Home | Rubriche | Giovani in azione | Alice viaggiatrice, Capitolo 4 – Racconto di Astrid Panizza

Alice viaggiatrice, Capitolo 4 – Racconto di Astrid Panizza

Quando il viaggio si trasforma in un «trip»: l’incontro di Alice con Asia e con il mondo delle droghe che la trascina a fondo

image

>
Link alla puntata precedente.
 
 Capitolo 4: Quando il viaggio si trasforma in un «trip» 
 
Dopo l’esperienza in Australia tornai a Salamanca, ma la mia casa spagnola mi stava ancora stretta, sembrava che nulla fosse cambiato da quando l’avevo lasciata, ma io mi sentivo diversa e pronta a fare nuove esperienze per uscire dal guscio in cui mi sembrava di essere intrappolata. Decisi quindi di tornare in Italia per continuare a studiare lì.
Cominciai il corso in Studi Internazionali nella facoltà di Sociologia a Trento, spinta dalla voglia di trovare il mio posto nel mondo, sognando di viaggiare magari come diplomatica o donna d’affari.
Mi perdevo spesso tra i miei pensieri, con la testa tra le nuvole o appoggiata alla mano durante le lezioni di statistica o scienze politiche, in cui la mia testa era altrove, seppur lo sguardo fosse fisso sulla lavagna.
 
Mi sembrava di essere diventata grande tutta d’un tratto, anche se in realtà scoprii più tardi che la strada sarebbe stata ancora molto lunga.
Era, comunque, un passo verso la maturità. Vivere da sola con altri studenti rappresentava un’indipendenza non da poco, arrangiarsi in tutto e per tutto mi poneva di fronte non solo a gioie, ma anche a dolori.
Riversai la mia frustrazione - sentimento molto comune ai ragazzi di quell’età - fumando sigarette fuori dall’Università, al di là della strada, per prendermi cinque minuti per stare con me stessa, tra una lezione di diritto e una di storia. Il mio posto preferito era un gradino sulle scale che si trovavano a lato della facoltà di Giurisprudenza, proprio di fronte a Sociologia.
 
Un giorno di marzo, proprio quando gli uccellini cominciavano a cinguettare e i fiori a mostrare i loro vividi colori nel verde, seduta sul gradino con la sigaretta a metà, si avvicinò al mio posto una ragazza che dimostrava più o meno la mia età, con i capelli biondi, lunghi fino alle spalle, una felpa grigia aperta e dei jeans stretti che mostravano due gambe magre come grissini.
Sentii avvicinandosi che si stava lamentando di qualcuno, probabilmente del suo ragazzo.
«Quello stronzo infame, la prossima volta lo mollo se mi fa un altro atto del genere non mi vede più!»
Mi stava ora di fronte, appoggiata al muro praticamente a mezzo metro da me.
Alzai gli occhi ed anche un sopracciglio. Probabilmente si aspettava che me ne andassi, ma non mi mossi perché ormai volevo sapere come sarebbe andata a finire la storia del ragazzo, incuriosita dalle espressioni facciali della ragazza che parlavano più di mille parole.
 
Mi rivolsi a lei estraendo il mio pacchetto di sigarette: «Ne vuoi una?»
Mi diede un’occhiata simpatica ed annuì.
«Mi stavo chiedendo cosa pensavi di fare allora con quello stronzo», attaccai il discorso.
La biondina si mise a ridere, una risata che contagiò anche me.
«Scusami, – rispose divertita, – non volevo renderti partecipe dei miei casini.»
Feci spallucce: «Non preoccuparti, se ti serve una mano per farlo fuori posso essere d’aiuto», risposi, ammiccando con il sorriso.
Scoppiammo di nuovo a ridere. Decisi che era arrivato il momento di presentarmi.
«Piacere, mi chiamo Alice.»
«Io sono Asia», – rispose la ragazza.
Prese in mano la sigaretta e la aprì tra le dita. Il nostro primo spinello assieme. A cui ne seguirono molti altri.
 
Questo fu l’inizio di una grande amicizia. Diventammo inseparabili, dandoci appuntamento ogni giorno alla stessa ora sul secondo gradino della scaletta, lo stesso dove ci eravamo conosciute.
Si apriva la bella stagione e quindi il tempo passato in giro aumentava: tra lo studiare ai giardini e le uscite in discoteca, tornando all’alba. Ci divertivamo un sacco e ridevamo come non ci fosse un domani.
Una volta, alle cinque del mattino, ci sdraiammo ubriache in mezzo ad una strada secondaria, con i drink ancora in mano e il make-up ormai inesistente.
Cominciammo a parlare del futuro, immaginandoci in mille posti diversi tra cinque, dieci anni. Sembrava che quando passavamo del tempo assieme, i problemi svanissero.
 
Purtroppo, però, quei problemi erano destinati a diventare sempre più grandi.
Da fuori sembravamo delle ragazze un po’sfacciate, di quelle da evitare, da considerare una «cattiva compagnia»; da dentro, invece, tra noi c’era un’affinità così grande che ci capivamo con uno sguardo, senza mai litigare e dare fastidio a nessuno.
Tuttavia, a fine estate qualcosa cambiò nelle nostre vite. Una notte, durante una delle nostre serate passate a ballare senza pensieri, fummo avvicinate da un gruppetto di ragazzi che tra una battuta e l’altra ci convinsero a seguirli fuori dal locale.
Quella notte ci fu il nostro primo incontro con l’ecstasy, ma di quella notte ho pochi ricordi se non i drink che ci offrivano in continuazione i nostri nuovi «amici».
 
Mi risvegliai in una casa sconosciuta la mattina seguente, senza sapere dove fossi e con chi.
Il primo pensiero fu quello di cercare Asia, che trovai sdraiata a pancia in giù sul pavimento del corridoio.
Molto preoccupata, la svegliai senza troppi convenevoli, dandole una sberla su una guancia che la fece trasalire esclamando «Ahi!».
Ero davvero spaventata, c’erano persone ovunque e non volevo che nessuno fermasse la mia intenzione di lasciare al più presto quel posto.
Trascinai Asia, ancora confusa e mezza addormentata, giù dalle scale e ce ne andammo via.
 
Non mi sembrava vero che avessimo provato quell’esperienza. Un conto sono le droghe leggere, dentro di me mi ero sempre ripetuta: «Dai, ma chi non se l’è mai fatto uno spinello?»; però consumare quelle più pesanti era un’altra faccenda e non credevo fosse così facile venirne in possesso.
In quel periodo però mi sentivo debole, Asia rappresentava il mio punto di riferimento, la mia ancora a cui appoggiarmi e quindi, quando mi chiese di riprovare, insistendo più di una volta, mi lasciai convincere.
 
L’emozione che provai la seconda volta fu molto più «intensa» della prima.
Cominciò così il mio viaggio, il mio «trip» - appunto «viaggio» in inglese - espressione usata per descrivere ciò che si prova quando si assumono sostanze stupefacenti.
E infatti il mio viaggio con quella droga pesante fu pieno di colori, di sensazioni che mi davano una forza potentissima, ma temporanea, che mi logoravano lentamente, sia interiormente che fisicamente.
Sprofondai in un tunnel che sembrava senza via d’uscita, ma questa volta trovai dentro di me una forza che credevo di non avere.
 
Vedevo la mia vita sparire sempre più, allontanarsi da me, sempre più intrappolata nel nero colorato della dipendenza.
Fino a quando mi resi conto che volevo smettere. Un giorno di novembre, sdraiata sul divano di casa vicina ad Asia, immersa in un trip che durava ormai da mesi, decisi che era arrivato il momento di darci un taglio.
Volevo riprendere in mano la mia vita.
Cercai di convincere Asia e questa volta fui io quella che la trascinò dalla parte che ora, a distanza di anni, vedo chiaramente fu quella giusta.
 
Capii in quel momento che la maturità che andavo ricercando stava nel fare scelte sagge, consapevoli, che non richiedono una particolare esperienza, ma che troviamo dentro di noi, stava nel seguire il sentiero che ci viene mostrato dal nostro essere, e non da altri, come quello giusto da seguire.
Intraprendemmo di comune accordo un percorso di disintossicazione che rafforzò la nostra amicizia, anche se capii, dal momento in cui presi la decisione di smettere, che Asia aveva perso parte di quella sua forza che tanto avevo ammirato dal primo momento in cui l’avevo conosciuta, ma forse questa impressione era data dal fatto che io ero diventata più forte.
 
Devo ammettere che non fu facile, passai giorni di vero tormento e in alcuni momenti credevo di non farcela. Da sola non sarebbe stata la stessa cosa, perché l’aiuto che mi diedero le persone che mi circondavano fu una spinta in più verso la risalita.
Dai miei genitori, che mi raggiunsero in Italia e stettero con me fino al mio completo recupero, tormentati da una figlia difficile ma che non smettevano mai di amare, al personale medico che seguì me ed Asia lungo tutto il percorso.
E fu proprio lei, Asia, mia compagna di viaggio sin dall’inizio, ad essere, una volta ancora, una luce in fondo al tunnel, poiché quando vacillavo io, lei mi dava una scossa e quando vacillava lei la riprendevo al volo prima che cadesse.
 
Se chiudo gli occhi adesso, mi sembra di sentire ancora l’uragano di emozioni che attraversò la mia esistenza durante l’anno in cui vidi il fondo del baratro e poi scelsi di seguire la luce.
Ma qualcosa di buono mi diede anche quell’esperienza, facendomi crescere: la capacità di scindere il giusto dallo sbagliato, la verità dalla menzogna.
Quella volta ci sbattei la faccia, ma capii veramente che da ogni viaggio, anche da quelli più difficili ed oscuri, si esce sempre cambiati e con qualcosa in più, anche se devo ammettere che, in quel caso, la nostra fortuna fu quella di non perderci nel «trip» troppo a lungo e in maniera irrecuperabile.

Astrid Panizza
(Continua)

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande