato troppo, in quanto il nemico aveva già varcato il Tagliamento da più parti. Rischiava nuovamente di perdere le artiglierie rimaste a ridosso delle linea di combattimento. E nelle sue disposizioni suggerisce una tappa intermedia sul fiume Livenza.
Bissolati aveva telegrafato a Orlando per metterlo al corrente: «Situazione aggravasi rapidamente. Si tenterà la resistenza sul Piave… con poche speranze.»
Il 4 novembre il Ministro della Guerra Alfieri si incontra a Rovigo con il Re. Entrambi ritengono giunto il momento di sostituire Cadorna.
Il 5 novembre si tiene la conferenza di Rapallo, dove si discute con gli alleati il futuro dell'Italia. Manca solo Cadorna, il quale manda al suo posto il generale Porro, privo di potere e di cognizione di causa.
A Rapallo si incontrano, in una sala dell’Hotel Kursaal, Lloyd George con tre generali britannici, il Presidente del Consiglio francese Painlevé e il Ministro della Guerra Franklin-Bouillon con i suoi generali, tra i quali Foch.  Gli italiani Orlando, Sonnino, Alfieri e Porro vengono lasciati fuori dalla porta… Gli alleati vogliono stabilire gli aiuti e le condizioni per concederli. Un’umiliazione che abbiamo dovuto sopportare per la sconfitta di Caporetto.
L’indomani gli alleati pongono la condizione di fondo: «Con Cadorna niente aiuti». Senza di lui avrebbero inviato quattro divisioni francesi e quattro inglesi.
Poi però trovano insieme agli Italiani la scappatoia: Cadorna verrà sostituito perché dovrà stare per via permanente a Parigi nel consiglio interalleato. In questa maniera gli Italiani evitano i problemi che i sostenitori di Cadorna potrebbero sollevare, mentre gli alleati sono tranquilli a saperlo lontano dall’Italia.

Armando Diaz.

Alle 19.30 del giorno 7 il ministero della Guerra comunica a Cadorna la «promozione»: andrà a Parigi. Il generale, come prevedibile, non accetta e decide di parlarne con il re l’indomani.
Alle 7.30 dell’8 novembre il Re si presenta da Cadorna e gli comunica il trasferimento a Parigi. Come detto, Cadorna non accetta. Il che ha dell’incredibile, perché nella maniera più assoluta non poteva mettere in discussione un ordine del Re.
Il Re, lasciato Cadorna, si reca a Peschiera, dove gli alleati si erano trasferiti da Rapallo. Viene data notizia della sostituzione del Capo di Stato Maggiore.
In realtà l’iter burocratico stava ancora compiendosi. Il Ministero della Guerra aveva incaricato il colonnello Rota a consegnare le disposizioni a Cadorna e al suo staff. Poi Rota doveva recarsi dal generale Diaz e comunicargli l’incarico. Un semplice colonnello per svolgere un incarico così delicato…
Diaz si presenta da Cadorna per lo scambio delle consegne. L’incontro si svolge in un clima sereno, ma poi, uscito dalla sala che era stata il suo comando, grida «Così si tratta con un furiere!»
L’indomani, però Cadorna fa gli auguri a Diaz: «Le faccio gli auguri. E questi auguri vadano al di là di lei, a tutto l’Esercito, a tutta l’Italia».
 
G. de Mozzi
(Continua)
 
Si ringrazia Wikipedia per le foto che abbiamo utilizzato.

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande