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Centenario della Grande Guerra – Le battaglie nei Balcani/ 1

Conrad von Hötzendorf voleva piegare subito la Serbia, per poi dedicarsi alla Russia. Ma come accade quasi sempre nei piani militari, nulla andò come previsto

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Non ci siamo dimenticati della Serbia, lo stato che involontariamente ha scatenato la Grande Guerra con il casus belli di Saraievo. Semplicemente il teatro dei Balcani si rivelò presto secondario.
Come si ricorderà, la dichiarazione di guerra alla Serbia aveva scatenato l’intervento a catena di tutte le potenze europee, per cui il capo di stato maggiore di Francesco Giuseppe, generale Conrad von Hötzendorf, era stato preso alla sprovvista. Non era preparato per una grande guerra moderna e provò a destreggiarsi alla meno peggio. Si trovava a dover «punire» la Serbia a sud e a proteggersi le spalle a Est.
Quando ci si trova a dover combattere contro due nemici, di solito si cerca di sconfiggere prima il più debole per poi dedicarsi al più potente. E così fece Conrad, convinto che la Russia avrebbe impiegato mesi a compiere la mobilitazione.
Ma commise un errore. La Russia fu pronta in un mese.
Per questo la guerra contro la Serbia avvenne a più riprese, stante il fatto che la pressione di Mosca sul confine orientale della Monarchia danubiana si dimostrò ben più pericolosa di quello che si poteva immaginare.
Quindi nel primo anno di guerra non si registra un centenario significativo sugli avvenimenti bellici tra Austria e Serbia. Ma la storia sul versante che ha fatto scoppiare l’immane conflitto va ricordata lo stesso, perché altrimenti non si potrà comprendere quello che sarebbe accaduto l’anno successivo.
La campagna contro la Serbia fu scatenata più volte. Oggi parliamo della prima avventura militare, terminata molto male per gli austriaci invasori.

Belgrado si trova in una posizione che, allo scoppio della guerra, si dimostrò quanto mai sfavorevole: a un passo dal nemico.
La città sorge sulla riva destra del Danubio, la cui riva sinistra apparteneva al nemico, alla confluenza della Sava, un fiume lungo 945 km diventando così l’affluente più importante della destra idrografica.
Il confine austro-serbo correva sul Danubio dalle Porte di Ferro a Belgrado, quindi lungo la Sava fino alla confluenza di questa alla Drina. Poi lungo la Drina.
La larghezza dei due fiumi alla confluenza è tale che, allo scoppio della guerra, non esistevano ponti che collegassero le due sponde.
Un ponte di ferro serviva la ferrovia Budapest-Salonicco congiungendo le sponde della Sava più a monte di Belgrado, a Semlino.   
 
Conrad.  
 
Il 28 luglio, poco dopo le 11, Pasic (Serbia) aveva ricevuto il telegramma di Berchtold (Austria Ungheria) che dichiarava la guerra. Per tutto quel primo giorno la Serbia continuò a essere congiunta all’Austria per mezzo di quel ponte sul quale si era svolto per decenni un intenso traffico di persone e merci.
Giunta la notte - erano le ore 1.30 - un sordo rombo, preceduto da rapidi guizzi di fiamma, scosse le arcate del ponte di ferro. Poi la grande mole metallica si accasciò nelle acque nere che lo inghiottirono.
Da quel momento Belgrado fu illuminata solo dai fasci di luce argentea dei riflettori militari austriaci che cercavano bersagli per le loro artiglierie. Di tanto in tanto arrivavano granate sui forti della città, che fecero più rumore che danni.
La popolazione imparò a vivere sotto il bombardamento, limitandosi a entrare negli scantinati quando arrivavano le granate.
Profondo in qualche punto una cinquantina di metri, ampio e copioso d’acqua in tutte le stagioni, il Danubio poteva essere risalito con piroscafi da 100 tonnellate fino a Ratisbona. Gli austriaci vi avevano messo un’intera flottiglia militare. Si trattava di imbarcazioni non molto veloci, perché il loro compito era quello di sparare cannonate su Belgrado.
Il cannoneggiamento di Belgrado era solo il tiro di preparazione per l’attacco che il generale Oskar Potiorek avrebbe scatenato il 5 agosto. 
 
  
L'affluenza della Sava a Belgrado. 
 
Il passaggio di corsi d’acqua era un problema rilevante per quei tempi, in cui le artiglierie erano pesantissime, i rifornimenti ingombranti, i soldati erano moltitudini.
Per questo venne deciso di evitare il Danubio e forzare invece la Sava e la Drina.
Gli austriaci cominciarono a passare la Sava e la Drina dal pomeriggio del 14 agosto 1924 alla notte del 15, divisi in tre colonne. La prima era forte di 50.000 uomini e occupò Sciabatz, la seconda di quasi 100.000 uomini passò la Drina e puntò su Losnitza, città in cui entrarono i 10.000 uomini della terza colonna.
All’alba del Ferragosto 1914, le due forze nemiche si fronteggiavano in territorio serbo con la stessa capacità numerica: 150.000 uomini per parte.
Ma, nonostante la parità numerica, i difensori evitarono il contrasto diretto. Si ritirarono alle falde del Monte Zer e attesero i nemici sulla difensiva.
Oskar Potiorek (foto di lato) disponeva di 15 divisioni, quasi altrettante le comandava il suo avversario Vojvoda (maresciallo) Ramodir Putnik.
Quest’ultimo, nonostante la quasi parità numerica, decise di ritirarsi fino alle pendici del monte Zer, apprestandole a difesa.
Potiorek commise l’errore che tanti generali come lui fecero all’inizio della guerra: diede ordine di conquistare le postazioni nemiche alla carica, senza un’adeguata preparazione da parte delle artiglierie che aveva portato con sé.
Gli austriaci si slanciarono all’attacco con impeto, ma fu quasi impossibile portare risultati. Il territorio era adatto alla difesa e Putnik lo sapeva.
Gli attacchi portarono anche qualche risultato, ma nulla in confronto ai costi in termini di vite umane.
Gli attacchi continuarono per tutto il 16 agosto, ma alla fine della giornata entrambe le parti erano sfinite, ferme ai punti di partenza.
Il giorno dopo entrambe le parti ricevettero rinforzi e, colmati i vuoti, la carneficina poté continuare.
Al termine dell’ultimo inutile attacco austriaco, Putnik decise che era il momento di contrattaccare. Gli austriaci, colti di sorpresa, decisero di portarsi in pianura, come sarebbe stato più equilibrato il combattimento.
E così, la piana di Macva divenne teatro di combattimenti violentissimi.
Al termine della battaglia, tuttavia, i Serbi avevano ucciso 2.000 soldati austriaci e ne avevanmo fatti prigionieri altri 4.000.
  

Il ponte sulla Drina. 
 
Per gli invasori, partiti nella logica di compiere quella che Conrad aveva chiamato strafe Expedition (termine che usò anche in altre occasioni, ma senza mai portare risultati), si trattò di sopravvivere nel territorio tra la Sava e la Drina. Alla fine Potiorek si trovò costretto a far riportare in territorio austriaco prima le artiglierie e poi gli uomini. Era la ritirata.
Il 23 agosto Lesnitza e Losnitza venivano liberate. Il 25 era la volta di Sciablaz.
Vienna non poté mandare rinforzi. Il crollo delle armate austro ungariche sul fronte russo imponeva anzi il richiamo di tutti gli uomini possibile per inviarli in Galizia. 
 
Radomir Putnik. 
 
La ritirata si svolse in buon ordine e la notte del 25 agosto (solo 10 giorni dopo l’attacco iniziale) gli ultimi battaglioni austriaci ripassarono la Drina.
L’operazione era costata decisamente troppo. La Monarchia danubiana aveva lasciato sul posto 30.000 cadaveri e 4.600 prigionieri, 94 cannoni da campagna, 8 pezzi di grosso calibro, 3 ospedali da campo con 3.000 posti letto, 37.000 fucili, 37 mitragliatrici, 5 colonne di munizioni, 114 cassoni di proiettili, 2.000 cavalli3 casse di denaro e un aeroplano.
I giornali di Vienna annunciarono che, dopo aver raggiunto gli obbiettivi che si era posto, l’esercito aveva dovuto suo malgrado ritirarsi per far fronte al nemico che bussava alle porte della Galizia.
 
GdM
Fine della prima parte
(Continua)

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